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Il governo che barcolla e l'azzoppamento del Jobs act. Di cosa parlare stasera a cena

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere cosa succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

Il governo, mentre cenate, barcolla. Tria non cede e si appella alla Costituzione, Salvini parla poco (brutto segno), Di Maio fa il guappo e torna ai temi di Casalino riguardo ai tecnici mentre rimette sul piatto tutte le misure che farebbero saltare i conti.

 

Allora partiamo dalla sentenza della Corte costituzionale che smonta il criterio centrale, quello qualificante, del Jobs act e fissa una specie di restaurazione, un anno normale come si diceva negli accordi tra principati europei durante le guerre tra cattolici e protestanti, del diritto del lavoro all'éra pre renziana. Perché il punto è nell'abolizione del principio delle tutele crescenti e dei meccanismi automatici di indennizzo ad esse legati. La legge intendeva dare due certezze, una al lavoratore riguardo all'indennizzo che gli spettava e l'altra al datore di lavoro riguardo alla possibilità di licenziare. Il tutto, è qui è il cuore della faccenda, senza passare per un tribunale. Come è noto lo scopo della legge era quello di rendere più probabili e più frequenti le assunzioni, e la eliminazione del passaggio quasi obbligato in tribunale era uno degli assi. Era una misura di tipo liberale, basata sulla creazione di condizioni favorevoli al mercato. E stava dando i suoi frutti, pur tra molte difficoltà applicative. Ora la consulta ha stabilito che invece dovrà essere il giudice a decidere caso per caso (considerando tante variabili, anche rischiosamente aleatorie) e il meccanismo del jobs act salta. Il governo, nemico del renzismo e del Jobs act, esulta. Magari, chiacchierando a cena, potrete osservare che è un'esultanza obbligata ma forse con qualche timore e pensiero tenuti nascosti. Perché ora la somma degli effetti del decreto estivo sul lavoro (soprattutto per la parte sulle causali, e quindi sulla tribunalizzazione, per i rinnovi dei contratti a termine) e di questo smontaggio del jobs act rischia di avere effetti pesanti sul marcato del lavoro. Per il governo che sta abolendo la povertà (come dice Di Maio) sarà sgradevole trovarsi molti disoccupati in più e un probabile calo degli investimenti diretti dall'estero in attività industriali in Italia. Con molta correttezza, come è nella sua formazione accademica in buona parte americana, l'ideatore del jobs act, Filippo Taddei, ammette in un tweet la sconfitta. E sono molto preoccupanti per il futuro del mercato del lavoro italiano anche le stime sugli effetti della sentenza fatte dal Michele Tiraboschi intervistato da Repubblica.

 

Ci sono anche un po' di crisi industriali, ma la risposta del governo non è quella di gestirle, come dire, sul mercato, ma è quella di cercare soluzioni strettamente assistenziali, come nella spirale perversa che negli anni '70 e '80 aveva legato crisi industriali a sempre maggiore intervento pubblico, facendo poi saltare il banco. Situazioni che si vanno a legare alla manovra economica, ma se vorrete parlarne forse converrà ancora un po' di attesa per i contenuti, mentre il quadro generale in cui si deve operare diventa ancora più pesante con la riduzione delle stime di crescita dell'Italia da parte di Standard & Poor's (e pensate che diranno apprendendo che il jobs act non c'è più). Per l'agenzia di rating le stime sulla crescita non sono un semplice esercizio di previsione del futuro ma pesano nelle valutazioni sulla sostenibilità e affidabilità delle emissioni di debito di uno stato. Vedremo, quindi, che deduzioni trarranno in qualche giorno. Mentre Di Maio, che ci ha preso gusto, ora vuole altri vertici.

 

Per chi l'avesse perso c'è sempre la possibilità di rivedere Di Maio che in tv abolisce la povertà. Se proprio volete essere seri potrete ricordare che il famoso reddito dei grillini non sembra indirizzato contro la povertà ma più contro la disoccupazione. O almeno è una cosa a metà strada tra questi due obiettivi. E se proprio volete esagerare ricordate che la povertà, vero rompicapo per la sua presenza nelle società avanzate, dipende secondo gli studiosi da vari fattori, tra qui quelli strettamente economici non sono preponderanti, mentre hanno una grande importanza i comportamenti individuali, le dipendenze, le forme di esclusione sociale.

 

Quasi quasi ci fanno dimenticare del decreto sparito, quello urgentissimo sulla ricostruzione a Genova. Se volete parlarne a cena il punto chiave è nella figura del commissario, che, proprio per la somma di rispetto delle norme e capacità di risolvere qualsiasi problema, assume connotati utopici o, come ha detto il governatore della Liguria Giovanni Toti, si configura come una specie di Mosè o anche di più.

 

Se volete parlare di giornali ricordate che La Verità si sta comprando Panorama e chiedetevi che tipo di linea politica intenda dare allo storico settimanale.

 

Paola Taverna porterà il suo saggio avviso e la sua innata capacità di mediazione nell'assemblea parlamentare dell'Osce, anche per diffondere nel mondo le buone pratiche della democrazia rappresentativa e la vigilanza sulla qualità dei sistemi democratici.

 

Ma a proposito di nomine ecco che Taverna fa subito il paio con il promettente presidente entrante della Rai, il già notissimo Marcello Foa. La sua presidenza parte però tra ricorsi, nomine complesse, decisioni che potrebbero essere ribaltate. Oppure no, perché anche l'ultimo grande partito a opporsi alla nomina di Foa sembra non completamente deciso sul da farsi.

  

Oggi c'è calcio, frequenza alta di partite in questi giorni, e a cena si finisce per parlarne mentre la pallavolo sta entrando nella fase finale dei campionati