Foto LaPresse

Macron dirige le prove di fine delle ostilità nazionali in Europa

Alberto Brambilla

Da Fincantieri-Stx a Siemens-Alstom Parigi pilota la creazione campioni industriali. “Senza fusioni si perde”, dice Bini Smaghi

Roma. Dopo anni di acredine c’è uno slancio positivo in Europa. Con una ripresa ampia nell’Eurozona e con la riconferma di Angela Merkel in Germania, il presidente francese Emmanuel Macron ha invocato la fine delle “guerre civili” nel Vecchio continente che dalle guerre militari è stato segnato nei secoli. Martedì, parlando all’Università Sorbona di Parigi, tra le proposte per creare una Difesa comune e un bilancio europeo entro il 2020, Macron ha ritenuto cruciale chiedere la fine delle ostilità economiche tra stati nazionali, che hanno caratterizzato l’ultimo decennio, per costruire un’Europa “sovrana” e capace di competere con la Cina e con gli Stati Uniti a livello sia industriale sia finanziario.

 

Con questo intento procede l’integrazione di grandi imprese continentali per creare “campioni europei”. A cominciare dalla fusione franco-tedesca Alstom-Siemens. E dall’accordo tra Italia e Francia per cui Fincantieri gestirà i cantieri navali atlantici di Stx dopo travagliate trattative.

 

Il segnale di un cambiamento nella politica francese, tradizionalmente interventista e difensiva degli asset strategici, è arrivata con l’approvazione alla fusione tra il produttore di treni per alta velocità Alstom e l’unità ferroviaria della rivale tedesca Siemens per contrastare l’esuberanza della cinese Crrc, primo costruttore mondiale. Dopo un aumento di capitale Siemens avrà il 50 per cento del “gioiello” Alstom mentre Parigi conserverà una quota decisiva nell’azienda che avrà un giro d’affari da 16 miliardi e 60 mila dipendenti con la mutua promessa di non chiudere impianti per almeno quattro anni. “C’è una consapevolezza che la sfida è globale e se l’Europa vuole restare competitiva deve avere delle aziende di dimensioni mondiali”, dice Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société générale (SocGen), settima banca per capitalizzazione in Eurozona. “Questa è sempre stata una visione francese dai tempi di Airbus. Con una Francia più stabile, più europeista, e con un presidente che ha una visione del futuro c’è questa consapevolezza. La Francia ha grandi aziende quotate, molte hanno gran parte dell’attività fuori dal paese, e anziché crescere in autonomia lo fa via alleanze: è un’opportunità per recuperare terreno rispetto America e Asia”, dice.

 

L’accordo franco-italiano per il cantiere navale Stx a Saint-Nazaire, nella Loira, uno dei maggiori bacini di carenaggio europei, è stato suggellato oggi, dopo mesi di polemiche, nell’incontro tra il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e Macron a Lione. A luglio Parigi aveva nazionalizzato Stx stracciando un precedente contratto preliminare che dava il controllo a Fincantieri. Il patto di oggi salva le apparenze. Fincantieri gestirà Stx con il 51 per cento, nominerà presidente e ad e la metà del board. In seguito all’annuncio ufficiale il titolo Fincantieri ha eroso i guadagni della mattinata (più 2 per cento) in una seduta di Borsa chiusa sotto la parità (meno 0,36) a indicare che l’architettura non favorisce l’azienda guidata da Giuseppe Bono. La formula dell’accordo è infatti bizantina e denota diffidenza da parte francese verso la società cantieristica controllata dal Tesoro. Quell’1 per cento che determina la maggioranza sarà dato in prestito per dodici anni dal governo francese che si riserva il diritto di revoca se non verranno rispettate certe condizioni così potrà assicurare la tutela dell’occupazione, come promise Macron in campagna elettorale, in un sito a elevata conflittualità sindacale. Secondo quanto comunicato dal governo italiano e da quello francese l’accordo, del valore di 80 milioni, avvia la creazione di un “campione mondiale” del settore navale sia civile (crocieristica) sia – più complesso – militare con sviluppi che coinvolgono Leonardo (ex Finmeccanica) e la francese Naval Group (Thales). La fine dello psicodramma (copyright del Monde) porta consueti strascichi polemici in chiave nazionalistica. Matteo Salvini, Lega Nord, ha parlato di una “resa ai francesi”. Per Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, “Gentiloni è sotto scacco”. “La demonizzazione dello straniero è ricorrente – dice Bini Smaghi – ci toglie la capacità di essere autocritici. La visione diffusa da parte di alcuni che siamo diventati la colonia di potenze straniere è francamente ridicola: se vogliamo aiutare le nostre aziende a crescere devono aggregarsi. Creare un’alleanza tra eguali, alla pari, è la cosa più difficile ma se non si segue quella strategia il rischio è che quelle più piccole vengano comprate e basta. Come tutti i grandi passaggi importanti il caso Fincantieri ha alti e bassi, bisogna avere la pazienza di portarli avanti senza demonizzare l’avversario, preservare i vantaggi competitivi e creare mutue opportunità perché le aggregazioni sono un punto di forza”.

 

Dove le aggregazioni latitano è il settore bancario. Le indiscrezioni che vedono Commerzbank unirsi con Bnp Paribas o Unicredit non hanno per ora riscontri. Non sono nuove le sollecitazioni arrivate oggi da parte di Andrea Enria, presidente dell'Eba, l’authority bancaria europea, per un consolidamento “a livello nazionale o regionale” per portare a fusioni transazionali, e da Danièle Nouy, responsabile del Sistema di vigilanza unica della Bce, secondo cui “sembra ci siano troppe banche in competizione per i clienti e c’è una buona possibilità che il settore bancario si snellisca” via fusioni o fallimenti. Un anno fa, il 27 settembre 2016 Bini Smaghi, ex membro del direttivo Bce, avvertiva del problema con un articolo sul Financial Times e dice che da allora “non sono stati fatti passi avanti”. “Per arrivare a quel risultato la Bce deve ridurre gli ostacoli che scoraggiano le fusioni, come requisiti di capitale più stringenti per istituti presenti in più paesi, e devono ridursi le rivendicazioni nazionalistiche. La frammentazione esiste in Italia e in Germania. Se non si mette da parte il provincialismo di considerare una banca ‘mia’ o ‘tua’ continueremo ad avere un sistema bancario ancora frammentato con banche di dimensioni troppo ridotte sia per assorbire quelle più piccole, spostando il rischio sulla finanza pubblica, sia per competere con quelle americane che, quelle sì, ci colonizzano”.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.