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Così Iraq e Arabia Saudita forgiano una nuova alleanza sul petrolio

Gabriele Moccia

Sciolta dalla morsa dello Stato islamico, Baghdad torna a muoversi all'Opec

Roma. Il tramonto del califfato nero sull'Iraq, con il progressivo allentarsi della presa dell'Isis sul ricco patrimonio energetico del paese, ha dato nuovo impulso alle mire espansionistiche di Baghdad, proprio attraverso la leva degli idrocarburi. L'Iraq si è presentato all'ultimo vertice Opec di Abu Dhabi di martedì scorso forte di un'alleanza sempre più stretta con l'Arabia Saudita che gli ha consentito di aumentare a dismisura la propria produzione e non assolvere alle prescrizioni del cartello petrolifero in termini di output. Infatti, se i paesi produttori di petrolio che hanno aderito all'accordo per il taglio della produzione firmato lo scorso dicembre a Vienna tra gli stati membri dell'Opec e altri 12 al di fuori del cartello hanno confermato ad Abu Dhabi l'impegno a ridurre l'output petrolifero per contrastare il crollo dei prezzi del greggio, Baghdad ha potuto fare il contrario. Basta guardare alcune cifre.

 

Lo scorso luglio, le esportazioni petrolifere irachene hanno raggiunto i 100.144.814 barili di petrolio con ricavi pari a 4,386 miliardi di dollari, secondo quanto emerge dai preliminari sulle esportazioni del mese di luglio diffusi dal ministero del Petrolio iracheno ed elaborato dalla compagnia petrolifera statale irachena Iraqi Oil Marketing (Somo). Il portavoce del ministero del Petrolio, Assem Jihad, ha sottolineato che i dati sui volumi riguardano le esportazioni dai campi petroliferi dell'Iraq centrale e meridionale, mentre non vi sono informazioni sulle quantità di petrolio dei giacimenti di Kirkuk esportate attraverso il porto turco di Ceyhan, quindi la produzione potrebbe spingersi anche oltre, qualora le autorità centrali rientrassero nel pieno controllo di quelle zone. Una situazione che ha creato più di qualche maldipancia, principalmente da parte dell'Iran. Il regime degli ayatollah, soprattutto a partire dallo scorso aprile, ha assolto con rigore agli accordi di Vienna, limitando e non di poco - come dimostrano i dati dell'Aie - la propria produzione. Nonostante le parole diplomatiche del Comitato tecnico congiunto incaricato di monitorare la conformità dei produttori come l'Iraq all'accordo di Vienna, secondo cui "l'Iraq ha espresso il pieno sostegno al meccanismo di monitoraggio esistente e alla volontà di cooperare pienamente con il Comitato tecnico e con quello ministeriale nei prossimi mesi per raggiungere l'obiettivo di raggiungere la piena conformità", il potente ministro iraniano del petrolio, Bijan Zanganeh non ha mancato di accusare apertamente Baghdad sulla propria condotta, sottolineando come il governo iracheno non abbiano offerto alcun piano concreto su come conciliare la riduzione dell'ouput con i loro obiettivi di produzione. Secondo Baghdad e Abu Dhabi la valutazione da parte delle fonti secondarie utilizzate dall'OPEC per monitorare i livelli di produzione prima dell'entrata in vigore dell'accordo nel mese di gennaio sarebbe stata calcolata al ribasso, imponendo tagli troppo onerosi, ma a Teheran si fa sempre di più avanti l'idea che dietro l'atteggiamento del vicino iracheno si celi una deliberata strategia guidata dall'Arabia Saudita volta a far rinascere un'alleanza energetica della mezzaluna sunnita.

 

Non è un caso, infatti, come sostengono al Foglio alcuni fonti diplomatiche, che subito dopo il summit emiratino il ministro del petrolio iracheno, Jabbar Ali al Luaibi, sia volato a Riad per incontrare l'omologo saudita, Khalid al Falih. I due ministri, come riferito da Al Monitor, avrebbero parlato di possibili progetti energetici congiunti, volti ad integrare le rispettive produzioni, anche in vista della privatizzazione della compagnia petrolifera nazionale Saudita, la Saudi Aramco, che, nelle intenzioni della casa reale saudita,  dovrebbe notevolmente  incrementare gli investimenti nella regione, portando quei capitali necessari alla ricostruzione del sistema produttivo iracheno, particolarmente debilitato dopo gli anni della guerra con l'Isis.

 

Le intenzioni dei due paesi sono appoggiate anche dall'amministrazione Trump che in questo modo intende contrastare Teheran: a giugno il dipartimento per l'energia  ha autorizzato l'import di greggio iracheno a livelli mai visti da cinque anni - evidenzia Bloomberg - diventando il primo fornitore mediorientale degli Usa. Il presidente americano è intenzionato ha distruggere l'accordo sul nucleare iraniano con tutti i mezzi, in modo particolare attraverso quelli economici. Del resto, l'idea di una  sorta di unione petrolifera tra Baghdad e Riad è stata già in passato avanzata dal segretario di stato americano, Rex Tillerson, fino a poco tempo fa a capo della Exxon, una delle big oil company più radicate sullo scacchiere della mezzaluna mediorientale.

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