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Se ora i regolatori “guidano” l'Auto

Alberto Brambilla
La Germania vuole dimostrare che tutti fanno come Volkswagen. Le “emissioni” di Fiat sotto accusa

Roma. Nel novembre scorso, dopo la cerimonia per la quotazione di Ferrari a Wall Street, Sergio Marchionne profetizzò che le ingerenze delle autorità che regolano gli standard di emissioni e non solo avrebbero frustrato le libertà d’azione dei manager dell’industria automobilistica. Il ceo di Fiat-Chrysler Automobiles aveva intuito le conseguenze sistemiche dello “scandalo emissioni” Volkswagen che era esploso due mesi prima motivando poi un ricambio al vertice e promesse di rivoluzione a Wolfsburg.   Marchionne probabilmente non sarà sorpreso dalla determinazione con cui le autorità tedesche, dopo l’umiliazione subìta dal loro campione nazionale, cercano di trascinare in un “euro-dieselgate” anche FiatChrysler Automobiles, il quarto costruttore per vendite in Europa. Nel fine settimana i media tedeschi hanno suonato la grancassa facendo diventare un caso di rilevanza continentale i risultati di un’indagine condotta a partire da settembre dal Kraftfahrt-Bundesamt, il registro automobilistico, su input del ministero dei Trasporti tedesco, per verificare se altri costruttori avevano usato meccanismi elettronici per ridurre artificiosamente le emissioni dei motori diesel, proprio come aveva fatto Volkswagen. La settimana scorsa Fca aveva disertato la convocazione del ministro Alexander Dobrindt che chiedeva chiarimenti. Ieri il settimanale Bild am Sonntag diceva che il registro automobilistico ha rilevato che la 500X, Suv urbano prodotto in Basilicata e strategico per Fca, ha installato un software che interrompe il meccanismo di riduzione delle emissioni dopo 22 minuti. Accuse respinte da Detroit. Ma nel timore di uno stop delle vendite, invocato dall’associazione ecologista Umwelthilfe, Fca ha perso 4,4 punti in Borsa.

 

“Non c’è dubbio che la Germania ha interesse a mettere in evidenza che il problema che ha riguardato il suo campione nazionale, Volkswagen, riguarda tutto il settore automobilistico e vuole trascinare con sé gli altri costruttori. Anche a costo di esporsi a una reazione da parte delle altre autorità nazionali”, dice Giuseppe Berta, storico dell’industria italiana e docente all’Università Bocconi di Milano. Dopo il caso Volkswagen nato dalle indagini della Environmental protection agency (Epa), gli standard di emissioni sembrano diventati uno strumento diffuso con cui le autorità nazionali colpiscono i costruttori di automobili, l’industria delle industrie come la definì all’inizio del ’900 l’economista Peter Drucker. Il 16 maggio scorso il ministero dell’Ambiente della Corea del sud, patria di Hyundai e Kia, aveva accusato la casa franco-nipponica Nissan-Renault di avere manipolato con dispositivi “defeat devices”, programmi che riconoscono quando avviene la fase di test, le emissioni del modello Qashqai, un Suv crossover, minacciando dunque multe e il ritiro dei veicoli interessati.

 

L’accusa era particolarmente imbarazzante per Nissan che ha respinto l’accusa con forza. Proprio la settimana precedente, Nissan aveva annunciato che avrebbe preso con 2,2 miliardi di dollari il controllo di fatto di Mitsubishi, finita nei guai perché rea confessa di avere truccato i risultati delle emissioni dei suoi motori dal 1991, ovvero da 25 anni. Il gruppo Nissan-Renault-Mitsubishi vende 9,5 milioni di auto in tutto il mondo – comprese Thailandia e Filippine, i mercati più forti di Mitsubishi – dietro a Volkswagen (9,9) e Toyota (10,1). “Il tema della regolamentazione diventerà sempre più forte e vedremo delle dispute ancora in futuro perché non ci sono, in particolare in Europa, delle autorità uniche capaci di fare rispettare degli standard omologati”, aggiunge Berta. Il caso Germania contro Fca insegna. Alle prime avvisaglie di zizzania tra Berlino e Roma per via dell’indagine tedesca, il Sole 24 Ore parlava di “strane lezioni tedesche all’Italia” dicendo che la normativa in fatto di standard di emissioni è comune a livello di Unione europea ma non c’è un unico organismo capace di farla rispettare. Il registro automobiistico tedesco – aggiungeva il quotidiano della Confindustria, sindacato degli imprenditori dal quale Fiat è uscita nel 2011 contestualmente al matrimonio con Chrysler – avrebbe per questo dovuto informare le autorità italiane anziché procedere con una specie di atto d’accusa unilaterale. Il caso va oltre la specificità della diatriba. La regolamentazione degli standard e l’identificazione di una autorità responsabile del rispetto dei vincoli diventeranno sempre più rilevanti man mano che si svilupperanno nuove tecnologie, come l’automobile senza conducente, che richiederanno una revisione o una innovazione delle regole. “La sperimentazione della driverless-car, che ora avviene solo in Nevada e in California, non può essere fatta senza un sistema di regole che vincolino la circolazione automobilistica. Non è peregrino sostenere che l’omologazione, in tal caso, dovrà riguardare anche il codice stradale”, conclude Berta. Non a caso Google, che ha un accordo con Fca per sviluppare l’auto che si guida da sola, è stata l’azienda sentita più spesso (almeno 120 volte) dall’Amministrazione Obama.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.