Hanna Pitkin  

(1931-2023)

In morte di Hanna Pitkin

Antonio Campati

La studiosa anticipò le trasformazioni della rappresentanza politica. Oggi le sue analisi continuano a essere un punto di riferimento per molti ricercatori

Lo scorso 6 maggio, ci ha lasciati Hanna Fenichel Pitkin, professoressa emerita di Scienza politica all’Università di Berkeley, conosciuta e apprezzata a livello internazionale, i cui studi continuano a essere un punto di riferimento per molti ricercatori, nonostante avesse abbonato l’insegnamento diversi anni fa (era nata nel 1931 a Berlino). Gli interessi di ricerca che ha coltivato nella sua lunga esperienza di docente spaziavano dalla rappresentanza politica, alla storia del pensiero politico, dalla psicoanalisi alla teoria femminista. Nel 2016, Dean Mathiowetz ha curato una raccolta di alcuni dei suoi più importanti scritti pubblicata da Routledge con il titolo “Hanna Fenichel Pitkin. Politics, Justice, Action”.

Probabilmente, il suo libro più influente è stato The Concept of Representation, pubblicato per la prima volta nel lontano 1967. Un lavoro che è una sorta di spartiacque, perché, da quel momento in poi, questa voluminosa ricerca è stata, ed è, oggetto dell’attenzione di chiunque voglia fare i conti con il concetto di rappresentanza e le sue mutazioni. In Italia disponiamo della traduzione integrale solo dal 2017, grazie all’editore Rubbettino, che ne ha appunto promosso la diffusione nel nostro paese dopo cinquant’anni dalla prima pubblicazione. In verità, due capitoli di questo grande classico erano apparsi nel 1983 in un’antologia sulla rappresentanza politica curata da Domenico Fisichella per la collana Arcana Imperii diretta da Gianfranco Miglio, a dimostrazione di come l’autrice fosse già ben nota agli studiosi più accorti.

Oggi, nel ricordare Hanna Pitkin, è lecito domandarsi se le sue analisi possano essere ancora utili. Ci sono diverse ragioni per rispondere positivamente e almeno un paio vale la pena di menzionarle esplicitamente. La prima può apparire scontata, ma è bene ribadire come le lezioni del passato serbino sempre indicazioni utili per indirizzare le nuove ricerche. Un elenco dei temi trattati dalla studiosa di Berkeley nel libro sulla rappresentanza politica è sufficiente a svelare la fondatezza di tale considerazione: le varie tipologie di rappresentanza, la controversia tra mandato libero e vincolato, il ruolo della rappresentanza degli interessi, la deriva oligarchica delle democrazie. Tutti argomenti che sono ancora al centro della riflessione scientifica e del dibattito pubblico e che trovano nelle pagine di quel vecchio libro non poche suggestioni tuttora valide. La seconda ragione riguarda la relazione tra democrazia e rappresentanza, che Pitkin, in un saggio del 2004 (pubblicato in apertura dell’edizione italiana) descrive nei termini di una alleanza “incerta”, confessando che, mentre negli anni Sessanta la considerava scontata, ha poi dovuto prendere atto che non era più tale. Una simile conclusione è il punto d’avvio obbligatorio per comprendere le attuali trasformazioni del sistema democratico-rappresentativo, anche per affrontare con cognizione di causa il dibattito sulle riforme istituzionali in corso nel nostro paese.

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