De Niro, le parole, le buche

    C hi non lo ama, Bob De Niro? Almeno il Cacciatore di tanto tempo fa (in Novecento già meno: quel gran putiniano, e per proprietà transitiva trumpiano, di Depardieu lo sovrastava d'istinto). Poi è andato a letto presto, per molti anni, è diventato uguale alla geniale caricatura che ne fece a Zelig Raul Cremona: l'uomo con una sola smorfia, “Stai dicendo a me? Ma vaffanculo!”. Però adesso s'è svegliato, ha ritrovato la passione civile. Ha preso carta e penna e ha scritto al New York Times. Ha scritto a Mueller: “Abbiamo bisogno di sentire di più”, gli ha detto, “tu sei la voce del rapporto Mueller. Lascia che il paese ascolti quella voce”. Perché Mueller (inteso il procuratore speciale, non il cardinale: quello ha sempre la ciabatta aperta) fa il reticente, su Trump: “Se fossimo stati certi che il presidente non ha commesso alcun reato l'avremmo detto”. Un po' poco, sì. Bravo Bob, insisti. Solo che, però. Gli artisti che si svegliano dal sonno, e si buttano anima e core in giochi più grandi di loro, fan sempre un po' effetto. Tipo Gassman e Roma fa schifo, tipo Susan Sarandon e tutto il mondo fa schifo. Insomma il fatto è che Mueller potrebbe rispondergli, con una sola smorfia: “Stai parlando con me? Ma vaffanculo!”. Giusto per non ricordargli, lui che è un uomo che sa, un'altra celebre battuta del suo amico Joe Pesci in Casinò: “Ci sono un fottìo di buche nel deserto, e in quelle buche ci sono sepolti un fottìo di problemi”.