Nelle mani dell'Avvocato del Popolo

"Ammazza che avvocato che c'ho!". Una scena di "Assassinio sul Tevere" (1979) dove Bombolo è sotto processo dice tutto quel che c'è da dire sul lapsus del Presidente del Consiglio, che annuncia di voler difendere la "presunzione della colpevolezza"

Guido Vitiello

Cerco di immaginarmi cosa possa voler dire, per un imputato, trovarsi sotto l'ala protettrice di un Avvocato del Popolo che dichiara di ispirarsi alla "presunzione della colpevolezza". D'accordo, quello di Giuseppe Conte oggi alla Camera è stato un lapsus, ma tanto i lapsus quanto i déjà-vu ricadono sotto la giurisdizione di Sigmund Freud, e il mio déjà-vu è stato non meno immediato e rivelatore dello strafalcione del Presidente del Consiglio. Ho quanto meno diritto al lettino dello psicoanalista.

Ho rivisto in un lampo una scena di Assassinio sul Tevere (1979) di Bruno Corbucci, con Tomas Milian nei panni del maresciallo Giraldi e Bombolo in quelli del ladruncolo Franco Bertarelli detto Venticello. Siamo in un'aula di tribunale, dove Venticello è sotto processo per truffa aggravata, falso in atto pubblico e vilipendio della religione: si era travestito da prete tedesco per spacciare traveler's cheque rubati comprando arredi sacri nella bottega di un orefice. Non ha un avvocato ("e io mica c'ho i sòrdi pe' compramme 'n avvocato!"), così il giudice nomina un difensore d'ufficio.

Vi invito a rivedere la scena da questo punto in poi immaginando che l'avvocato in questione sia Giuseppe Conte, paladino della "presunzione della colpevolezza". Perfino quando l'amico maresciallo cerca di scagionare Venticello, e la Corte è pronta a chiudere un occhio, il difensore si oppone nella maniera più categorica: vuole il suo assistito in galera.

Ecco, qualcosa mi dice che presto i cittadini-imputati, a cui è stato assegnato come difensore d'ufficio l'avvocato Conte, si ritroveranno a dire, come Venticello: "Annamo, marescià, sinnò st'avvocato me fa pijà l'ergastolo!". 

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