Rafael Correa (foto LaPresse)

Te lo do io l'Ecuador

Luciano Capone

Da un lato l’Europa di Draghi, dall’altro l’America latina di Beppe Grillo. Modelli a confronto

Roma. Mario Draghi o Rafael Correa? L’euro e l’Unione europea o la sudamericana Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba)? Alla fine è un po’ questa la scelta cruciale sul tipo di istituzioni politiche e sistema economico che l’Italia si trova davanti. Nei suoi recenti interventi pubblici il presidente Draghi non ha parlato solo di politica monetaria della Banca centrale europea, ma ha eretto una difesa delle istituzioni istituzioni e dei princìpi alla base dell’Unione europea e indicato un modello di sviluppo: preoccupazione per l’avanzata dei populismi e rifiuto del protezionismo a essi collegato, difesa dei benefici della moneta unica e del mercato comune. “C’è oggi chi crede che l’Europa starebbe meglio se non ci fosse la moneta unica e si potesse invece svalutare il tasso di cambio – ha detto nel discorso di Lubiana – Ma come abbiamo visto, i paesi che hanno implementato le riforme non dipendono da un tasso di cambio flessibile per raggiungere una crescita sostenibile”. Draghi ha ricodato una scomoda verità, che se un paese una bassa crescita della produttività a causa di problemi strutturali, le svalutazioni valutarie non sono una risposta. E’ evidente che si tratta di una posizione di netta alternativa – molto più netta dei tentennamenti delle forze cosiddette governative e riformiste – all’avanzata dei movimenti euroscettici.

 

 

Se da un lato la strada tracciata da Draghi è chiara (riforme strutturali, disciplina fiscale, stabilità monetaria e apertura dei mercati), qual è l’alternativa proposta dai partiti populisti? Di base c’è molta confusione, ma se si vano a guardare le prese di posizione e le proposte economiche del Movimento 5 stelle – che in Italia è la principale forza politica anti sistema – l’alternativa indicata è la sudamericanizzazione del paese, delle sue istituzioni e della sua economia. Il M5s ha più volte detto che per “combattere il processo dominante e neoliberista” i paesi meridionali dell’Europa devono seguire l’esempio dell’Alba, l’alleanza politico-economica tra i paesi del Sud America ideata da Hugo Chávez e Fidel Castro. Alessandro Di Battista, che è un po’ il ministro degli esteri ombra del governo grillino, è stato uno dei pochi nel mondo civile a dichiarare che il collasso totale, politico ed economico, del Venezuela socialista è il frutto di “un tentativo di colpo di stato”, arrivando a difendere la dittatura chavista: “Le ingerenze di un paese esterno contro governi democraticamente eletti, com’è quello di Nicolas Maduro, costituiscono atti violenti da condannare”. Mentre i venezuelani fanno letteralmente la fame, sfiancati da anni di recessione, dall’inflazione più alta del mondo, in coda ai supermercati per la carenza cronica di beni essenziali e mentre proseguono gli arresti degli oppositori politici, il M5s è stato anche l’unico partito che in parlamento ha votato contro una mozione di condanna nei confronti del governo del Venezuela.

 

Ma più recentemente, Beppe Grillo ha indicato come “modello” un altro paese sudamericano, l’Ecuador, per aver ripudiato il debito: “Con la sua presidenza, l’Ecaudor è tornato ad essere uno Stato sovrano – ha scritto grillo in una lettera indirizzata al presidente Rafael Correa – non più dipendente dai massacri sociali prodotti dalle ‘rigorose condizionalità’ del Fondo monetario internazionale. Presto lo sarà anche l’Italia”. Sembra più una minaccia che un auspicio, visti i risultati del “Socialismo del XXI secolo” in Sud America. Dopo gli anni di vacche grasse dovuti all’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio e delle materie prime, in cui i governi hanno dissipato tutte le risorse in misure redistributive raddoppiando la spesa pubblica e preparando le condizioni per voragini nel bilancio pubblico, le economie “bolivariane” sono entrate in crisi. A differenza di paesi come il Cile, che negli anni del boom hanno messo gli extraprofitti in cascina in vista dei periodi di vacche magre, i demagoghi sudamericani hanno speso tutto in nome della “sovranità” e dell’“autodeterminazione”.

 

Niente di nuovo, sono gli effetti di quello che alla fine degli anni 80 l’economista tedesco del Mit Rudi Dornbusch, parlando dei paesi sudamericani,chiamava “Populismo macroeconomico”. Secondo Dornbusch il populismo macroeconomico si concentra sulle politiche fiscali espansive e sulla redistribuzione del reddito a favore dei più poveri (dice qualcosa il reddito di cittadinanza?), senza alcuna preoccupazione per il deficit di bilancio, l’inflazione, i vincoli esterni e le reazioni degli agenti economici alle politiche anti mercato. Ovviamente si tratta di un andazzo insostenibile che porta iperinflazione, recessione e instabilità politica. Il Venezuela ha pensato di uscirne stampando “moneta sovrana” che ora non vale più nulla. L’Ecuador invece, a causa delle stesse politiche scellerate negli anni passato ha adottato il dollaro ed è stato quindi costretto a tagliare la spesa pubblica in recessione (austerity). L’Ecuador è quindi in una situazione più stringente rispetto all’adesione a un’unione monetaria, ma in 10 anni Correa non ha mai pensato di abbandonare il dollaro per una “moneta sovrana”: “Uscire dalla dollarizzazione provocherebbe un caos economico, sociale e politico”. In questo senso Correa è molto più sensato di chi, come Grillo, vuole portare fuori dall’euro un paese come l’Italia, per farne una specie di Venezuela senza petrolio. 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali