Il capo di gabinetto di Trump, John Kelly (foto LaPresse)

Dopo le purghe, Trump s'affida ai generali per fare ordine nel governo

Dietro l'elevazione di John Kelly c'è la logica della fedeltà trumpiana. Il sacrificio calcolato del "sicario" Scaramucci

Roma. Donald Trump ha chiuso la giornata segnata dall’ennesima strage politica interna con un tweet più sibillino del solito: “Un grande giorno alla Casa Bianca!”. Non è immediatamente chiara la ragione della grandezza di un giorno in cui viene cacciato il direttore della comunicazione assunto dieci giorni prima e che in così poco tempo ha decapitato la West Wing, ma nell’imperscrutabile modus operandi trumpiano si fa largo un’ipotesi logica. Anthony Scaramucci era un sicario assoldato allo scopo di costringere alle dimissioni il capo di gabinetto, Reince Priebus, e il portavoce, Sean Spicer, reperti di un tempo lontano in cui Trump s’illudeva di poter tenere insieme il cerchio magico della famiglia e i quadri del Partito repubblicano. Mick Mulvaney, capo dell’ufficio budget, ha espresso il disaccordo con un eufemismo: “Reince è stato incredibilmente efficace, ma probabilmente era un po’ rilassato e indipendente nel modo in cui gestiva il suo ruolo”. E’ un altro modo per dire che la fedeltà di Priebus al presidente non era al di sopra di ogni sospetto. Per punire il lassismo e l’indipendenza del capo di gabinetto è stato chiamato un finanziere millantatore con gli occhiali a specchio che sembra uscito dai Sopranos, uno che chiama furibondo un giornalista del New Yorker e gli dice, fra molte altre cose, che lui non è Steve Bannon, non “si succhia il cazzo da solo”. L’uscita non deve aver perorato la causa della sua permanenza alla Casa Bianca, ma Trump conosceva anche prima a menadito vita, opere e volgarità di “The Mooch”, il quale ha agito all’interno del canone della sua personalità. Se fino a quel momento non aveva avuto incarichi ufficiali, un motivo c’era. 

 

Una volta consumata la strage dei funzionari sospettati di fedeltà al partito e non al presidente è entrato in scena il generale John Kelly, che nel giro di mezz’ora dal giuramento come capo di gabinetto ha indicato la porta a Scaramucci. In un certo senso ha semplicemente applicato una lezione del manuale dei marines, che promuove la “volontà di accettare una sfida e di affrontare il pericolo”, ma per cacciare il capo della comunicazione che aveva ottenuto il privilegio di rispondere direttamente a Trump, Kelly doveva avere un chiaro mandato presidenziale. Non è un caso che Trump si affidi ai militari. Nella gestione di tutte le crisi interne il presidente si è affidato a uomini d’arme, percepiti come custodi e interpreti della fedeltà incondizionata che considera al di sopra di ogni valore. Di fronte a un apparato di governo dominato dai tradimenti, dalle doppiezze e dalle faide fra correnti e personalità, un colabrodo dove ogni notizia riservata arriva nel giro di minuti – nemmeno di ore – all’orecchio di un giornalista, la disciplina militare dà una certa sensazione di solidità. L’attaccamento allo stato e lo spirito di abnegazione dei generali offrono una qualche garanzia di solidità in un mondo dove le alleanze saltano con incredibile fragilità. Trump nutre un certo rispetto verso la divisa dai tempi in cui il padre lo ha mandato in una scuola militare dello stato di New York per correggere certe sue esuberanze giovanili. Un gradino al di sotto dei legami di sangue, unica affiliazione su cui fare affidamento, per Trump c’è l’onore e lo spirito di fedeltà dei militari.

 

L’ex generale Michael Flynn aveva tradito la fiducia, ma per correggere l’errore il presidente si è affidato al capace e inflessibile McMaster. Kelly era già a bordo dell’Amministrtazione nella delicata funzione di segretario della Sicurezza nazionale, e già nei primi giorni della presidenza aveva stretto un patto con James Mattis, segretario del Pentagono e altro pilastro in mimetica del governo trumpiano. Uno dei due sarebbe sempre rimasto sul suolo americano per assicurarsi che gli ordini della Casa Bianca in materia di sicurezza nazionale fossero correttamente recepiti e svolti. Il passaggio di Kelly a capo di gabinetto rafforza il potere della componente militare del governo, un surrogato della famiglia dal quale Trump si aspetta totale fedeltà e al quale è disposto forse a concedere qualche margine di manovra.