Alla vecchia foresteria: viva la Union Berlino

    I l tabellone manuale adesso non lo usano più; è stato sostituito, non da molto, con un moderno tabellone elettronico. Ma quello vecchio, con i cartelli bianchi e i numeri neri, è ancora lì, ben visibile in un angolo dello stadio, fissato sul risultato di 8 a 0, punteggio finale di un derby giocato in quarta serie, nel 2005, dalla Union Berlino contro gli antichi rivali della Dinamo. Prima della caduta del muro, quello tra Union e Dinamo Berlino non era solo un derby. Era la partita tra la squadra della Stasi (la Dinamo, appunto, che vinceva campionati della DDR a mani basse), e la squadra del popolo, gli “Eisernen” (uomini di ferro) della Union Berlino. Il dissenso, l'opposizione al regime, nella Germania dell'Est, potevano esprimersi solo attraverso forme implicite, ma immediatamente comprensibili: la Union Berlino, squadra del quartiere di Köpenick, dove si trova, lo Stadion an der Alten Försterei (“Lo stadio della vecchia foresteria”), era senz'altro una di queste forme. Paradossalmente, è con la riunificazione della Germania che la Union vive il suo momento più difficile. Nei primi anni del nuovo millennio la situazione finanziaria è disastrosa, il club è a un passo dalla sparizione. Le casse sono vuote, lo stadio cade a pezzi. Ma il calcio non può mai essere solo una questione di soldi: i tifosi della Union cominciano a donare in massa il sangue, e usano il ricavato per risanare le casse del club; e tra 2008 e 2013, forti della loro tradizione operaia, donano 140.000 ore di lavoro per ristrutturare lo stadio. Un'impresa leggendaria, ricordata da un monumento, fuori dallo stadio, una stele con in cima un caschetto rosso da operaio. Altro che burocrazie, sponsorizzazioni, finanziamenti pubblici. La gente si alzava al mattino, si organizzava, e sistemava lo stadio. E poi se lo sono anche comprato, quasi tutto. Per cui oggi “La vecchia foresteria” non solo è un gioiellino da oltre ventimila posti (la maggior parte in piedi, naturalmente), e non solo è l'unico impianto d'Europa di proprietà di una tifoseria, o meglio, di una comunità. È un posto vivo, e vissuto, dove il quartiere celebra la vigilia di Natale, organizza manifestazioni, feste, assemblee. C'è un episodio, che riassume bene il senso di quel luogo, di quella tifoseria, di quel quartiere: nell'estate del 2014 lo stadio è stato aperto per permettere alle persone di vedere i mondiali insieme, sullo schermo. E la gente, siccome quello stadio è casa loro, si è portata il divano da casa. Centinaia e centinaia di divani, ordinatamente distribuiti sul campo, davanti allo schermo. Difficile trovare un'immagine più antagonista, rispetto alla logica del divano solitario che ci vorrebbero imporre. Lunedì scorso, pareggiando con lo Stoccarda, la Union ha conquistato per la prima volta nella sua storia la promozione in Bundesliga, e l'anno prossimo la “Vecchia foresteria” finirà nelle televisioni di tutte le case europee. E chissà che la sua meravigliosa storia non insegni qualcosa, non metta qualche dubbio, a chi pensa che il calcio sia solo una questione di soldi, e che il suo futuro sia nella Superlega europea. Perché non c'è niente di meglio della storia della Union Berlino e del suo stadio, per dimostrare che sono i soldi che devono servire al calcio, e non il contrario, e che il futuro del calcio è sempre nel suo passato.