Letture
Un punto di vista vitale in un orizzonte funerario: questo è "Paradiso"
Strade piene di turisti, deiezioni canine e orologi che non segnano mai la stessa ora. Rumori, odori e giornate assalite da un crescente senso di inutilità: il vero tema del nuovo romanzo di Michele Masneri è il tempo
Strade piene di turisti, deiezioni canine e orologi che non segnano mai la stessa ora. Rumori, odori e giornate assalite da un crescente senso di inutilità. Il vero tema di Paradiso, il romanzo di Michele Masneri, è il tempo. Un’illusione che si consuma mentre il contesto, immobile, si affanna a riempirne i vuoti. Direttori che pagano i giornalisti con i doni dello sponsor, giovani mosconi ipocriti che sono già vecchi, città che attendono soltanto che si celebrino i propri funerali e in mezzo, l’incerto destino di Federico Desideri, soldato semplice e redattore senza portafogli, lanciato all’inseguimento di un’intervista impossibile sotto l’azzurrissimo cielo di Roma. Masneri osserva e descrive universi che non esistono più, esistenze trapassate che meriterebbero la pietà di un necrologio, terrazze senza allegria affacciate sui cimiteri e in un orizzonte eminentemente funerario scova con talento un punto di vista vitale. Se l’unica industria rimasta nella Capitale è “la fabbrica delle sòle”, ma anche le truffe hanno smarrito la grazia circense dell’epoca che fu, bisogna provare a ingannare anche sé stessi e inventare un altro mondo, nascosto alla vista, in cui il tentativo di morire e rinascere ogni giorno confina con l’azzardo e con la poesia.
Sarebbe fin troppo facile riconoscere nella riserva indiana che dà il titolo al libro la disillusione di uno scrittore che, proprio come il Calligarich de L’ultima estate in città, a Roma finisce per perdersi e perde tutto quel che ha: “Roma ha in sé una ebrezza particolare che brucia i ricordi. Più che una città è una parte segreta di voi. Una belva nascosta”. Ma è una tentazione che in un luogo che per consunzione ha smarrito anche la capacità di sedurre lascia indifferenti. Meglio partire per non si sa dove, meglio addentrarsi in una selva abitata da personaggi condannati all’oblio, meglio farsi dimenticare mentre ogni cosa intorno brucia. Masneri conosce il senso del ridicolo e sa che ogni anatema dura lo spazio di un mattino. Masneri sa che minaccia e perdono sono fratelli. Masneri intuisce la dolcezza della perfidia che, per dirla con Paolo Conte, scudiscia ogni viltà. Masneri distingue le ascese e le cadute e non foss’altro che per congenita ironia abbraccia soprattutto le seconde. Non c’è niente da salvare e poco da ricordare, ma per attendere la fine, in un contesto in “cui nessuno ascolta davvero nessuno”, avere il mare davanti agli occhi consola. Al protagonista del viaggio raccontato da Masneri accade ciò che capita a chi visita la California: “La prima volta ti sembra il paradiso, la seconda la ami, la terza ti viene addosso qualcosa di drammatico e ti vien voglia di fuggire”. Ma in Paradiso non ci sono vie di uscita perché, sembra dirci MM, ogni fuga, come nel gioco dell’oca, è un ritorno al punto di partenza.
Nel romanzo si mangia spesso e le giornate di chi lo abita sono scandite da appuntamenti che assolvono a una doppia funzione: nutrirsi, restare in vita, vedere ancora la luce dell’alba dopo la notte e incontrarsi, confrontarsi e farsi male per dimostrare di essere ancora vivi. Ma è un artificio anche quello perché tutto è stato già detto e tra le gerle di frutta e le casse di vino manca come il pane un canestro di parole nuove. Federico Desideri le cerca in ciò che osserva, ma non riesce a leggere fino in fondo il panorama, proprio come fa Masneri tutti i giorni, da molti anni. Il suo Paradiso sa di inferno e lieta dannazione anche quando si presenta sotto le mentite spoglie della gentilezza. Il suo Paradiso ha una fiamma nascosta che arde sotto la cenere della malinconia e non si arrende all’evidenza. E’ un buon segno. Un segno di consapevolezza. Il caos non conosce ordine, il caos non si fa mettere a posto da niente e da nessuno. Masneri ha rinunciato da tempo e ha fatto bene. Se qualcosa non torna è perché non deve tornare. Se qualcosa non torna è perché la vita non somiglia a una sceneggiatura né alla canzone di Patty Pravo che ha quasi lo stesso titolo del libro: “La vita è così / tu quando non hai / vuoi avere di più / e dopo che hai / ti accorgi che tu / fermarti non puoi”. La vita è ciò che non sappiamo vivere, la vita è un addio che non trova la degna liturgia per esser tale: “Mi dispiace perché litigavamo benissimo”. La vita è un sipario che si chiude fino a quando qualcuno non ha la prontezza di riaprirlo. “Non era tutto finito?”. Sembrava. Sembrava soltanto.
dal libro alla serie