Steve Bannon (foto LaPresse)

Con una mossa nixoniana, Bannon aggira la catena di comando

Accentra et impera. Il gran consigliere di Trump e Kushner hanno un think tank interno per controllare tutte le fasi di governo

New York. Il racconto delle dinamiche interne della Casa Bianca in queste prime settimane di governo suggerisce, in sostanza, che Steve Bannon governa e gli altri stanno a guardare. L’onnipresente stratega scrive discorsi, detta ordini esecutivi, taglia fuori colleghi che dovrebbero essere parigrado (questo era formalmente l’accordo con Reince Priebus, il capo di gabinetto: non sta andando così) e si è autoassegnato l’accesso a tutte le commissioni del consiglio di Sicurezza nazionale, cosa assai inusuale per un consigliere politico. Il consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn, non l’ha presa bene, e i trumpologi che tentano di decifrare il linguaggio dei segni alla Casa Bianca hanno letto la sua uscita in prima persona sull’Iran, messo “on notice” per le attività missilistiche, anche come un’occasione per dare un segnale della propria centralità. Qualche giorno fa Frank Bruni, editorialista del New York Times, lamentava la scomparsa dal radar politico di Jared Kushner, il genero che nel gioco degli equilibri dovrebbe fare da contraltare moderato e glamour all’oltranzismo con la barba incolta di Bannon, che è uno che mentre tutti vanno alla tradizionale cena di gala dell’Alfalfa club trattiene il presidente nello Studio ovale per organizzare la prossima mossa. In realtà, Kushner rimane fondamentale.

 

Dicono che allo Shabbat, quando l’ortodosso genero non è nei paraggi, Trump diventi particolarmente nervoso e intrattabile. Kushner è l’ansiolitico, lo stabilizzatore di personalità del presidente, ma è anche parte integrante della più vasta strategia bannoniana di accentramento. I due hanno costituito una nuova struttura all’interno della Casa Bianca chiamata Strategic Initiatives Group, una specie di think tank che ha il compito di produrre policy e informare il presidente su meccanismi del potere che inevitabilmente sfuggono a un’Amministrazione contraddistinta dall’inesperienza. Significa, in altre parole, che Bannon sta superando ampiamente il ruolo di funzionario, manager e consigliere per abbracciare anche la produzione di idee e soluzioni politiche. Con i primi, ruvidi ordini esecutivi, Bannon ha dimostrato di non farsi il minimo problema nell’aggirare burocrazie e saltare catene di comando. Il provvedimento sull’immigrazione è stato licenziato senza l’approvazione dei principali funzionari che si occupano del tema, cosa facilmente deducibile dalla quantità di errori, imprecisioni e relative rettifiche a cui la Casa Bianca è dovuta ricorrere.

 

Un funzionario del dipartimento della Sicurezza nazionale ha detto, in un incontro a porte chiuse con alcuni membri del Congresso riferito dalla senatrice Claire McCaskill, che tutti i decreti emessi finora sulla sicurezza, quelli nei quali Bannon è coinvolto in modo più diretto, “non sono stati fatti in risposta a una raccomandazione o a una valutazione della minaccia fatta dal dipartimento della sicurezza nazionale”. Si tratta di creazioni ex nihilo della Casa Bianca dominata da Bannon e dettata dall’agenda esposta in campagna elettorale. La creazione dello Strategic Initiatives Group sistematizza e dà una forma organica al modus operandi che si è affermato nella West Wing dal giorno dell’insediamento. Il pensatoio di Bannon e Kushner è composto da almeno venti esperti che rispondono direttamente a loro e non ha aree di intersezione con il consiglio per la sicurezza nazionale, apparato marginalizzato dall’ego strabordante dei pretoriani di Trump, fiduciari esclusivi o quasi del presidente.

 

L’irrituale nascita di questa struttura interna ha qualcosa di nixoniano e risponde perfettamente alla filosofia di Bannon, un marziale accentratore che prende le massime della sua rivoluzione dallo spirito barricadiero di Lenin e da quello umbratile di Sun Tzu. “Fai in modo che i tuoi piani siano oscuri e impenetrabili, e quando ti muovi, cadi come una saetta”, recita un passo dell’“Arte della Guerra” particolarmente amato da Bannon e che descrive perfettamente il processo di creazione del suo controgabinetto schermato dalle influenze dei burocrati, dei funzionari d’apparato, dell’establishment, dei politici “all talk no action”. Un ex funzionario dell’Amministrazione Obama ha spiegato a Newsweek che il metodo di Bannon è “davvero folle”: “Essere un consigliere politico razzista e misogino è una cosa, ma quando quella persona controlla la politica domestica e di sicurezza nazionale è il momento di rompere il vetro in caso d’emergenza”. 

Di più su questi argomenti: