Il giorno dopo le elezioni: voto di protesta o di continuità? Di cosa parlare a cena

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati da Giuseppe De Filippi

Prima di riprendere a parlare di cose normali va smaltita la botta per questo micidiale esito elettorale. Dopo il voto, come sempre, comincia la politica. Anche se questa volta non si sa proprio da dove dovrebbe cominciare. Notare i toni con cui entrambi i vincitori, Di Maio e Salvini, provano ad accreditarsi come aggregatori e con cui cercano di smussare le asprezze e le autentiche stupidaggini proposte nei loro programmi. Una stranezza apparente può illuminare la mesta conversazione serale: in Italia non si è votato contro l'establishment nel 2013, in cui pure si era in piena crisi ed erano calde le polemiche anti-europee ma si è aspettato il 2018 con l'economia rimessa in carreggiata. C'è qualcosa che non torna, insomma. E allora, come possibile spunto a cena, provate a chiedervi e a chiedere se questo non sia stato un voto non di protesta ma di continuità, di fronte al rischio che un governo vero e innovativo potesse andare a smontare, con riguardo speciale per il Mezzogiorno, certe sacche assistenziali, certe pratiche basate sulla distribuzione di specifici sostegni economici. Insomma non si sarebbe votato, secondo questa interpretazione, tanto per il reddito di cittadinanza ma per evitare che si interrompesse il gioco delle finta invalidità e di tutto il resto dell'assistenza per lo meno dubbia. Intanto riguardiamo la composizione del Parlamento entrante, così a cena ci si può sbizzarrire nella semplice matematica fatta di somme politicamente difficilissime con cui cercare di individuare una possibile maggioranza.

 

C'è sempre chi butta lì il tema dei mercati, o per dire che alla fine non succede niente e gli allarmi sono infondati oppure per dirsi invece terrorizzato da quegli allarmi. Rispondete suggerendo uno sguardo un po' più lungo: che le borse non crollino il giorno dopo di un'elezione è normale, ma i danni nel medio termine di politiche sovraniste, protezioniste, diffidenti sull'euro, anti-riformiste, crescono a poco a poco, fino a diventare però gravissimi.

 

Le dimissioni, con un po' di tattica, da parte di Renzi: resterà per condurre il Pd durante la fase di formazione del nuovo governo. Significa lasciare un segno chiaro sulle future scelte del suo partito e vigilare sulle intese. Ora il Renzi uscente ma non uscito può gestire il dialogo col Quirinale e quello tra partiti, partendo però dal suo no dichiarato oggi con molta decisione a accordi diretti con i 5stelle o con Salvini. Intanto si apre una stagione congressuale, da seguire ovviamente (ne parlerete per diverse cene) soprattutto per vedere se il Pd saprà proseguire, anche con una nuova guida, nella direzione macroniana e liberale impostata, con qualche farraginosità, da Renzi. Qualcuno, nel Pd, dice che si è perso proprio per quella strategia. Vinceranno i continuatori o i contestatori?