Il Krakatoa ripreso dall'alto (foto via Flickr: NASA Goddard Space Flight Center)

Dal Krakatoa al Tambora: così i vulcani hanno cambiato la nostra storia

Maurizio Stefanini

L'Agung in Indonesia sembra vicino all'eruzione. Ma nel passato ci sono stati molti altri cataclismi simili che hanno stravolto il corso degli eventi in tutto il mondo

Aeroporti chiusi, migliaia di turisti bloccati a Bali, almeno 100.000 persone da evacuare, nubi di ceneri bianche e grigie altre fino a 9.000 metri, i boati delle esplosioni avvertiti fino a 12 chilometri di distanza: è l'eruzione del vulcano Agung. Ricorda per ora quella dell'Eyjafjöll che avvenne tra il 20 marzo del 2010 e l'ottobre successivo nell'Islanda meridionale, e che provocò negli otto giorni che andarono tra il 15 e il 23 aprile la chiusura di quasi tutto lo spazio aereo d'Europa. Ma le ceneri vulcaniche continuarono a provocare disagi agli aeroporti fino al 9 maggio, provocando alle compagnie aeree danni che la Iata stimò in 200 milioni di dollari al giorno.

  

 

Il governo indonesiano, però, teme che addirittura l'Agung possa esplodere. E qui il ricordo va allora al Krakatoa: l'isola indonesiana – allora Indie olandesi – il cui omonimo vulcano esplose il 27 agosto del 1883, quando le fessure aperte dall'eruzione misero a contatto l'acqua del mare con la camera magmatica. Il vapore surriscaldato sviluppò una potenza da 200 megatoni, espellendo circa 21 chilometri cubi di roccia, cenere e pietra pomice e generando un boato che fu sentito fino in Australia e a Mauritius. Morirono 36.000 persone, due terzi dell'isola finirono sott'acqua e le ceneri sparse nell'atmosfera schermarono i raggi solari al punto da far abbassate la temperatura del pianeta di 1,2 gradi centigradi. Solo nel 1888 la temperatura tornò normale.

  

L'Indonesia è la regione vulcanica più importante del mondo, con ben 129 vulcani in attività. Una eruzione precedente dell'Agung nel 1963 aveva fatto 1.600 morti. Nel XIX secolo la catastrofe del Krakatoa era stata preceduta da quella del Tambora, nell'isola indonesiana di Sumbawa, avvenuta il 10 aprile 1815. Lì i chilometri cubici di roccia, cenere e pietra pomice espulsi dall'esplosione arrivarono a 41, l'esplosione fu sentita a 2.600 chilometri di distanza e le vittime furono stimate in 100.000: 10.000 per effetto diretto dell'eruzione; 90.000 per la carestia e le malattie che ne seguirono. Ma l'effetto di schermatura delle ceneri vulcaniche fu percepito in tutto il mondo, provocando un abbassamento immediato delle temperature di 0,53 gradi centigradi che si protrasse poi per tutto il 1816 con medie tra i 0,4-0,7 gradi in meno. “L'anno senza estate”, fu chiamato dagli storici. Una conseguenza fu l'ultima carestia registrata in Italia. Ma in tutta Europa ci fu una penuria che portò a una migrazione massiccia in Nord America, e di lì verso l'interno. L'inizio della conquista del West. Fu per quell'estate insolitamente fredda del 1816 se durante una villeggiatura in Svizzera Byron, Shelley, le loro compagne e il medico John Polidori furono costretti a restare chiusi dentro. Per ingannare il tempo fecero la gara a chi scriveva il miglior racconto horror che ci diede il “Frankenstein” di Mary Shelley, oltre al “Vampiro” di Polidori. 

  

Su questi cambiamenti climatici è peraltro appena uscito sulla rivista Climate of the Past uno studio il cui principale autore è Rüdiger Glaser, professore all'Università di Friburgo. Secondo lui, questi fenomeni spiegherebbero fino al 20-30 per cento delle migrazioni dal sud-ovest della Germania al Nord America durante il secolo XIX. Anche Friedrich Trump, nonno di Donald, emigrò dal territorio della attuale Renania-Palatinato a 16 anni nel 1885, per effetto di una di queste congiunture, dal momento che la sua era una famiglia di viticultori. La cosa è ricordata dallo studio con una punta di polemica verso le posizioni “negazioniste” dello stesso Trump a proposito dei surriscaldamento dell'atmosfera: ma proprio questi retroscena ci ricordano come nel corso della storia gran parte dei cambiamenti climatici forieri di conseguenze non siano stati il frutto di attività umana, ma di eventi naturali. La stessa crisi della produzione agricola che portò alla Rivoluzione francese sarebbe stata innescata dall'eruzione del 1783 del vulcano islandese Laki, che avrebbe provocato carestie perfino in Giappone. Il passaggio dall'età moderna all'età contemporanea.

  

Ma anche il passaggio dall'età antica al medioevo avrebbe avuto origine da due eruzioni indonesiane, secondo quanto ipotizzò nel 2000 l'archeologo David Keys nel suo studio “Catastrophe: an Investigation into the Origins of Modern Civilization”. Due catastrofi stile Tambora e Krakatoa del 416 e del 535 che avrebbero accelerato la caduta dell'Impero romano d'occidente, l'ascesa dell'islam ai danni di Impero romano d'Oriente e Persia, la crisi del regno coreano di Koguryo e perfino la scomparsa della civiltà messicana di Teotihuacan. Una catastrofe globale in un mondo che non sapeva ancora di essere tale.

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