Ali Khamenei (foto LaPresse)

Khamenei risponde alle minacce di Trump: "Non abbiamo paura di te"

Il presidente americano mette il dito nelle ferite fra Russia e Iran. L'ayatollah iraniano annuncia manifestazioni contro il presidente americano per venerdì prossimo

(Aggiornato in redazione alle 13:30). L'ayatollah iraniano Ali Khamenei ha risposto all'avvertimento lanciato dal presidente americano Donald Trump di fermare i suoi test missilistici. Il leader supremo ha detto stamattina che la Casa Bianca ha mostrato il "vero volto" della corruzione americana. Khamenei ha replicato a Trump nel suo primo discorso dal giorno dell'insediamento del presidente degli Stati Uniti. L'ayatollah ha anche invitato gli iraniani a rispondere alle "minacce" di Trump in occasione dei festeggiamenti per l'anniversario della rivoluzione del 1979, in programma venerdì prossimo. "Ringraziamo Trump per averci reso la vita più semplice mostrandoci il vero volto dell'America", ha detto Khamenei in un incontro con i vertici militari a Teheran. "Ha confermato quanto ripetiamo da oltre 30 anni sulla corruzione politica, economica, morale e sociale del sistema di potere negli Stati Uniti".

 

Trump aveva condannato il lancio missilistico di Teheran dello scorso 29 gennaio: "Stanno giocando col fuoco", aveva avvertito, minacciando nuove sanzioni contro individui ed entità legate al leader supremo. "Nessun nemico può paralizzare la nazione iraniana", ha risposto Khamenei. "Trump dice che dobbiamo avere paura di lui. No! Il popolo iraniano risponderà alle sue parole il 10 febbraio".

 


  

New York. Ieri l’editorialista del Wall Street Journal Gerald Seib ha riferito di una conversazione con Bob Gates, ex segretario della Difesa sotto le amministrazioni di George W. Bush e Barack Obama. Secondo Gates, ci sono quattro scenari ad alto profilo di rischio per gli Stati Uniti: Iran, Corea del nord, Cina e Russia. Queste minacce si dividono in due categorie. La prima contiene i potenziali spiacevoli incontri e incidenti sul campo che possono innescare una serie di reazioni complicate da gestire. Una scaramuccia con la flotta cinese attorno agli isolotti contesi o un confronto con i russi nel mar Baltico può generare tensioni che altrimenti sarebbero sopite sotto la coltre del lavorio diplomatico o nel segno di un riavvicinamento. Nemmeno la mano tesa di Donald Trump alla Russia può esonerare Washington dall’eventualità di una frizione. La seconda categoria contiene invece gli scenari dove l’attrito è il frutto di un atteggiamento aggressivo, e dunque la tensione è parte di una strategia deliberata. Nelle prime tre settimane di attività, l’Amministrazione Trump ha preso posizione contro Teheran e ha fatto in modo che il cambio di passo fosse il più evidente possibile.

 

Prima il consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn, ha annunciato direttamente dalla sala stampa della Casa Bianca “l’avvertimento” contro l’Iran per i test missilistici già visti in passato, poi è arrivato il nuovo round di sanzioni. Alla reazione dura dei diplomatici iraniani, Trump ha risposto che il regime degli ayatollah mostra un “totale disprezzo” per gli Stati Uniti e ha intimato che le sanzioni sono “soltanto l’inizio”. Il segretario della Difesa, Jim Mattis, ha onorato il soprannome che il presidente ama più di quanto lo ami lui, “Mad Dog”, e ha fatto un altro salto retorico, definendo l’Iran “un chiaro e presente pericolo per la regione, e infine anche per il mondo” nonché “il più grande sponsor del terrorismo nel mondo”. Dopo essere stato oggetto dell’appeasement di Obama, che ha chiuso la presidenza con un accordo voluto fin dal primo giorno alla Casa Bianca, l’Iran torna in cima alla lista delle forze ostili all’America, assurgendo al ruolo di dossier-sintesi di tutte le questioni calde, dal rapporto fra Trump e l’establishment repubblicano fino alle relazioni con Putin e gli alleati nel contrasto al terrorismo.

L’atteggiamento aggressivo nei confronti dell’Iran rimarca la distanza con la politica estera dell’Amministrazione Obama, rassicurando la base a suon di sanzioni e sospensioni dei visti, con la promessa che tutto questo sarà soltanto la caparra del rovesciamento dell’accordo nucleare; allo stesso tempo, mette in imbarazzo i falchi della destra nevertrumpista che dal primo giorno erano contrari al contenimento nucleare praticato da Obama, e ora si trovano loro malgrado allineati con la posizione del presidente. E’ significativo che Trump questa settimana incontri il neocon Elliott Abrams nell’ambito del processo di selezione del numero due del dipartimento di stato, ruolo che sembrava destinato all’ex ambasciatore all’Onu, John Bolton, che poi pare sia stato scartato per via dei baffi (a Trump non piacciono). Abrams è un acceso critico dell’accordo nucleare molto rispettato dai repubblicani che disprezzano Trump. Il ritorno dell’Iran al centro dell’asse del male ha anche lo scopo di mettere il dito fra Teheran e Mosca. Il Cremlino ha risposto con una nota alla designazione dell’Iran come maggior sponsor del terrorismo: “Non siamo d’accordo sulla definizione. Tutti sanno che la Russia ha ottimi rapporti con l’Iran, collaboriamo su molti dossier e godiamo di legami economici che, speriamo, continueranno”, ha detto il portavoce di Putin. La guerra in Siria ha fatto apparire l’alleanza fra il Cremlino e gli ayatollah come un sodalizio eterno e senza attriti, l’inscalfibile nucleo della coalizione russo-sciita che si oppone all’alleanza fra l’America e i paesi sunniti del golfo, risparmiati dal “ban” di Trump (da notare che l’escalation retorica è iniziata dopo una telefonata fra Trump e il re Salman dell’Arabia Saudita); in realtà le divergenze ci sono, ma sono state accantonate temporaneamente in nome della gravità delle circostanze. La Casa Bianca sta lasciando trapelare il fatto che è alla ricerca dei punti di frattura fra Mosca e Teheran, con l’idea di convincere Putin a scollarsi da un’alleanza intorno alla quale Trump non è disposto a compromessi. Un diplomatico europeo ha descritto al Wall Street Journal la situazione nei termini di una trattativa già avviata: “Quello che non è chiaro è ciò che Putin vuole in cambio dell’indebolimento della relazione”.

O loro o noi, sembra dire Trump al presidente russo, con il quale non ha mai nascosto di volere una relazione amichevole. E’ da leggere in questa chiave anche la postura critica nei confronti della Russia che l’ambasciatrice Nikki Haley ha articolato davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre dall’altra parte i falchi come Bolton – che avrà baffi inaccettabili per Trump, ma è ascoltato nei circoli della Casa Bianca – sostengono non soltanto che l’Iran non sta rispettando i termini dell’accordo nucleare, ma quegli stessi termini non gli impedirebbero di costruire un programma nucleare parallelo. Sul Wall Street Journal ha spiegato che un deal fondato sul principio dell’appeasement non può dare risultati accettabili per Washington nemmeno se fosse rispettato, una posizione certamente condivisa da molti alla Casa Bianca.