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L'Italia ha un problema di biciclette. E c'entrano gli automobilisti

Giovanni Battistuzzi

Cosa ci dice sulla mobilità e sul nostro concetto di trasporto la decisione della società di bike sharing Gobee di lasciare la penisola 

La società cinese di bike sharing Gobee ha deciso che il free floating, ossia il servizio che permette a chiunque si registri sull'app di prendere a noleggio una bicicletta, di usarla e di lasciarla dove si vuole in città, non s'ha da fare, almeno in Europa. E non s'ha da fare perché "le nostre biciclette sono diventate il bersaglio di sistematici atti di vandalismo, trasformandosi così in oggetti da distruggere per puro divertimento. Mediamente, il 60 per cento della nostra flotta europea ha subito danneggiamenti, vandalismi o è stato oggetto di fenomeni di privatizzazione", scrive l'azienda in una email indirizzata agli iscritti al servizio. Bici lasciate senza criterio, gettate nei fiumi o nei navigli, danneggiate o rubate, sono diventate un motivo per salutare il nostro paese e tutta l'Europa: il business era diventato in perdita e quindi tanto vale fare fagotto e salutare.

 

Gobee aveva messo in strada nel novembre del 2017 le sue bici verdi per Firenze, Milano, Roma e Torino. Cinquanta centesimi ogni mezz'ora, un app per gestire lo sblocco e il blocco, un sensore gps e di allarme per segnalare gli usi impropri. Bici non belle, non funzionalissime per rapporto, troppo morbido, ma funzionali per essere usate da tutti e in brevi tratti di spostamento. Insomma mezzi abbastanza pratici per essere alla portata di tutti e abbastanza brutte da non diventare qualcosa di ambito da rubare. In Cina tutto ciò funziona: gli iscritti aumentano, gli spostamenti pure e con loro aumentano anche i finanziatori delle start up attive nel settore. In America pure: a Los Angeles i dati di Ofo, azienda rivale di Gobee, sui noleggi sono in continuo aumento e così nelle altre città servite come Seattle, Washington DC, Boston, Miami e Dallas. E anche a Londra i primi dati sembrano essere incoraggianti.

 

Il free floating funziona in quei luoghi dove non esiste la ciclabilità diffusa, dove il traffico è una preoccupazione percepita, e dove il servizio pubblico è efficiente, ma non rapido. Su queste basi sono state scelte le città dove investire, su queste basi è stato deciso di tentare l'esportazione di un nuovo modello di bike sharing, rispetto a quello classico caratterizzato da stazioni di parcheggio fisse. L'idea è potenzialmente vincente, tanto che Uber a San Francisco ha lanciato un servizio di prenotazione di biciclette elettriche a pedalata assistita attraverso la sua app. Per ora si tratta di una versione demo che serve a valutare la risposta degli americani, ma gli studi di mercato sono incoraggianti e il progetto potrebbe presto essere esportato in tutte le città coperte da Uber e potrebbe non essere lontano il lancio di un servizio di bike sharing a flotta libera.

 

Se a molte latitudini questo sistema sembra funzionare, in Italia (e non solo in Italia) esistono ancora alcune problematiche che rendono difficile il radicamento del free floating. E sono problematiche eminentemente culturali, che, paradossalmente, poco o nulla centrano con l'utilizzo del servizio. Secondo i dati forniti da una start up attiva in Italia, nel nostro paese le biciclette in condivisione vengono utilizzate in modo del tutto simile alle altre città europee: in orario diurno percorsi dai due a cinque chilometri in media a tratta, durata di viaggio compresa tra i 19 e i 22 minuti, tempo medio tra un noleggio e l'altro venti minuti nelle zone centrali, poco meno di un'ora nelle zone periferiche; in orario serale i tempi d'utilizzo e le distanze aumentano. A cambiare sono soprattutto le infrazioni: il numero di segnalazioni di posteggio in zone non consentite (in strada o in zone inaccessibili) nel nostro paese sono sette volte di più della media di tutte le altre città coperte dal servizio (dopo di noi la Francia). Inoltre il numero di danneggiamenti non dovuti all'utilizzo è venti volte maggiore (dopo di noi ancora la Francia). E nella quasi totalità dei casi non si tratta di incidenti occorsi durante il servizio. Bici gettate in corsi d'acqua, fatte a pezzi, danneggiate durante manovre di parcheggio da parte delle automobili sono le cause più comuni. Uno scenario che, se messo in correlazione con i dati dei sondaggi di gradimento realizzati dalla stessa azienda, diventa preoccupante. Al primo posto gli utenti segnalano la pericolosità delle strade, al secondo l'atteggiamento violento degli automobilisti.

 

Persiste in Italia un problema di coesistenza tra autovetture e biciclette. Chi guida infatti ritiene che la strada sia a suo uso esclusivo: lo dice l'81 per cento degli automobilisti in una ricerca effettuata dalla facoltà di Urbanistica della Università di Utrecht nel 2017 sulle abitudini in fatto di mobilità degli europei. Ma la strada è sempre più affollata di altri generi di mezzi, che ancora non sono riusciti a trovare il loro spazio in una mobilità congestionata dal traffico e dall'utilizzo dell'automobile come mezzo principale di spostamento (secondo i dati della Comunità europea l'Italia è di gran lunga al primo posto per utilizzo di automobili per spostamenti al di sotto dei dieci chilometri, quelli entro i quali è consigliabile l'utilizzo o dei mezzi pubblici o della bicicletta).

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