DI COSA PARLARE STASERA A CENA

L'impuntatura grillina sul cashback mentre il Titanic-M5s affonda

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere cosa succede in Italia e nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

Non c’è lo statuto, non c’è una guida, non c’è un abbozzo di percorso verso un’organizzazione del partito che tuttora esprime il maggiore gruppo parlamentare di questa legislatura, però c’è il cashback. Cioè c’è una di quelle strane fissazioni che, di tanto in tanto, prendono i 5 stelle. La misura forse la conoscete, consiste nel restituire al cittadino che paga con strumenti tracciabili, come carta di credito o bancomat (ma non bonifico, ad esempio, anch’esso però tracciabile), una parte della spesa come segno di riconoscenza per non aver sottratto alla visibilità tributaria i propri acquisti. È, come spesso accade, un provvedimento ispirato dalle migliori intenzioni, ma, poi, si perde un po’ nell’attuazione. Perché, sempre con ottime intenzioni (ma, in questo caso, di altro tipo, perché si voleva difendere il commercio fisico, il negozio su strada, ai danni di quello online), non rilevano per il cashback gli acquisti su internet. In ogni caso un po’ di informazioni, nei mesi di vigenza del cashback all’agenzia delle entrate saranno arrivate, peccato, però, che, come ha ricordato recentemente il direttore dell’agenzia, Ernesto Maria Ruffini, l’uso di gran parte delle informazioni per fini di controllo tributario è interdetto da regole di riservatezza e da altri muri legislativi. Ancora, i destinatari del provvedimento, cioè chi ne beneficia direttamente, sono i contribuenti onesti (ma che lo erano già prima) e con reddito alto, per loro, semplicemente mantenendo le abitudini quotidiane, arriva qualche soldino in più. Andando a stringere sembra un po’ un aiuto ai ricchi finanziato con i soldi di tutti (sembra un caso paradossale ma è un esito frequente con i bonus, ad esempio succede qualcosa di molto simile con quello sulle ristrutturazioni, altra grande passione dei 5 stelle). All’inizio si era tentato di contrastare il vantaggio quasi esclusivo per i ricchi cercando di premiare con il cashback non tanto l’importo delle transazioni ma la loro frequenza, quindi l’uso più ricorrente della carta di credito o del bancomat. Ma si è dovuto rinunciare a questa finezza perché l’effetto era stato la proliferazione dei micropagamenti, dovendo arrivare a vietare che, ad esempio, un pieno di benzina da 50 euro venisse pagato con 25 transazioni da 2 euro. Torniamo quindi ai 5 stelle. Succede, lo sappiamo tutti, che ieri la cabina di regia (organo informale nel quale passano i provvedimenti principali del governo) avesse deciso per la fine dell’esperienza del cashback. Oggi arriva la reazione grillina, guidata dal ministro Stefano Patuanelli e poi dal diluvio di dichiarazioni tutte uguali di tanti altri parlamentari a 5 stelle. Un’impuntatura su un provvedimento che è difficile vedere come una bandiera del populismo basico o di quello temperato o del moderatismo semplicione contiano o del plebeismo dibattistiano. Insomma, andare a difendere il reddito di cittadinanza o anche il decreto dignità da posizioni grilline, be’, sarebbe una battaglia politica comprensibile e le parole con cui ci si batterebbe avrebbero un suono coerente, intonato. Andare, invece, a sbracciarsi e sbavare alla grillina per dire “lasciate il cashback ai ricchi” sembra un po’ grottesco. Anche perché, nei piani del governo, il risparmio dall’abolizione della misura di incentivo all’uso dei pagamenti digitali verrà utilizzato per finanziare cose socialmente più concrete come la cassa integrazione con cui far fronte al rischio di licenziamenti. La domanda politica da fare a cena e se, invece, si tratti solo di un modo per far vedere a Mario Draghi che il movimento c’è e conta. Può essere, ma certamente non si arriverà all’uscita dalla maggioranza in nome della carta di credito. Intanto, mentre ci si batte per il cashback, c’è un Beppe Grillo in versione azzeramento totale, io vi ho creati e io vi distruggo. Il bersaglio è Giuseppe Conte.

 

 

Le tre "cose" principali

Fatto #1
Andrebbe rapidamente sistemata la questione dei certificati vaccinali o dei pass per muoversi in Europa o per partecipare a spettacoli e altri incontri pubblici. Ci sono molte indicazioni e, spesso, diverse tra loro. La commissione ce l’ha con la Germania che ha imposto, autonomamente e fuori dalle linee guida comunitarie, il divieto di accesso nel paese a chi arriva dal Portogallo. La Commissione chiede, poi, a tutti i 27 paesi membri di coordinare le regole per i viaggi, avendo cura di dare pieno diritto di mobilità a chi è guarito o ha completato il ciclo vaccinale. L’Italia, intanto, aveva diffuso i green pass anche a chi aveva fatto una sola dose di vaccino. C’è una certa confusione e non è un bene per i paesi a vocazione turistica.

 

Fatto #2
Accelerare con i vaccini e soprattutto con le seconde dosi, sta diventando l’obiettivo principale in tutta Europa.

 

Fatto #3
Il mercato del lavoro post-pandemia non riesce a riorganizzarsi, la questione della mancanza di lavoratori rispetto ai posti da coprire è mondiale, sarebbe bene che in Italia non la riducessimo a una piccola diatriba su o contro il reddito di cittadinanza e i suoi effetti. Serve molto impegno per riallineare domanda e offerta di lavoro, servono politiche pubbliche e consapevolezza e disponibilità da parte delle imprese. Eppure, succede anche che la riorganizzazione imposta dalla crisi sanitaria porti le aziende a investire nella ripartenza e a migliorare i processi produttivi.

 

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