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Gentiloni è pronto alla battaglia sullo ius soli, vada come vada

Il premier sembra sempre di più un vero leader politico e la fiducia sul Rosatellum lo dimostra. Le mosse in vista delle elezioni

Siccome qui nei corridoi del Palazzo non si aggirano anime candide, c’è una versione particolarmente maligna che attribuisce allo scontro sul voto di fiducia un effetto collaterale perverso e non casuale. In estrema sintesi, oltre a tutti gli altri ottimi motivi, Matteo Renzi sarebbe stato spinto alla forzatura sulla legge elettorale anche dall’inconfessabile desiderio di macchiare un po’ l’immacolato abito da presidente del consiglio di Paolo Gentiloni. E in effetti a qualcuno non dispiace in queste ore sussurrare che, avete visto, neanche Paolo è perfetto. Ha dovuto, proprio lui così ligio, intestarsi uno strappo istituzionale che causa giornate di turbolenze di piazza. Ha dovuto subire una soluzione sulla legge elettorale che aveva categoricamente escluso al momento di insediarsi. Ha dovuto rompere il recente incantesimo dell’uomo “di altissimo profilo” (cit. Pisapia) nel nome del quale è andata in pezzi l’armata Brancaleone alla sinistra del Pd. E così, dopo un processo di emancipazione e autonomizzazione notato e apprezzato da tutti, è dovuto tornare alla casella di partenza, quella del governo fotocopia che deve solo eseguire i diktat del segretario del partito. Tutto in parte vero, o verosimile. Ma anche tutto abbastanza irrilevante, se visto in prospettiva. Perché la storia può anche essere raccontata in un altro modo, perfino rovesciato.

 

Intanto la “colpa” dello strappo sulla fiducia è stata molto stemperata dalla evidente copertura che il capo dello stato ha voluto dare, con grande intenzionalità e ottimi argomenti, a tutta l’operazione. Sicché Gentiloni, pur venendo meno all’impegno di estraneità sulla legge elettorale che aveva assunto, rimane comunque ampiamente sotto l’ombrello del Quirinale che si era aperto fin dai primi momenti dopo le dimissioni di Renzi. In secondo luogo, se è vero che l’attuale premier è da tutti considerato l’uomo ideale per tornare a Palazzo Chigi dopo le elezioni, nello stesso ruolo su indicazione di una maggioranza di larghe intese, non è certo sul Rosatellum che smarrisce questo atout visto che la legge elettorale verrà approvata dallo stesso perimetro di forze politiche che ipoteticamente domani dovrebbero ritrovarsi nella faticosa coalizione di governo.

 

Infine, c’è un’annotazione sulla figura stessa del premier. Che per qualcuno paradossalmente (ma la politica è costituita da questi paradossi) aveva proprio nella sua “perfezione” istituzionale un limite: il limite dello statista che non s’era mai dovuto sporcare le mani con atti politicamente aggressivi e controversi. E invece è sicuro che un domani, nella prossima difficilissima legislatura, all’eventuale presidente del consiglio di larga coalizione (ma si potrebbe dire presidente del Consiglio tout court) toccherà spesso di dover usare la forza politica facendosi tanti nemici, pur rimanendo sempre nel recinto delle regole.

 

Ora dunque il cavaliere di Palazzo Chigi ha anche qualche macchia, oltre ad aver dimostrato di non aver paura. Comincia a somigliare un po’ di più a un autentico leader politico, anche negli inevitabili difetti. Sicché nei corridoi del palazzo, dove sono abituati a guardare sempre più avanti dello stretto presente, ci si aspetta adesso che Gentiloni approfitti della perdita della verginità per compiere un altro strappo, uguale istituzionalmente e contrario politicamente rispetto a quello sul Rosatellum, mettendo la fiducia sullo ius soli come ultimo atto di legislatura, vada come vada. Renzi guarda i sondaggi sull’argomento ed è perplesso. Ma in quel caso sarebbe lui a dover assecondare la volontà del neo-decisionista presidente del Consiglio.

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