Proteste a Podgorica nel 2020 (LaPresse) 

LIbri da Balcani

C'è valida letteratura anche in Europa orientale. L'ultimo esempio è targato Montenegro

Vanni Santoni

Arriva in Italia il libro di Stefan Boškovićc, già vincitore dell’Eu literature prize: inusuale romanzo tra noir, thriller politico e literary fiction che racconta le immaginarie vicende del ministro della Cultura montenegrino. Spietata disanima della situazione del Kosovo

L’Eu literature prize, fondato nel 2009, ha stabilito una tradizione significativa nell’andare a scovare talenti in paesi e lingue considerati “minori” nel nostro continente, con particolare attenzione ai Balcani. Una tradizione che si è confermata nel 2020, quando il premio è andato all’autore montenegrino Stefan Boškovićc, oggi portato in Italia dalla casa editrice udinese Bottega Errante, nella traduzione di Elvira Mujčcicć. In questo inusuale romanzo, scritto in prima persona, a volte quasi in flusso di coscienza, ibridando il noir, il thriller politico e la literary fiction, entriamo nella vita, e nella testa, di Valentin Kovacčevicć, immaginario ministro della Cultura del Montenegro, nel corso di nove tragicomici giorni in cui si ritrova a lottare con pressioni di ogni tipo, non ultima quella del proprio passato. Boškovicć sa miscelare una lingua letteraria e un credibile approfondimento psicologico “da dentro” con la velocità propria di un certo cinema (ma il cinema l’ha in fondo imparata dalla letteratura: quella di Raymond Chandler e Dashiell Hammett), portando il lettore a esperire la nevrosi di chi si trova a occupare una posizione di potere in un paese lacerato e instabile. 

 

Il ministro è anche – come si può intuire – una spietata disanima della disperata situazione politica del Kosovo, e non è casuale la scelta del ministro della Cultura, il meno importante, in un paese che versa in cattive condizioni, e il suo essere un intellettuale giovane e (inizialmente) ingenuo, incapace di trovare una posizione etica plausibile e destinato a una fine tanto certa quanto ingloriosa. Le pressioni lo schiacciano, le controversie politiche e religiose sono talmente intessute tra loro da risultare indistricabili, e il lettore si ritrova a chiedersi, anzitutto, se la mente di Kovačcevićc reggerà. 

 

La resa della progressiva destabilizzazione di una psiche, chiara metafora di quella del paese in cui è ambientato il romanzo, è efficace, sebbene il romanzo di Boškovićc presenti anche diversi difetti tipici delle prime prove narrative di chi sa di aver talento, come l’abuso, non sempre sotto controllo, di una gamma eccessivamente variegata di tecniche narrative, e l’eccessiva linearità delle metafore. Non solo il parallelo tra la destabilizzazione della mente del ministro e quella del suo paese, ma anche quella che, di fatto, regge il romanzo: non si commetterà peccato mortale di spoiler, ma solo veniale, visto che l’evento ha luogo a pagina 22: il nostro buon Kovačcevicć – ministro della Cultura, ricordiamo – si ritrova a maneggiare un arpione durante una performance teatrale, e finisce per uccidere involontariamente un’artista. 

 

L’evento più increscioso tra molti: un fantozziano viaggio in Azerbaigian assieme alla delegazione del ministro dell’Agricoltura, una madre affetta da demenza, una ex moglie incattivita, e pure un duo di marinai invadenti e un po’ pynchoniani… Si capisce, leggendo, che tra i mille dispositivi (la parola non è casuale: l’esergo del romanzo è una frase di Agamben) messi in campo da Stefan Boškovicć ci sono pure la surrealtà e l’autofiction: chi è, in fondo, questo Kovačcevicć, se non lo stesso Boškovicć che s’immagina ministro? Un po’ troppa carne al fuoco, anche se il romanzo è efficace nel portare il lettore a immedesimarsi in Kovacčevicć (più che a reputarlo credibile come ritratto di un ministro kosovaro) e a empatizzare con lui, arrivando a una conclusione che si vede molto spesso, e certo non per caso, nei romanzi balcanici: è tutto così scassato che non c’è speranza che le cose vadano bene, quindi tanto vale prenderla sul ridere. 
 

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