DI COSA PARLARE STASERA A CENA

La tentazione di Salvini: autoescludersi dal governo

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

Metteteli uno vicino all’altro. Mario Draghi che parla di governo che non ha interrotto la sua attività e ha approvato ambiziosi progetti di riforma fiscale (c’è di tutto, dal catasto all’Irpef, dall’Iva all’Irap). E Matteo Salvini che tenta di rimettere in riga il suo partito, dopo il brivido per la sconfitta elettorale, e si gioca la carta dell’attacco al governo. Salvini rischia un grande errore, con cui si porrebbe fuori dai giochi per le future maggioranze e con cui farebbe saldare una specie di alleanza dei draghiani per caso, di intesa tra i bravi e buoni.

 

 

Le tre "cose" principali

Fatto #1

La questione romana-calendiana. Il Pd ha fatto, con buon tempismo politico, la prima mossa. Mentre Carlo Calenda stava ancora nella fase delle interviste rivendicative e si sbilanciava verso l’idea dell’autosufficienza e del rifiuto degli apparentamenti, prima il segretario Enrico Letta e poi direttamente il ballottante (l’ho buttata lì e il correttore è stato buono) Roberto Gualtieri, gli si sono rivolti direttamente, chiedendo di esplicitare l’appoggio. “Mi aspetto che Calenda mi sostenga”, ha detto Gualtieri, facendo appello alla logica politica. Perché Calenda, per quanto portatore di una sua peculiare visione dell’Italia, ispirata al pragmatismo liberale e alla competenza, non è arrivato da Marte. Ma ha governato con il Pd, è stato nominato ambasciatore dal governo guidato da un segretario del Pd, ed è stato eletto al Parlamento europeo (al quale intende dedicarsi di nuovo a tempo pieno) in una lista del Pd, salvo poi avviarsi sulla sua autonoma strada politica. Insomma, qui non si tratta di cercare sfumature, perché non votando Gualtieri si vota un po’ Enrico Michetti, nel ballottaggio l’astensione degli amici e dei quasi-amici è una specie di voto espresso. Allora sarebbe il caso. Calenda, preso in anticipo, sembra infastidito dal tono di Gualtieri e fa un po’ il prezioso.

Ah, una cosa su Michetti. Lasciati i fasti dell’impero romano si è buttato, da qualche giorno, sulla sua specialità, il diritto amministrativo. Solo che lo usa con toni minacciosi, dicendo che per guidare un comune serve una profonda conoscenza di norme, leggi e regolamenti, e ci mancherebbe, ma aggiungendo anche un di più cavilloso, un tono da controllore burocratico, con i modi del funzionario che ti blocca tutto se gli gira male e che ti fa passare se, invece, gli fai simpatia. Lui dice di conoscere bene la burocrazia e di saperla tenere a bada e perfino renderla utile. Ma si stenta a credere che questo sia un argomento allettante per gli elettori. La competenza lo è certamente, ma questa è competenza usata in modo strumentale, esaurita nel gioco a somma zero del potere burocratico. E, comunque, se quella è la sua specialità allora si proponga come segretario generale del comune e non come sindaco.

 

Fatto #2

Il deficit sta andando un po’ meglio del previsto e questa tendenza incoraggiante emerge già dalla prima metà dell’anno. Le famiglie tendono a risparmiare un po’ meno.

 

Fatto #3

L’italiano Giorgio Parisi vince il Nobel per la fisica per i contributi allo studio della complessità, cioè dell’azione congiunta di schemi che a noi sembrano prevedibili con altri schemi di cui non immaginiamo le conseguenze. Vincono anche Syukuro manabe e Klaus Asselmann, insieme, per un modello di previsione del riscaldamento globale.

 

 

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