Dieci giorni di limbo, poi o crisi o rimpasto. Il caos alla Difesa

Valerio Valentini

    Roma. La furbata mediatica la mette a nudo Fabio Rampelli. “Quelli non le chiedono, le poltrone; e quegli altri gliele offrono”, dice il pretoriano di Giorgia Meloni. “Tutto per fare vedere che né Lega né M5s ci sono attaccati, alle poltrone, col rischio di perdere mezzo punto percentuale”.

    Lo pretenderà, Matteo Salvini, il rimpasto. “Qualcosa andrà aggiustato”, diceva giovedì Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro. Lo pretenderà, dunque, ma solo quando sarà sicuro, se lo sarà, che questo agonizzante governo gialloverde possa essere rianimato. Responso che arriverà a metà della prossima settimana. “La novità – dicono i leghisti – è che ora Matteo è perfettamente allineato con Giorgetti: o resa incondizionata dei grillini, o rottura”. E certo, a volersi affidare all'umore delle truppe del M5s, il dubbio neppure si pone. Sergio Battelli, tesoriere del gruppo alla Camera, uno che con Luigi Di Maio ci parla tutti i giorni, a chi gli parlava dello “scoglio della Tav”, rispondeva citando Battisti: “Come può uno scoglio arginare il mare?”. Insomma c'è voglia di andare avanti, o paura di andare a casa. Ce n'è talmente tanta che prende sempre più consistenza l'ipotesi avanzata da Stefano Buffagni ed Emilio Carelli: “Proponiamolo noi, un rimpasto: sostituiamo alcuni dei nostri con gente più preparata”. Si potrebbe partire proprio dal Mit di Danilo Toninelli, rimasto peraltro sguarnito di un presidio leghista dopo i guai giudiziari di Edoardo Rixi e Armando Siri. Salvini lo sa che non potrà durare. E lo sanno anche Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti alla Camera, e Andrea Crippa, leader della giovanile del Carroccio, entrambi indiziati per andare a Porta Pia come sottosegretari. Alla Difesa, poi, la faida è tutta interna al M5s. Ed è deflagrata mercoledì pomeriggio, quando il sottosegretario Angelo Tofalo, pare spinto anche da alcuni ambienti dell'Aeronautica militare, ha riversato su Facebook tutto il malessere accumulato in un anno contro il suo ministro Elisabetta Trenta. Ne è seguito uno psicodramma a cinque stelle, coi deputati della commissione Difesa inferociti con Tofalo nelle loro chat interne: “Per mesi difendi il ministro dalle nostre critiche – era il senso delle proteste – e ora sei tu a sferrare l'attacco?”. Poche ore dopo, è scattata la rappresaglia, con una nota attribuita a “fonti del M5s” in sostegno di Trenta. “Nessuno ci ha avvertiti”, sono insorti di nuovo i deputati grillini: e allora vai di contro-dichiarazioni in difesa di Tofalo. Che resta tutt'ora in bilico, come pure la Trenta, in una sfida a chi cade per primo che di certo non contribuisce a rendere credibile le velleità di rinnovata leadership di Di Maio agli occhi dei leghisti. “Salvini ormai non si fida più di lui nemmeno a livello umano”, dicono. E infatti la strategia del M5s prevede che, nei prossimi giorni, sia Giuseppe Conte a fare da ammortizzatore della tensione: è a Palazzo Chigi che si risolveranno – fatto insolito – le controversie sugli emendamenti governativi allo “sblocca-cantieri” e al “decreto crescita”.

    Salvini medita, intanto. Sa che dovrà forzare, nei prossimi giorni, ma senza esagerare. “Dobbiamo accompagnarli alla rottura”, dice chi ha parlato col ministro dell'Interno. E, nel frattempo, lavorare per costruirsi un'immagine più presentabile, da potenziale capo di governo. Non a caso sono ripresi i lavori per organizzare un viaggio del segretario del Carroccio negli Stati Uniti; non a caso, di fronte a una prima apertura di credito da parte del cardinale segretario di stato Pietro Parolin, due giorni fa, i leghisti più accorti hanno esultato: “E' il segno che forse non siamo più appestati”.

    Valerio Valentini