Il Foglio Weekend

Aiazzone e il sogno degli anni Ottanta: provare per credere

Michele Masneri

Il geometra dei sogni e l’impresa di una Ikea italiana. Gli spot martellanti, l’“Operazione Sposi”, l’esibizionismo e il successo imperdonabile nella Biella conservatrice. Fino al tragico incidente

Il cimitero di Oropa, sopra  Biella, tra le mucche scampanellanti e l’aria fresca anche nell’afa di fine maggio, è detto il Piccolo Staglieno per la ricchezza delle sue tombe, che ricordano soprattutto un’industria italiana che non c’è più. Sopra una raggiera di tombe semplici ecco le cappelle business class, messe di fronte alla valle che da secoli ha dato lana e ministri al Regno d’Italia. Trionfa l’enorme piramide faraonico-massonica di Quintino Sella, regio ministro delle Finanze, dinastia che comanda a Biella da secoli, tra grand commis, ministri, banchieri e lanieri. poi i Rivetti (lane, scomparsi), poi Gualino (inventori, scomparsi), poi altre prosapie estinte, con fiori ammosciati. L’unica tomba moderna è quella di Giorgio Aiazzone, tutta specchi e spigoli. Nato nella vicina Tollegno nel 1947 e morto in un incidente aereo nel 1986 a soli trentanove anni, ivi è sepolto. 

“L’ha fatta costruire lì perché poteva guardare la sua Città del mobile”. Ai piedi del monte, alla periferia industriale di Biella, si vede solo una boscaglia, “guardi meglio”, mi dice Roberto Cappio, cognato di Aiazzone, imprenditore a sua volta, e marito della sorella Enrica. “Ormai è tutto ricoperto di bosco. La foresta amazzonica, o meglio aiazzonica”. Roberto Cappio e la moglie Enrica Aiazzone sono alcuni dei superstiti di una storia industriale italiana che è nata, se proprio vogliamo trovare un anniversario, cinquant’anni fa, anche se non serve in questa storia. Nel 1973, il geometra Giorgio Aiazzone, un anno dopo essersi sposato, fa il grande salto dal piccolo mobilificio di famiglia e mette su quello che sarà il sogno dell’Ikea italiana, molto  prima che il grande magazzino svedese  arrivi in Italia. Scapestrato, geniale, autodidatta, ribaldo, esibizionista, Giorgio Aiazzone trasporta l’Italia negli anni Ottanta, coi suoi claim martellanti su immagini sgranate di tv locali e spot orripilanti ma efficaci. “Vieni-vieni-vieni-da Aiazzone-quanti mobili troverai”, “Vieni in bici o carrozzella, ma vieni a Biella”, fino al celebre “Provare per credere”, di Guido Angeli, specie di influencer mobiliero che molti indentificavano in lui.

La storia di Aiazzone è anche la storia delle tv private  e della pubblicità in Italia. “Le canzoni degli spot prima le inventava mia mamma”, mi dice Marcella Aiazzone, una delle tre figlie, poi interviene Dario Baldan Bembo (quello di “Amico è”, ma anche di “Minuetto” di Mia Martini). Gli spot li facevamo qui, mi racconta Cappio, mentre parcheggiamo in un altro spiazzo di un altro capannone con l’insegna “vendesi” nella periferia di Biella. C’era uno studio interno, dedicato; al piano primo i programmi di Telebiella.  Sotto, le televendite.

Anche TeleBiella è uno strano primato, è la prima tv privata italiana, che nel 1973 osa sfidare la Rai e ottiene una storica sentenza della Corte Costituzionale (TeleMilano58 progenitrice di Canale 5 arriverà solo nel ‘76). Come se dalla calma piatta nascessero a un certo punto dei meteoriti, dalla sonnolenta e tradizionalista Biella nasce anche la prima emittente che sfida la Rai e porta l’Italia fuori dal monoscopio. Aiazzone la compra subito. 
I messaggi televisivi di Aiazzone, noi boomer ce li ricordiamo bene, erano cheap, semplici, ossessivi. Volutamente. Le maggiori agenzie pubblicitarie erano disperate perché lui non le faceva lavorare, faceva tutto da solo, racconta Cappio, che con la moglie Enrica ha scritto anni fa l’introvabile memoriale “Giorgio Aiazzone, l’uomo del fare”, pubblicato dal piccolo Lineadaria Editore. Prefazione di Silvio Berlusconi, non formale ma accorata, che sottolinea come “La vicenda professionale di Giorgio Aiazzone ha rappresentato al meglio lo spirito “del fare” dei nuovi imprenditori della fine degli anni ‘70 e dei primi anni ’80. Questi uomini sono stati determinanti   non solo per rimettere in moto l’economia del nostro Paese, ma ancor più per la modernizzazione culturale dell’Italia, per l’abbandono della visione regressiva ed afflittiva del nostro futuro, basata sulla logica ‘dell’austerity’, se non addirittura sulla fine del sistema del libero mercato, visione che aveva dominato la quasi totalità degli anni 70 e che accomunava i tradizionali avversari ideologici del capitalismo con una parte delle sfiduciate e spossate”. 

Poi, più interessante, l’eulogia del Cav. passa a descrivere il business model di Aiazzone: “Negli anni 70 la commercializzazione di mobili aveva un vincolo insopprimibile nelle dimensioni standard ‘dell’area di attrazione commerciale’ e questa non poteva essere espansa oltre certi limiti”. Pertanto, scrive il Cav., “il fattore critico di successo era considerato la collocazione dei punti vendita nelle aree urbane ad alto traffico e la loro moltiplicazione. Giorgio Aiazzone, per primo e meglio di chiunque altro, comprese che lo sviluppo delle televisioni commerciali poteva modificare questo paradigma. Su questa opportunità costruì un modello “capovolto” rispetto al precedente. Grazie al messaggio veicolato dalla televisione, i tradizionali confini dell’area di attrazione commerciale furono espansi da una triplice promessa: un elevato rapporto qualità/prezzo, un elevato servizio, volto a cancellare il problema “distanze” (la famosa “spedizione gratuita in tutta Italia, isole comprese”) e la trasformazione della visita a Biella in un vero e proprio viaggio turistico (“l’altrettanto famoso invito a pranzo e cena con gli architetti e la grande festa”)”. 

Un mare di cartelli

Si sente che Berlusconi parla di Aiazzone come di un sé stesso mobiliere. Le credenze (in stile) come le frequenze. E del resto Aiazzone capisce prima degli altri il potenziale della tv. “E prima ancora della pubblicità nei cinema”, racconta Enrica Aiazzone. Come Berlusconi “forza” la dimensione locale dell’intrattenimento, e porta gli italiani a Biella. “Grazie agli spot gli italiani cominciarono a venire con mezzi propri, ma dopo la crisi energetiche degli anni Settanta Giorgio si inventa i pullman. Pullman che partono da tutta Italia per andarsi a comprare l’arredamento. L’idea nasce guardando su Rete A una televendita di villette ai Lidi ravennati, e il viaggio era offerto ai telespettatori che prenotavano una visita. E’ anche una forma di turismo per chi non ha mai fatto turismo. I clienti venivano ospitati gratis in un paio di ristoranti convenzionati, magari non stellati, ma buoni e abbondanti”, mi dice sempre la sorella. Poi, appena arrivati al mobilificio, cominciavano i regali. Un orologio per i signori, catenine per le signore. Oppure peluche. Come il leprotto “Milcaro”, eccolo qua, mi mostra, su un divano naturalmente Aiazzone, nella villa che domina Biella. Appena sotto il castello un po’ sgarrupato dei principi Ferrero della Marmora, altra dinastia fatale al Regno, in questa città dove la gerarchia sociale la puoi quasi toccare. 
Biella si divide in alta e bassa, c’è la funicolare, i prezzi delle case sono comunque bassissimi, tra i più bassi in Italia, perché non c’è più l’industria, e dunque chi mai verrebbe ad abitare qui? Biella alta detta “Il Piazzo”  di notte è bellissima, pulitissima, deserta. Prezzi medi: novecento euro al metro, ristrutturato. Se ci fosse modo di arrivarci, sarebbe una bella alternativa alle varie Ortica e NoLo. Anche un bell’investimento da climate change, quassù non serve l’aria condizionata, e i mari non arriveranno. Ma arrivare a Biella è difficilissimo. Bisogna cambiare due treni, alla fine da Milano ci metti due ore e mezza per fare cento chilometri. 

Biella bassa è civilissima, ricchissima di capannoni abbandonati, di varie epoche. Prevale un liberty industriale gentile, quasi da Costa Azzurra, si sente la vicinanza con la riviera. Ci sono gli enormi lanifici Rivetti, sparsi per la città, e tanti altri relitti di un’epoca andata. Business negli anni ridimensionato, e nessuno l’ha sostituito. Il colmo è che negli anni in cui esplode Aiazzone, le élite locali lo boicottano brutalmente. Il Rotary di Biella respinge la sua richiesta di iscrizione (solo quello della Brianza lo ammetterà tra i suoi soci). Dà fastidio la sua Ferrari rombante, l’aereo con cui decolla e atterra in continuazione dal piccolo aeroporto. Soprattutto il fatto che Biella venga identificata con Aiazzone. “A un certo punto al Toulà a Milano qualcuno della famiglia Zegna vede entrare Aiazzone e lo guarda come un appestato”, ricorda Cappio, senza risentimento, ma come parlando di un fatto bizzarro proveniente da un’epoca lontana. 

Poco amato dalle élite locali, Aiazzone è adorato dal popolo, dai clienti, anzi dai “gentili ospiti” di tutta Italia. “Per la prima volta una generazione di italiani non abbienti si ribella ai mobili ereditati dalla nonna e si può permettere di comprarli nuovi”. “Quando distribuivamo i peluche, dovevano intervenire i carabinieri per gestire l’enorme flusso di visitatori” racconta la sorella. I visitatori nel 1985 sono 70 mila. Tanti vedono Biella per la prima volta. Tanti ci rimangono, si sposano qui. Si crea un indotto. “Come Biella Scarpe, che ancora ci ringrazia, perché la gente passa e si compra le scarpe”. “Soprattutto quelli che venivano da lontano, arrivavano coi piedi gonfi e si compravano le scarpe nuove”. Per chi arrivava da Calabria e Sicilia, sono offerte anche cena e pernotto. Uno dei claim più famosi dell’epoca era: “non puoi sbagliare: all’uscita dell’autostrada, un mare di cartelli ti porterà fino ad Aiazzone”.  
 
Le innovazioni di Aiazzone sono tantissime. Il credito al consumo, che all’epoca non esisteva, con la presenza di un funzionario di banca interno (Banca d’America e d’Italia, già di un grande italoamericano, Amadeo P. Giannini). Poi la  consegna a casa, “isole comprese” – “momento fondamentale con cui si instaurava la fiducia definitiva nei clienti, perché se il mobile non arrivava nei tempi stabiliti il cliente lo perdevi”, dice sempre Enrica Aiazzone. Altro sistema per ingraziarsi la fiducia definitiva: la cosiddetta “operazione Sposi”, che sarebbe un magnifico saggio di Labranca: regalare viaggi di nozze alle giovani coppie, nello spot si vede una banda, e poi un aereo privato, un Learjet che porta gli sposini, e fa molto Dallas. In realtà regalare la luna di miele “costava meno di un forte sconto, in accordo con agenzie di viaggio che volentieri ti trovavano occasioni fuori stagione, magari in Tunisia o a Palma de Mallorca, come recita lo spot, e i clienti ti ricordavano per sempre”. 


“I nostri architetti” che ti accoglievano  non sempre poi erano veri architetti: erano ragazzi, magari neolaureati, magari non in architettura, ma insomma ti accoglievano, accoglievano gente che mai aveva pensato di essere ricevuta da architetti veri o finti da qualche parte del globo. Questa di Aiazzone è soprattutto una storia di ragazzi: sono tutti giovani, l’epopea di venti-trentenni negli anni Ottanta. 

Aiazzone da ragazzino scrive delle lettere che sembrano ottocentesche (“solo ora le mie angosce cessano, ora che ho venduto tale quota di mobili”, scrive ai parenti  in una specie di sbrocco mistico del commercio). “Non il volere ma il potere d’acquisto del cliente”, bisogna capire, per vendere, teorizzerà poi. Il cliente anzi il gentile ospite va fatto parlare, e capito. Bisogna capire,  al di là di quel che dice, quanto può spendere. “Con Aiazzone si ha il superamento dei classici 4 tempi della vendita: approccio, dimostrazione del prodotto, superamento delle obiezioni, conclusioni”, e si passa al modulo a tre tempi: “approccio allargato, dimostrazione del prodotto, superamento delle obiezioni”. Non è come oggi andare all’Ikea o al Brico. Era una pubblicità e una comunicazione totalmente aspirazionale. L’aereo privato, il sogno, gli sposi. “Aiazzone, Aiazzone, per i mobili è il massimo”. Oggi sarebbe tutto assurdo, a partire dal jet, che da sogno sarebbe incubo con la Co2. “Il fare acquisti deve coincidere il più possibile col tempo libero”, prescrive Aiazzone. “Commercio declinato in chiave turistica e nutrito da endovene di pubblicità sono il futuro dove la manifattura conterà sempre meno”, sosteneva (open to meraviglia, aveva inventato “l’acquisto esperienziale” di oggi).

La settimana diventa un palinsesto. Se “dal lunedì al venerdì sarete ospitati dai nostri architetti”, “il sabato è la grande festa di Aiazzone”, diceva lo spot. Ma che si faceva in questa festa? “Si andava tutti insieme, venditori, impiegati, clienti”. Tutta la famiglia è mobilitata a vendere. La figlia Marcella racconta che a casa tutti erano incitati al commercio  fin da bambini (“e se vendevamo tanto lui poi ci premiava”). Il pezzo forte è il salone in stile rinascimentale, detto “bue di Natale”, “Mio bisnonno faceva il macellaio, il bue di Natale è un piatto da festività, ricco, ma difficile da preparare”. La qualità dei mobili era buona, magari non eccelsa ma buona (“una cucina che aveva fatto copiando la Boffi l’abbiamo usata per quarant’anni”, dice Enrica Aiazzone). Contrariamente alla leggende che si trovano in Rete secondo cui Aiazzone negoziasse con fornitori dell’Est grossi carichi di legname, Aiazzone di mobili non ne ha mai prodotti, semplicemente li comprava da altri produttori, li “impacchettava”, li rivendeva col suo marchio (cosa che all’epoca nessuno faceva). Il logo è detto “biscotto Aiazzone”, infatti  è racchiuso in una specie di sagoma da Plasmon o pavesino, si trova ancora stampigliato in vari capannoni abbandonati per la città. 

“La cosa più difficile era vendere ai biellesi”, racconta  la sorella. “Una volta si entusiasmò perché era riuscito a vendere un divano letto a una signora di qui”. Insomma se fosse una fiction non è difficile immaginare lo scapestrato ragazzo di provincia che fa i miliardi e gira rombando mentre i vecchi locali borbottanti assistono  alle finestre. “Qui c’era MaxiMobili”, mi fa vedere dalla macchina Cappio. Altro marchio defunto. Un concorrente? “No, era sempre lui, aveva messo su un finto negozio rivale, così chi lo detestava andava a comprare lì, ma poi era sempre lui”. 

Provare per credere

Poi arriva la faccia di Aiazzone, Guido Angeli. Sedicente esperto di pittura e antiquariato, noto a Montecatini tra le signore, indossa cappotto di cammello e un bastone dal pomolo d’argento, a bordo di una Rolls. Reclamizza mobili su una certa PanTv, di Pavia. Davanti alle decine di televisori che ha in ufficio,  finestra su quel mondo pazzo delle tv private che sta nascendo, come un Instagram ante litteram, Aiazzone nota questo venditore che lo colpisce. Diventerà il volto tv di Aiazzone e una delle icone degli anni Ottanta. “Dopo aver esercitato diversi mestieri”, ha scritto Aldo Grasso, “dal gestore di alberghi e locali notturni al mercante d’arte e di antiquariato”, Angeli approda per caso in televisione nel 1983, contattato da un amico gallerista che deve piazzare con alcune televendite una partita di dipinti dell’800 (la trasmissione si intitolava “Aggiudicato”) .  Angeli lancia gesti e slogan diventati proverbiali, come il gesto con la mano rantolante e poi il pollicione  alzato e la battuta: “Provare per credere”, ma anche “Dite che vi manda Guido Angeli”, “Aiazzone, è la scelta più Biella del mondo”.

L’identificazione col marchio è totale. “Spesso mi chiedevano se ero figlia di Guido Angeli”, mi dice Marcella Aiazzone. Guido Angeli fa anche   un film (dimenticabile) del 1987 che si chiama con poca fantasia “Provare per credere”, con Tinì Cansino, Pamela Prati, Gegia, e Angeli nel ruolo di “Frankie”. Un anno prima pubblica anche un 45 giri, sempre con lo stesso titolo (fa così: “Le rose appassiscono/ gli amici rimangono/gli amori ti amano/provare per credere!/Se per gli stupidi/le stelle son piccole/vorrei esser piccolo/ addio così.Provare per credere”). Con Guido Angeli arriva anche il meno noto Walter Carbone, invece esperto di “tappeti orientali”, e già in forze alla Semeraro mobili con un programma che si chiamava “La domenica con Semeraro”, una specie di sotto-Domenica In, citato da Labranca proprio come esempio di trash cioè imitazione economica di qualcosa di alto (qui Carbone imitava Pippo Baudo, ma con ospiti come il cantante Mario Tessuto). “Angeli faceva 100 telefonate a diretta, io dovevo superarlo”, ha raccontato in un’intervista Carbone.   

La villa maledetta

In questo gotico biellese non può mancare una villa maledetta.  Ecco l’ultima residenza di Aiazzone, villa Reda, tra via Losana e via Mazzini, affacciata sul parco principale di Biella, tipo villino da Nomentana, colonne e stucchi anni Venti. Qualcuno dice che porta male.  Oggi è di un tedesco, Karl Eberhard Alfred. “Mi stupisco che nessun biellese abbia voluto acquistare questa villa. E sono ancor più meravigliato del fatto che non si siano fatti avanti acquirenti da altre parti d’Italia. Biella è vicina a Torino e a Milano e non posso credere che a nessuno abbia fatto gola un gioiello come questo, ad un prezzo che è quasi un regalo”, ha detto alla Provincia di Biella. Ha acquistato la ex casa di Giorgio Aiazzone per 658 mila euro, circa 400 euro al metro quadrato.“Ci vorrebbe un po’ di turismo, per far riprendere la città, di  un treno veloce se ne parla da anni”, dice Enrica Aiazzone. 
“Biella una volta era Beverly Hills… le ville, le industrie, ora non è rimasto niente”, mi dice invece Marcella. “Uno dei ricordi belli? I  tuffi nella piscina che avevamo sul tetto di villa Reda, a bomba”. La scena come si dice è plastica:  gli Aiazzone giovani che sguazzano sul tetto, una roba che mai si sarà vista nella città sussiegosa. A cui non  piacciono le   Ferrari di Aiazzone, con cui fa visita ai mobilieri brianzoli  (Daytona gialla, ma c’è anche un assegno da 104 milioni di lire per una Testarossa prenotata e mai ritirata, che doveva prendere in quel 1986 fatale).  A un certo punto è l’epoca anche dei rapimenti, Aiazzone viaggia su un’Alfetta blindata con lampeggiante e sirena (di seconda mano, già di uno Zegna) con cui scherzosamente insegue le occasionali pattuglie di polizia. 

E poi l’aereo. L’aereo su cui vola - forse anche pilotando, senza licenza - è  un Piper a elica PA-34-200T, ma “ne aveva già ordinato un altro, un jet”, dice il cognato. Memorie aeronautiche: i voli radenti alla pista e poi su, di scatto, racconta Marcella. Butta giù tutti dal letto alle cinque e mezza, destinazione Lourdes, racconta Roberto Cappio. E una volta l’aereo vola a Sankt Moritz perché il Cav. gli chiede di riarredare il villone appena comprato dallo Scià di Persia. Composto di trentacinque stanze, ognuna arredata in un diverso colore. Gli Aiazzone mi han chiesto di non scrivere questa cosa, ma mi prendo tutte le responsabilità: la scena di Aiazzone che va ad arredare lo chalet Berlusconi a St.Moritz vale una querela. 

A Cervinia, invece, si compra l’appartamento sotto quello di Mike Bongiorno. D’estate, sci nautico “all’alba, a piedi nudi, nel lago di Viverone”, uno dei tanti paesini del biellese dove oggi le case costano 300 euro al metroquadro. L’aereo è quello su cui precipita il 6 luglio 1986 a Sartirana Lomellina, non lontano da un altro schianto celebre, quello di Enrico Mattei. A bordo ci sono lui, il pilota, un’amica. Colpito da un fulmine, l’aereo cade su una villetta, non si salva nessuno. Andavano a trovare il commendator Magni, della Magniflex materassi, a Viareggio: erano usciti in barca, ma son tornati indietro perché era brutto tempo. Hanno mangiano in barca, in porto, Aiazzone quel giorno “era allegro”.

Il geometra dei sogni 

Più americano che italiano, certamente non piemontese. Aiazzone è per tutti a Biella “il geometra”, e avrebbe forse potuto diventarlo su più vasta scala in un’Italia in cui c’erano  “l’Avvocato” (Agnelli), “l’Ingegnere” (De Benedetti), “il Contadino” (Raul Gardini). Il geometra ha piacere a concludere le vendite più difficili in persona. Se il cliente è scettico non si può far passar  tempo, perché quello se ne tornerà giù al Sud. Allora il geometra si toglie il Rolex d’oro e lo poggia sul tavolo, poi dice “il possedere quest’orologio non è nulla se paragonato all’averla mia cliente”. Intima ai suoi: “portate un gioiello alla signora”, se c’è una moglie, e un addetto va a recuperare una catenina che varrà pochi spicci, ma la mente umana degli anni Ottanta lì ha quello scarto fatale: Rolex, oro, e il cliente cede, è stanco, ha fatto molta strada... Micromanagement alla Cairo: controlli micidiali sulle note spese, si mette in macchina a stanare  i suoi autisti, che  non stiano a gozzovigliare agli autogrill. I parenti lo descrivono:  geniale, totalizzante, generoso, consapevole che sarebbe morto giovane, a volte insopportabile, a volte depresso, si chiudeva in casa e per due giorni non usciva dal letto. Gli Aiazzone erano un “clan”, venditori, autisti, impiegati, la sua storica guardia del corpo “scelta perché ex carabiniere, e perché meridionale, dunque ottimo per rapportarsi con una clientela che era al novanta per cento meridionale”. “C’era anche un modo diverso di trattare i collaboratori, che erano appunto più collaboratori che dipendenti”, dice Marcella Aiazzone, “altra cosa che piaceva poco qui in zona”. Tra i suoi progetti c’era certamente quello di andare avanti con la tv: non solo Telebiella, vuole (come Berlusconi)  stabilire un network nazionale. Fonda il GAT, Gruppo Televisivo Aiazzone, che irrora su tutta l’Italia (isole comprese) il messaggio dei suoi testimonial. Sogna una specie di pre-Grande Fratello: “una tv nei centri commerciali da cui spuntano ogni tanto personaggi celebri come Giorgio Albertazzi o addirittura, Frank Sinatra…”. E poi c’è l’Est da conquistare. Vendere Oltrecortina, verso l’Europa che si sta liberando del comunismo, e sarà presto affamata di salotti e peluche.   

La fine e la memoria

Pochi giorni dopo l’incidente aereo, Rete A trasmette una strana veglia funebre per Aiazzone, con due trasmissioni, una condotta da Wanna Marchi, in compagnia della figlia Stefania Nobile, e l’altra da Guido Angeli, che per ore si rivolsero direttamente al defunto, esortandolo a dar loro la forza di continuare il loro lavoro. Il tutto mentre la telecamera  inquadra la scrivania del de cuius con un raggio di luce rivolto verso l’alto. Considerate  macabre e sgangherate, ottennero un grande impatto sul pubblico e divennero un caso di studio tra gli esperti di mass media. Wanna Marchi tuttavia si pentì, affermando che avrebbe preferito “velare a lutto il televisore per una giornata intera”.  Secondo Enrica Aiazzone, quel lugubre omaggio di Guido Angeli era dettato dal senso di colpa, perché il “teleimbonitore”  aveva brevettato per sé il jingle “Provare per credere”. 

La figura di Aiazzone ha una specie di esistenza postuma online. Oltre ai filmati di Guido Angeli, ci sono diversi gruppi Facebook di patiti. Fan scatenati ovunque. Uno risponde al telefono. “Aiazzone? E’ Dio”. Su “Vecchia Biella e vecchio biellese” è un profluvio di ricordi e  testimonianze. “Ho avuto l’onore di essere suo autista e organizzatore dei bus”, scrive Gaetano Di Pasquale. “Ho ancora il salotto in stile rinascimentale”, scrive un altro.  

Il finale è triste. Morto il fondatore, la vedova Rosella scopre di avere un tumore e finisce in guai finanziari, e qui la faccenda diventa delicata, difficile, amara. La racconta la figlia Marcella, bellissima donna, ex modella a Londra, ha riparato a Montecarlo dove fa l’immobiliarista, ha lo sguardo triste di chi è stato strappato alla fortuna bruscamente. “Vivo in un monolocale, e va bene così, ma certo quando guardo quegli yacht ancorati penso a tutti i nostri soldi, chissà dove sono finiti”. L’azienda viene venduta nel 1998 a un gruppo di imprenditori, ma i soldi, circa 19 milioni di euro, non sono mai arrivati. La vedova  vuole istituire un trust, il Beau Rivage. Il finanziere consigliato dalla banca svizzera di fiducia Arner per crearlo   è un personaggio che in una fiction sarebbe troppo esotico, si chiama Mordechai Israelachvili, un israeliano residente a Malta. Secondo Marcella  è il cattivo della storia. Sua madre non solo non riceverà mai i suoi soldi, ma viene pian piano esautorata, e quando comincia a chieder conto della gestione, pure denunciata. Finirà ai domiciliari, dove morirà di cancro. E’ sepolta anche lei a  Oropa, sopra Giorgio Aiazzone. La vicenda  è devastante per il resto della famiglia, dove le sorelle non parlano tra loro e la zia con le nipoti. Marcella Aiazzone dieci anni fa si è incatenata davanti al tribunale di Torino per chiedere giustizia, ma a suo dire non è accaduto nulla. Adesso Aiazzone non esiste più, fallita ufficialmente nel 2010: le isole comprese sono finite. Il mare di cartelli è prosciugato.  La damnatio memoriae è avvenuta, il “biscotto”  cancellato.    Sullo sfondo, l’ubiqua banca Sella, socia del finanziere dal nome esotico, che pretende indietro i soldi con grande solerzia, dice Marcella Aiazzone. “E’ tutto scritto, ci sono i documenti”. Se fosse una fiction, sarebbe il vecchio status quo che non tollera rivali, tantomeno quell’imprenditore scapestrato e ribaldo. Ma in pochi anni l’ordine viene ristabilito, il nome smontato, solo le tombe sono lì, e non è rimasto molto altro.   
Chi è l’erede spirituale di Aiazzone? “Mondo Convenienza”, ne sono certi la sorella e il cognato. Ma pure “PoltroneSofà  è un suo continuatore, con gli slogan martellanti e sempre nuovi”. Il comune di Biella non gli ha mai dedicato una via. Nel 2019 se ne discusse, poi non è successo più niente. “Ce n’è una in un centro commerciale,  ma non è ufficiale”, dice il cognato. Ma forse è la sua più logica collocazione possibile. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).