Donald Trump (foto LaPresse)

Perché il porno-dossier contro Trump è una bufala

Daniele Raineri

Un esperto di intelligence russa spiega i punti poco credibili del documento devastante fatto circolare martedì sera 

Mark Galeotti è un professore inglese specializzato in sicurezza, intelligence e crimine in Russia, ha una posizione equilibrata – non è l’ennesimo adepto del culto di Vladimir Putin, anzi è critico, ma quando argomenta lo fa con prove e fonti e non a vanvera – e ieri notte è stato uno dei primi a scrivere un’analisi molto scettica del dossier di 35 pagine contro Donald Trump. Il documento contiene alcune accuse brutali che si possono riassumere così. Uno, la Russia ha collezionato materiale compromettente contro Trump per poi ricattarlo e danneggiarlo in modo grave se necessario, una pratica molto usata chiamata kompromat (un esempio classico e reale di kompromat: l’intelligence russa può depositare materiale pedopornografico nella memoria del computer di un oppositore politico e poi denunciarlo alla polizia). Nel caso di Trump, i russi avrebbero piazzato telecamere nella sua stanza d’albergo durante un viaggio a Mosca nel 2013 e lo avrebbero filmato mentre chiedeva ad alcune prostitute russe una pratica sessuale chiamata “pioggia dorata” – nel caso specifico la richiesta del magnate alle donne fu fatta per soddisfare il desiderio di assistere a un gesto oltraggioso e simbolico contro il letto della stessa stanza d’albergo che aveva ospitato la coppia presidenziale Michelle e Barack Obama (non c’è alcuna prova che sia successo davvero, ma chi ha scritto questo kompromat sapeva che avrebbe fatto il giro del mondo via internet).

Accusa numero due: l’avvocato personale di Trump, Michael Cohen, ha viaggiato a Praga “a fine agosto o inizio settembre 2016” per incontrare alcuni emissari della leadership russa, e anche Carter Page, consigliere di Trump in politica estera, ha viaggiato a Mosca la scorsa estate per parlare con funzionari russi – che hanno chiesto che le sanzioni americane contro la Russia fossero ritirate e che hanno avvertito Page: abbiamo del kompromat contro Trump. Accusa numero tre: la campagna elettorale del repubblicano e il governo russo collaboravano in modo attivo nel caso dell’hacking contro i democratici, lo staff di Trump mandava in Russia informazioni arrivate grazie a talpe infiltrate nel campo avverso e forniva anche dettagli riguardanti gli oligarchi russi che vivono in America e le loro famiglie. Accusa numero quattro: c’è un patto tra Trump e i russi, in cambio dell’aiuto per avere la presidenza il prossimo presidente ignorerà il dossier Ucraina, e quindi gli interventi militari russi contro il governo di Kiev.

Galeotti scrive che la superspia che ha redatto il documento contro Trump cita contatti con troppe fonti e troppo di alto livello e per questo non è credibile (Christopher Steele, ex funzionario dei servizi segreti inglesi che ha poi fondato una propria agenzia privata d’intelligence, la Orbis, con base a Londra). Nessuno, sostiene il professore inglese, dispone di questa gamma di conoscenze trasversali e intime dentro le istituzioni e il mondo del business russo, che per sua natura è paranoico per quanto riguarda confidenze e fughe di notizie. Di solito, spiega, le fonti dell’intelligence sono autisti, amanti, famigliari e guardie del corpo, e quello che dicono va composto con pazienza come un puzzle: e come fa questa superspia a sfoggiare tutti questi contatti diretti di alto livello? Non è possibile che abbia avuto servite in modo così comodo informazioni per cui la Cia o i servizi segreti inglesi avrebbero dato un braccio. Inoltre, è come se tutte le fonti citate – dal portavoce stampa Dmitri Peskov ai funzionari del ministero degli Esteri al magnate del petrolio Igor Sechin – fossero a conoscenza del piano per coltivare Trump come agente politico che avrebbe seminato il panico alle presidenziali americane e a conoscenza anche dell’esistenza di materiale kompromat. Ma di nuovo, a causa dell’estrema compartimentalizzazione del sistema russo e del clima di paranoia, è improbabile che tutte le fonti potessero recitare all’unisono la loro parte come un coro che canta seguendo lo stesso spartito.

Il dettaglio del viaggio di Cohen a Praga, poi, è il primo che secondo Galeotti sarà smontato: la scena è esotica, buona per una sceneggiatura, ma un viaggio in un piccolo paese europeo è facilmente smentibile, ci sono passaporti, registri, voli aerei. Perché andare a Praga, per coordinarsi, e che bisogno c’era di incontrarsi faccia a faccia? Non c’è soltanto Galeotti a contestare il dossier, che secondo alcuni è una fabbricazione per screditare gli oppositori di Trump – il sito Daily Beast per esempio dice che alcuni utenti di Reddit, un sito che ospita forum di fan sfegatati del presidente eletto, avrebbero gettato notizie false in pasto ad alcuni antitrumpiani per poi svelare di essere loro le fonti. In particolare, la storia della pioggia dorata sarebbe una polpetta avvelenata (“la pioggia dorata sarebbe una polpetta avvelenata”: una frase che è anche un frammento rivelatore del livello della cronaca politica americana di ieri). Il professore inglese scrive che in ogni caso la circolazione di un dossier così grossolano a proposito di Trump e del governo russo finirà per favorire Mosca, a cui interessa vedere l’America sfiduciata e senza certezze sulla credibilità della Casa Bianca, o della stampa, o di tutti. “Non pisciarmi sulla gamba per poi dirmi che piove”, dice un motto tranchant che in campagna elettorale circolava molto come risposta alle vaghezze del politicamente corretto. 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)