DI COSA PARLARE STASERA A CENA

Sul green pass si misura l'efficacia del governo

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

La democrazia è un sistema per decidere negli ambiti pubblici e deve la sua reputazione tuttora (per fortuna) molto buona ai successi nel consentire di decidere cercando di mantenere la massima rappresentanza delle voci e delle ispirazioni politiche. Il movimento no vax, occasionalmente diventato no green pass, certamente è mosso da alcuni sinceri oppositori specificamente del vaccino e dello strumento per controllare l’accesso a luoghi pubblici e luoghi di lavoro. Ma, nella sua parte maggiore e più urlante, è costituito da consapevoli o inconsapevoli nemici della democrazia. Non certamente perché viene contestata una misura adottata da un governo che poggia su una ampia maggioranza. Anzi, la possibilità delle contestazioni è uno degli aspetti essenziali della democrazia, più precisamente della democrazia liberale e dello stato di diritto. Il punto è un altro. E riguarda le caratteristiche di questa benedetta decisione sul green pass al lavoro. Il problema, che come ha scritto Giuliano Ferrara ci tira pazzi se proviamo a risolverlo razionalmente, è che si va, effettivamente, a toccare scelte profondamente individuali, come quella di vaccinarsi o no, e lo si fa con nessun garbo, ma imponendo, in sostanza, un trattamento sanitario. Il guaio è che quel trattamento è anche, palesemente e secondo buon senso, non solo utile ed efficace ma anche necessario per fare in modo che il numero aggregato dei contagi, l’indice della pandemia, vada a ridursi e finalmente il pericolo a scomparire. Allora, tornando in alto, tutta questa mobilitazione per chiedere conto della razionalità e dell’accettabilità rispetto alla libertà individuale degli obblighi vaccinali indiretti, finisce, consapevolmente o no, per trasformarsi in una critica della democrazia, per mostrarne un punto debole, quello della capacità di decidere con soluzioni non pienamente dotate di consenso o fondate sul cento per cento di dimostrabilità del loro fondamento razionale. Lo abbiamo capito tutti e, nella grande maggioranza, sappiamo che si tratta di un momento eccezionale e passeggero. E sappiamo anche che i divieti sono sempre qualcosa di elastico e di gestibile, a condizione, però, che non vengano irrisi, a condizione che, come dire, si permetta al legislatore di salvare la faccia. La gestione morbida del green pass era possibile, rispettando queste banali regole. Se, però, il movimento anti green pass intende farne una battaglia politica, allora cambiano le condizioni di gioco. E si apre lo scenario in cui a essere messa in discussione è la capacità decidente di un governo democratico. Un gioco pericoloso, ma che, consapevolmente o inconsapevolmente, è quello in cui vuole portarci la protesta in corso in Italia. Intanto, per quello che può, il Parlamento cerca di non dare luogo a polemiche su discriminazioni e privilegi nel trito stile anti-casta. Per curiosità, cerchiamo qualche analogia all’estero.

 

 

Le tre "cose" principali

Fatto #1

Nelle contraddizioni, come si diceva una volta, appena citate ecco chi, con facilità, si inserisce. La lettura di Palazzo Chigi è diversa, meno politicamente esplosiva.

 

Fatto #2

La ministra Luciana Lamorgese in Parlamento, a difendersi dall’accusa di incapacità o peggio nel controllo degli sviluppi violenti delle proteste di piazza. Tra l’altro deve dire perché questi proclami non sono stati presi in considerazione. Ecco le parole della ministra, da un tweet con critiche dettagliate di Marco Taradash. La strana vicenda della generosità giudiziaria verso uno dei più determinati e pericolosi leader di Forza Nuova.

 

Fatto #3

Da Giorgia Meloni arriva perfino l’evocazione della strategia della tensione.

 

 

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