Perché Puigdemont resta in Belgio in attesa di “garanzie”

Eugenio Cau

L’ex governatore vuole creare una specie di governo catalano in esilio, ma dice che riconoscerà le elezioni indette da Rajoy. Tutte le contraddizioni e i prossimi passi

Carles Puigdemont, presidente catalano deposto, ha tenuto a Bruxelles uno dei suoi discorsi più attesi: dopo la fuga Belgio a seguito della richiesta di incriminazione da parte della procura spagnola, tutti si chiedevano come avrebbe risposto l’ex president a chi lo accusava di aver abbandonato i suoi nel momento più drammatico del processo indipendentista catalano.

 

Puigdemont è apparso davanti ai giornalisti con venti minuti di ritardo, ha parlato per una ventina di minuti alternando quattro lingue: inglese, francese, catalano e spagnolo. Ma nonostante l’eccellente capacità di favella, ha fornito poche risposte e nessuna chiarezza riguardo ai dubbi che lo circondano.

 

In compenso, Puigdemont ha manifestato numerose contraddizioni. Dapprima ha detto che, davanti all’applicazione dell’articolo 155 da parte dello stato spagnolo, la prima opzione dell’ex governo catalano è stata quella di evitare la violenza e la contrapposizione. Ha detto che non ha voluto chiedere ai funzionari pubblici catalani di schierarsi e di decidere a quale stato essere fedele. Nobile, ma poco dopo li ha chiamati alla “resistenza” contro la demolizione delle istituzioni della Catalogna. Prima contraddizione.

 

   

L’ex “president” ha detto inoltre di non essere in Belgio per chiedere asilo politico. Ha detto che “noi non vogliamo fuggire dalla giustizia spagnola”, e che lui e i sette ex ministri catalani (erano cinque, se ne sono aggiunti due) si trovano a Bruxelles in qualità di “governo legittimo” della Catalogna per denunciare il deficit democratico del governo spagnolo. Ha aggiunto però che lui e i suoi non torneranno in Catalogna né in Spagna finché non ci saranno sufficienti “garanzie legali”. Seconda contraddizione, ma interessante: l’idea che se ne ricava è che Puigdemont e i suoi intendano formare una specie di governo catalano in esilio a Bruxelles.

 

Infine, pur confermando che la repubblica catalana è già una realtà, Puigdemont ha detto che riconoscerà il risultato delle elezioni catalane del 21 dicembre, quelle indette dal governo spagnolo con i poteri del 155. Si tratta di della terza contraddizione palese, ma anche in questo caso il messaggio politico è degno di nota: le forze indipendentiste parteciperanno alle elezioni, e tenteranno probabilmente di trasformare il voto in un nuovo referendum pro o contro l’indipendenza.

 

Ma “le cose si evolvono di giorno in giorno”, ha concluso Puigdemont, segno che, almeno per ora, il campo indipendentista in esilio gioca di tattica ma manca di una strategia.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.