Scontri tra manifestanti e colectivos armati a Caracas (foto LaPresse)

Picchiatori a Caracas

Daniele Raineri

Chi sono le due squadracce di paramilitari che in Venezuela fanno il lavoro sporco per il governo Maduro

Roma. Durante la stagione breve della rivolta egiziana nel 2011 erano i baltageya. In Siria, nello stesso anno e prima che diventasse una guerra civile, c’erano gli shabiha, “gli spettri”. In Venezuela ci sono i colectivos e l’idea di base è la stessa: squadre di picchiatori che indossano vestiti civili e intervengono con violenza per intimidire e spegnere le manifestazioni popolari. Arrivano a coppie sulle motociclette, hanno un fazzoletto sul volto, molte mazze e giubbetti antiproiettile, qualcuno tira fuori una pistola, agiscono come se la polizia nazionale bolivariana non ci fosse – c’è un video di due giorni fa che li mostra mentre rubano in pieno giorno le moto di alcuni giornalisti a pochi metri da un cordone di agenti e quelli allargano tutti le braccia senza fare nulla.

 

E’ proprio questo il ruolo dei colectivos (come lo era degli altri hooligan filogovernativi in Egitto e in Siria): agire nelle strade in tandem con la polizia, come complemento irregolare delle forze di sicurezza ufficiali, per affrontare assieme e con efficienza brutale le proteste di massa che vanno avanti da sei settimane in Venezuela e fare quello che i poliziotti non possono fare davanti ai giornalisti. A colpi di mazza e di pistola hanno ucciso quaranta persone finora – in molti indicano negli uomini dei colectivos i responsabili e ci sono video che confermano – e la situazione potrebbe peggiorare perché il paese è in una crisi strutturale da cui sarà complicato tirarsi fuori senza cambiamenti drastici. I beni di consumo scarseggiano, i corrispondenti stranieri descrivono episodi di denutrizione (in un paese che ha più riserve di greggio dell’Arabia Saudita), i negozi sono vuoti, la moneta perde valore e il governo di Nicolás Maduro – che nei sondaggi è dato tra il venti e il venticinque per cento dei consensi – si arrocca e ignora la richiesta principale dei manifestanti, elezioni libere. Il calendario politico prevede elezioni generali nel novembre 2018 (quelle regionali sono state sospese, non si sa quando saranno tenute) ma ora c’è un decreto del primo maggio firmato da Maduro che annuncia una riforma costituzionale capace di svuotare di potere il Parlamento. Così, mentre l’opposizione due giorni fa ha lanciato la marcia “della mierda” e ha inaugurato la tattica del lancio di barattoli di feci contro i poliziotti “per umiliare ma non ferire” gli avversari, la presenza degli uomini armati dei colectivos nelle strade fa pensare alla possibilità di un salto di qualità nella violenza in Venezuela.

 

In origine la parola colectivos indicava qualsiasi tipo di comunità organizzata di cittadini che appoggiava la rivoluzione bolivariana di Hugo Chávez e teneva eventi sociali, e non per forza a carattere militare, di appoggio e sostegno al Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv). Questi collettivi si sono in fretta mutati in servizi d’ordine, hanno ricevuto addestramento militare e armi, sempre sotto l’occhio benevolo del governo che li considera una parte delle Forze armate – con il compito di tenere a bada la coesione popolare. In questo senso forse il paragone più azzeccato non è con i picchiatori arabi, ma con i bassiji iraniani, la milizia volontaria incorporata nelle forze di sicurezza dell’Iran che tanta parte ebbe nella repressione della cosiddetta Onda verde a Teheran nel 2009. Oggi i colectivos venezuelani sono quasi un centinaio e i più temuti sono due. Uno è il Movimiento Revolucionario de Liberación Carapaica, attivo almeno dal 2002, che fa circolare su internet foto dei suoi uomini – i carapaicas – a volto coperto e con mimetiche e fucili d’assalto. L’altro è La Piedrita, che è in giro fin dal 1985, e sfila sotto una ricca inconografia di madonne che imbracciano kalashnikov e slogan rivoluzionari. “Hasta Siempre Comandante Simón Bolívar. Patria o Muerte”. La Coordinadora Simón Bolívar nella capitale Caracas, i Tupamaros – che sono quelli con il profilo politico più preciso – e il Colectivo Alexis Vive sono altri tre nomi da tenere d’occhio, ora che la situazione promette di andare verso il peggio e la repressione di alzarsi di livello.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)