Operazione di salvataggio al largo delle coste della Libia . Foto LaPresse/Reuters

Storia di un'idea italiana per la Libia

Daniele Raineri

Un progetto del 2009 doveva risolvere il problema dell'immigrazione dalla frontiera libica, ma è stata frustrato dall’instabilità di Tripoli

Roma. Si è cominciato a parlare di una iniziativa italiana per controllare il confine sud della Libia già nel 2008, quando c’era ancora Gheddafi e gli sbarchi in Italia furono circa 37 mila. Il concetto di fondo è semplice. Le rotte per arrivare in Europa sono due, quella balcanica che parte dalla Turchia e quella del mare che parte dalla Libia. La rotta balcanica oggi è bloccata del tutto grazie a un accordo con il governo turco. Se si potesse fare un accordo simile con la Libia si potrebbe chiudere anche la rotta del mare, ma è molto più difficile perché nessun governo da solo (nemmeno quello di Gheddafi) riesce a controllare bene la frontiera sud, in mezzo al deserto, attraversato da migliaia di persone che poi si ammassano sulla costa libica per partire a bordo dei barconi verso l’Europa (che poi vuol dire: verso l’Italia). Oggi che il governo libico è sdoppiato in due, uno a est e l’altro a ovest, e che nel paese c’è una situazione di anarchia pericolosa la situazione è ancora più difficile da controllare e infatti il numero degli sbarchi in Italia è più che quadruplicato. Per questo il ministro dell’Interno, Marco Minniti, dice che “la partita si gioca in Libia”.

     

La partita tuttavia è cominciata nel 2008 e non è mai stata chiusa. L’anno seguente l’italiana Selex sistemi integrati, controllata da Finmeccanica, annunciò un accordo da 300 milioni di euro con il governo libico per l’installazione di radar di terra Land Scout, che sono capaci di rilevare lo spostamento di veicoli e di persone a piedi attraverso la frontiera. All’inizio di agosto 2010 Finmeccanica dichiarò che il contratto era stato firmato e cominciò le operazioni in Libia ma, com’è noto, nel febbraio 2011 iniziò la rivolta contro Gheddafi e anche la fornitura e l’installazione del network di radar di terra furono travolte. Una compagnia d’assicurazione genovese, la Italbrokers, fu incaricata a novembre di capire quanti radar fossero stati già consegnati e quanti distrutti oppure sequestrati dai rivoluzionari, si parlò di una perdita di novanta milioni di euro. Nel frattempo si fece avanti il governo di Parigi, che voleva imporre un nuovo contratto di sorveglianza a favore della francese Eads – che aveva installato un sistema simile in Arabia Saudita – ma il tentativo andò a vuoto, come pure anche la pretesa francese di rinegoziare i contratti dell’energia e di annullare quelli precedenti che vedevano favorita l’italiana Eni.

  

L’accordo e le altalene politiche

Nel 2009 la Selex era entrata in trattativa, sempre con la Libia, anche per la vendita di un numero di droni Falco – fino a cinquanta – sempre con lo stesso obiettivo, sorvegliare i confini e tenere d’occhio chi attraversa il deserto, ma anche di questo contratto non se ne fece nulla. E’ un’altra prova del fatto che quando oggi si parla di riportare quella zona sotto un minimo di controllo, si sta semplicemente rispolverando un’idea già molto precisa che però non è stata messa in pratica otto anni fa.

   

Nel 2013, quando la Libia raggiunse di nuovo un poco di stabilità, si cominciò di nuovo a parlare di un accordo con gli italiani per la sorveglianza del confine sud. A novembre il ministro della Difesa, Abdullah al Thinni, disse a Reuters che la Libia aveva firmato un contratto con una compagnia italiana per un sistema di sorveglianza che funzionava grazie ai satelliti e che avrebbe coperto tutto il confine. “Alla fine del 2014 il confine sud sarà sigillato. I varchi di attraversamento e i punti deboli saranno chiusi grazie all’aiuto dei satelliti. Vedremo tutte le infiltrazioni e i veicoli in avvicinamento”. La compagnia era di nuovo la Selex di Finmeccanica. Al Thinni non rivelò dettagli tecnici, ma è probabile che si riferisse allo stesso sistema di sorveglianza satellitare che più a nord consente di tenere d’occhio le imbarcazioni in navigazione nel Mediterraneo grazie alla modalità change detection, che rileva cosa cambia nelle immagini a poche ore di intervallo e quindi consente di seguire il traffico di uomini anche nel deserto. Ma, di nuovo, scoppiò il caos – questa volta la crisi politica portò alla separazione di fatto del paese in due parti. Il ciclo del fallimento è chiaro: l’idea è buona, o almeno varrebbe la pena provarla, ma le condizioni della politica libica non permettono la realizzazione. Se lo stallo in Libia non finisce, le soluzioni tecnologiche sono inutili.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)