Sergio Marchionne (foto LaPresse)

Marchionne segue il vento di The Donald e porta lavoro nel Midwest

Ugo Bertone

Fiat è governativa per costituzione, pure con Trump

Milano. “Grazie Fca, Grazie Ford”. Dopo tanti schiaffi via Twitter, Donald Trump si concede un cinguettio gentile nei confronti delle società dell’Auto che hanno recepito il suo messaggio: l’Auto americana va fatta dagli americani, alla larga dal Messico (che pure resta una base produttiva per Fca). Sergio Marchionne è il più lesto a sintonizzarsi con la nuova musica che suona a Washington. Già domenica, il giorno prima di presentarsi ai giornalisti che lo aspettano al varco a Detroit, il ceo di Fca ha annunciato che la casa investirà un miliardo di dollari per rimettere a nuovo alcuni stabilimenti in Michigan e Ohio e così dare lavoro a 2.000 “tute blu” del Midwest, gli elettori che hanno tradito la fede democratica per seguire il tycoon newyorchese. Le nuove linee svuoteranno le catene di montaggio di Jeep e Ram a Saltillo, in Messico. “Un atto dovuto”, aggiunge lo stesso Marchionne “ringraziando di cuore il presidente che ci ha ringraziato”. E “super Sergio” fa subito sapere che “stiamo aspettando le nuove regole per l’Auto che Washington vorrà di introdurre e a cui non vediamo l’ora di adeguarci”. Tante cose sono cambiate dal 2009, quando Barack Obama accettò il rischio di giocare l’ultima carta per il salvataggio di Chrysler affidandosi a Fiat, all’epoca debole e scassata quasi quanto la cugina di Detroit. Allora sembrava che l’industria dell’Auto fosse pronta a cambiare pelle puntando su modelli a basso consumo e a basso inquinamento. E chi meglio di Fiat per convincere gli americani ad adattarsi alle utilitarie? La storia, si sa, ha preso un’altra piega. Le auto “verdi” di Fiat hanno fatto poca strada, con quote di mercato da suffisso telefonico.

In cambio, Marchionne ha fatto tesoro di quel che aveva: giganti della strada golosi di benzina, motori ruggenti ma che hanno obbligato Fca a fare il pieno di “diritti a inquinare” per evitare forti multe che comunque stanno per fioccare. A meno che Trump non riveda le regole, sgravando l’industria di Detroit (e non solo) dal fardello di investimenti insostenibili. Ben venga Donald, perciò. Addio Barack. Come, del resto, è tradizione di casa. “La Fiat – amava ripetere l’Avvocato Agnelli – è per costituzione governativa”. Ovvero il gruppo, ieri in Italia e oggi nella terra d’elezione, l’America, sa adattarsi alle situazioni e trarne profitto: ieri con Obama, spesso ospite delle fabbriche di Detroit, domani con il presidente che vuole un’America “Great again”, un po’ come la raccontava Clint Eastwood (trumpiano doc) nello spot Chrysler per il superbowl del 2012 – quasi un assaggio del “Trump pensiero”. Ma quali saranno, in questo clima, gli obiettivi di Marchionne? “Confermo tutti gli obiettivi al 2018”, ha detto ieri incontrando la stampa italiana. Ovvero, tanto per cominciare, azzerare i debiti, la zavorra che da sempre condiziona le sorti del gruppo italoamericano, e distribuire di nuovo il dividendo (“forse prima del 2018”). All’apparenza nulla di nuovo. In realtà c’è una grande novità: i mercati, da sempre scettici sulle scommesse del manager in maglioncino blu, oggi ci credono senza riserve. Da Evercore a Mediobanca fino a Goldman Sachs nelle ultime settimane si sono moltiplicate le pagelle positive per il gruppo, fino a giugno la Cenerentola del settore. Il titolo è balzato oltre la soglia dei 10 euro, con un guadagno del 15 per cento da inizio anno oppure, più significativo, su del 50 per cento dall’8 novembre, il giorno della vittoria di Trump.

Non è solo la politica a spingere il titolo che sale nonostante il calo delle vendite negli Stati Uniti. Anche questo è un buon segnale, dicono i tecnici. Fca ha rinunciato alle vendite a prezzi scontati alle flotte aziendali concentrandosi sui nuovi modelli che rendono di più (Stelvio, il nuovo Suv dell’Alfa, per esempio). Questa politica, dice Goldman, consentirà di passare da un indebitamento netto di 3,2 miliardi a una cassa di 4,7 miliardi di dollari che permetterà di sperare in una fusione a condizioni favorevoli (magari con General Motors). Da qui a fine 2018, quando Marchionne dovrebbe ritirarsi, avremo altre emozioni. Ma si ritirerà davvero? Forse un tweet di Donald potrà fargli cambiare idea. 

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