Luigi Di Maio in conferenza nella sede dell'Associazione Stampa estera (foto LaPresse)

Di Maio fa l'acrobata davanti alla stampa estera. "Viva la Nato"

Salvatore Merlo

Le domande “scomode” dei giornalisti e Giggino che si adatta all’uditorio e fa professione di europeismo e di atlantismo. Nessuno ride in sala

Roma. “Italiani? Non potete entrare”, informa l’usciere un po’ in imbarazzo. Così dalla conferenza stampa di Luigi Di Maio rimangono fuori le telecamere della Rai e di Mediaset, e i due cronisti di quotidiano, uno grande e uno più piccolo, che ci hanno provato a entrare, anche fingendo un’aria da stampa estera, “Aho? Nun te sembro americano?”. Dentro, nella sala grande dell’Associazione Stampa estera, in un arcigno palazzo del centro di Roma pagato dallo stato, Luigi Di Maio è sottoposto a una valanga di domande. Una, del cronista del giornale finlandese (ma lui è italiano), suona all’incirca così: “Gli altri partiti vi prendono in giro sul reddito minimo. Ma poi vi copiano con il reddito d’inclusione, che ne pensa?”.

 

  

Deve aver tremato Di Maio, che è venuto fuori ripetendo che “non siamo disponibili a immaginare una squadra di governo diversa da quella espressa dalla volontà popolare”. E insomma, spiega Di Maio, i ministri sono quelli che dice il Movimento, e il Pd se vuole può solo votare la fiducia, ipotesi che per ora viene respinta, e non solo da Matteo Renzi. Dice infatti Piero Fassino, nell’intervista pubblicata oggi dal Foglio: “Questi non chiedono il nostro aiuto. Pretendono i nostri voti senza nemmeno dirci qual è il programma”. E mentre gli appelli al Pd fioccano – l’ultimo dell’attore e regista Silvio Muccino (con un libro in uscita) – Di Maio spiega di aver già deciso che farà lui il presidente del Consiglio, che Pier Carlo Padoan è un “avvelenatore di pozzi”, e che “non siamo disponibili a una squadra di governo diversa da quella che la volontà popolare ha espresso con il 32,5 per cento dei voti”.

 

A sentirli fare le domande, grazie alla diretta Facebook di Di Maio, i giornalisti stranieri ammessi in questa Associazione status symbol – un po’ nomenclatura e un po’ sottosviluppo – compongono un’umanità simpatica e interessante: c’è il tedesco quadrato con gli occhialetti, l’egiziano e l’israeliano, l’olandese, e i pesi massimi del giornalismo inglese e americano, quelli che dicono di fare il famoso resoconto impersonale e obiettivo dei fatti, con le loro prevenzioni politiche e le idiosincrasie mantenute al minimo. Molti sono preoccupati dal posizionamento del M5s in Europa. E allora Di Maio non fa una piega, si adatta all’uditorio, e fa professione di europeismo, e di Atlantismo, per sovrabbondanza. Eccede persino, parlando già da capo del governo: “Resteremo nella Nato”, garantisce. Ma davvero se ne poteva dubitare? Davvero è in questione pure l’appartenenza al blocco occidentale? Chissà. “Le sanzioni alla Russia sono uno strumento da rivedere. E non siamo solo noi a dirlo”.

 

Intanto, poiché sull’Europa risuonano ancora certe frasette di Beppe Grillo (“noi usciremo dall’euro”), il ministro dell’Economia, Padoan, interrogato dai cronisti a Bruxelles sul pericolo dell’instabilità, aveva risposto con un laconico “Non so”. Laconico e ambiguo, certo. E Di Maio, togliendosi metaforicamente la cravatta, forse non vedendo l’ora: “Padoan è un irresponsabile. La sua è quasi una provocazione, sembra che pensi ‘ora che vado all’opposizione avveleno i pozzi dicendo che c’è instabilità’”. Uno schiaffo e una carezza, un gesto di apertura e un pugno in faccia al Pd malconcio e sconfitto. E infatti, subito dopo, con invidiabile senso logico e altrettanta grazia acrobatica: “Siamo aperti al dialogo, nessuno al momento si è fatto avanti. Chiediamo responsabilità. Gli italiani hanno dato un forte segnale post-ideologico. Il nostro programma non è mai stato estremista. La volontà popolare è sacra. I punti di programma rimangono quelli”. Dal Pd rispondono spiegando che non spetta precisamente a loro proporsi, ma dovrebbe essere il M5s a spiegare quello che vuole, qual è il programma, quali i termini. “Ammesso che davvero vogliano qualcosa”. Mentre il pissi pissi di Palazzo non fa che ripetere: la presidenza della Camera andrà a un uomo di Di Maio e quella del Senato a un uomo di Salvini. Cinque stelle e Lega, dunque.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.