Foto di Cecilia Fabiano, via LaPresse 

DI COSA PARLARE STASERA A CENA

Gualtieri loda la Meloni di fine anno. Un altro paradosso nel Pd

Giuseppe De Filippi

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Roberto Gualtieri sempre più sindaco istituzionale, capace di dialogare con il governo, super partes. C’è qualche conseguenza anche nella partita per la regione Lazio. Una volta tanto non sarà un test nazionale, viste le condizioni delle opposizioni. Che, però, pensano bene di opporsi tra di loro e aprire la via alla vittoria del non fortissimo candidato meloniano. Un sondaggio uscito oggi ha mostrato con chiarezza il peso del 18 per cento attribuito alla candidata del M5s e la leggerezza del 34 per cento, di cui gode, per ora, lo sperimentato candidato del Pd. Ma non si pensi che la divisione sia tutta fatta solo di ripicche e personalismi.

I 5 stelle restano gli unici fortemente e convintamente contrari al termovalorizzatore (da cui dipende sia la speranza di ripulire davvero Roma sia il successo del mandato di Gualtieri). E canalizzano i loro voti su una scelta perdente ma pienamente caratterizzata. Il Pd gioca sì una buona carta con l’esperto assessore alla Sanità, importante non solo per come si è mosso contro il Covid ma anche per le residue speranze di mantenere il servizio sanitario in mani pubbliche e in modo efficiente, ma la questione del termovalorizzatore lo costringe a una corsa con pochissime speranze. Per Gualtieri, tornando sopra, c’è il paradosso per cui è più importante coltivare rapporti buoni (istituzionali, non politici) con la parte opposta che con quella contigua. Per un partito come il Pd nel quale sembrano destinati a contare sempre di più gli amministratori locali, con un presidente di regione, appoggiato da sindaci, e favorito per la segreteria, la questione romana si fa intricata e si arricchisce di significati e di paradossi.

 

Le tre "cose" principali

Fatto #1

Ma diamo al governo ciò che è del governo ed ecco qui la conferenza stampa della presidente Giorgia Meloni. Ci sono cose interessanti sulla lotta al Covid (all’indomani della decisione italiana sui controlli a chi arriva dalla Cina), sull’economia, sull’Ue, sulla partecipazione al sostegno internazionale all’Ucraina aggredita, e anche una versione un po’ disinvolta e bonaria della storia politica del Msi.

Fatto #2

E, appunto, la situazione della contesa per la segreteria del Pd (oggi il Foglio ne parlava con costernazione)

Fatto #3

La situazione in Iran, dove la rivoluzione lenta ha superato la durata di qualunque protesta precedente e dove la contestazione al regime islamico ha ormai messo le radici nella società, verso un possibile rovesciamento, anche senza azioni violente

 

Oggi in pillole

  • Sul fronte Covid non c’è solo il ritorno ai controlli in entrata nel paese ma anche una proroga delle misure di prevenzione nazionali
  • L’accanimento contro la comodità (contro pagamenti elettronici, identità digitale, ritiro di certificati fuori dagli uffici pubblici) è una stramba caratteristica di questi giorni. È un mistero la ragione per la quale la destra vorrebbe intestarsi questa impresa. Perché intende fare della scomodità una bandiera di destra?
  • Tutti o quasi stanno ricordano al solerte ministro Gennaro Sangiuliano che snobismo è parola con radice fortemente inglese e radical chic è espressione mezza inglese e mezza francese (resa eterna da un americano) e perciò non figurano alla perfezione in una tirata per la tutela dell’italiano. Che poi nel frizzante raccontino in presa diretta della cena da Leonard Bernstein cui Tom Wolfe ha dato il titolo di Radical chic il centro, per dire così, drammatico della vicenda era in un’altra espressione, francese, la nostalgie de la boue, cioè il modo di dire per effigiare i ricchi che si divertivano con qualche incursione nei modi e negli usi popolari o perfino cadevano nel fascino del degrado e della corrività. Curiosità: nella prima edizione italiana, sangiulianamente ma correttamente, si titolava “Lo chic radicale”, mettendo il sostantivo al posto del sostantivo e l’aggettivo a quello dell’aggettivo