Un paese isolato in Europa che somiglia un po' a Mykonos

Stefano Cingolani

    L' Italia è sola, sola e deviante. Non lo è soltanto sul piano politico, come pure è evidente, ma anche in economia, in tecnologia, in demografia, in tutte le variabili fondamentali che determinano la vita delle nazioni, la loro ricchezza e la loro povertà. E' questa l'immagine desolante che emerge dalle considerazioni finali di Ignazio Visco.

    Il governatore della Banca d'Italia ha lanciato molti moniti per la politica economica, ha detto che aumentare il deficit crea solo una illusione di crescita, a causa dell'impatto negativo dei tassi di interesse (Visco ha citato la teoria della “espansione recessiva” elaborata da Olivier Blanchard già capo economista del Fondo monetario internazionale). Dunque niente manovre che aumentino il disavanzo come vuole Luigi Di Maio e niente flat tax come vuole Matteo Salvini perché, senza una riforma complessiva del fisco (ritenuta indispensabile), finirebbe per aumentare la giungla delle imposte. Visco ha ammonito che “saremmo stati più poveri senza l'Europa; lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario”.

    Ma soprattutto ha messo in evidenza che “la debolezza della crescita dell'Italia negli ultimi vent'anni non è dipesa né dalla Ue né dall'euro; quasi tutti gli altri stati membri hanno fatto meglio di noi”. La causa vera è “il ritardo con cui il paese ha reagito e al cambiamento tecnologico e all'apertura dei mercati a livello globale”.

    La sequenza delle deviazioni italiane è impressionante. Cominciamo dalla tecnologia: “Ai settori che compongono l'economia digitale è oggi riconducibile il 5 per cento del totale del valore aggiunto contro l'8 della Germania e il 6,6 medio nella Ue”. In coda alle considerazioni finali ci sono alcuni grafici allarmanti. Nell'indice di digitalizzazione siamo al quartultimo posto prima di Bulgaria, Grecia e Romania.

    La quota della popolazione che accede al conto corrente via internet è del 40 per cento in Italia e del 60 nell'area dell'euro. La spesa in ricerca e sviluppo del settore privato è attorno allo 0,8 per cento del pil meno della metà della media Ocse. L'Italia invecchia più rapidamente degli altri, il tasso di partecipazione al lavoro è ancora inferiore di otto punti alla media europea, quello femminile sta ancora peggio.

    L'immigrazione dà un contributo al prodotto lordo inferiore che altrove, la quota dei laureati tra gli stranieri, pari a quasi il 13 per cento, è meno della metà di quella media registrata dall'Unione. L'Italia è l'unico paese in cui il servizio del debito è superiore alla crescita, ciò vuol dire che, in assenza di misure che facciano crescere l'avanzo primario (al netto degli interessi) e di provvedimenti per ridurre il debito, come stock e come flussi, si pone un serio problema di sostenibilità. Come ciliegina sulla torta mettiamo che ieri l'Istat ha abbassato a 0,1 per cento la crescita nel primo trimestre e secondo la Banca d'Italia non ci sono segnali di un vero miglioramento di qui ai prossimi mesi. Lo spread è salito a 293 punti base e ormai supera Atene nei titoli a cinque anni. L'Italia è un'isola in Europa, somiglia un po' a Mykonos. Il cauto ottimismo del cauto ministro dell'Economia Giovanni Tria non trova conferme. Ci sono naturalmente reazioni positive, la prima delle quali viene dall'export. Senza le imprese manifatturiere in grado di vendere ovunque, a cominciare dall'area euro, “cose belle che piacciono al mondo”, come diceva Carlo Maria Cipolla, saremmo ancora in recessione nera.

    Anche le banche, pur bisognose di compiere un salto tecnologico e organizzativo, sono riuscite a ridurre i crediti deteriorati e a migliorare il loro patrimonio e oggi non rappresentano più un pericolo sistemico, secondo la Banca d'Italia. Ma sono eccezioni in un paese che s'allontana sempre più dal trend prevalente. Prima eravamo il vagone di coda, ora rischiamo seriamente di sganciarci dal treno.

    Visco ha gettato uno sguardo di lungo periodo, indietro e avanti, rilanciando la ricetta Bankitalia: riforme strutturali, produttività, bilancio pubblico in ordine, investimenti (in scuola e ricerca innanzitutto), minor pressione fiscale, coperta da tagli alle spese improduttive, riduzione del debito. Ma oggi più che mai sembra un richiamo nel deserto.

    Stefano Cingolani