Roald Dahl e le riscritture contestate

Cari puristi contro il pol. corr., per voi solo risotto giallo col midollo

Michele Masneri

Dietro la “revisione” delle opere di Roald Dahl non c'è la solita dittatura del suddetto pol. corr., bensì una efficientissima mano neanche tanto invisibile del mercato

Ai molti che si stracciano le vesti per la “revisione” in senso pol. corr. delle opere di Roald Dahl verrebbe da ricordare che ad agire non è la solita dittatura del suddetto pol. corr., bensì una efficientissima mano neanche tanto invisibile del mercato. Netflix ha infatti acquistato i diritti dalla famiglia dello scrittore due anni or sono, per quasi settecento milioni di dollari. Forse se avessero avuto timori per la correttezza incombente gli eredi avrebbero potuto rifiutare il prezioso deal.

    

Ma forse saranno invece contenti che i libri dell’antenato possano rivivere a nuova esistenza, rinfrescati e aggiornati per il pubblico 2023. Infatti, leggendo qualunque libro anche non per l’infanzia, quante volte oggi ci si imbarazza leggendo parole e frasi che proprio nulla hanno più a che fare con la sensibilità d’oggi? Nei libri di Dahl son state epurate prese in giro di ciccione, e donne che posson fare solo le segretarie, cose così. Manutenzione del testo. Che si dovrebbe fare del resto a certe traduzioni (ah, che grovigli leggendo da ragazzi certi David Leavitt che parlavano di “camera oscura”, e solo recentemente si è scoperto che era poi una semplice dark room). Ma certi grandi provvedevano da soli a riscrivere le proprie opere, come l’Arbasino di “Fratelli d’Italia”, proprio perché si sapeva che dopo un po’ cambia tutto, la lingua, la sensibilità, il mondo, signora mia.

   

La questione sarà ancora più spinosa nei libri per l’infanzia: si cercherà di difendere a tutti i costi l’originale o forse non varrà la pena di aggiornarlo ai lettori di oggi che altrimenti non capiranno nulla o si imbatteranno in cliché stralunati di altre epoche? Lo stesso Dahl aveva fatto del resto delle modifiche ai suoi testi col tempo. E oggi gli eredi ricchissimi precisano che le nuove son minime e ragionate. Ma niente. I puristi non accettano. Questi puristi poi son strani. Tutti sempre aggiornatissimi su automobili e vestiti, e modello di iPhone. Solo la parola (“non si può dire più niente”) è scolpita nella pietra; non tollerano neanche l’avvertenza a un film come “Via col Vento”, che pure fu contestato già all’uscita per il razzismo conclamato (il doppiaggio italiano dovette essere rifatto perché “troppo” anche per gli standard non proprio woke della Cinecittà 1949).

    

Ma il paragone più carino e azzeccato è sempre quello con la cucina. Chi di noi mangerebbe oggi ricette e ingredienti e cotture del 1930, ‘40, o anche ‘60? Se Dahl fosse un risotto alla milanese, un purista vi vorrebbe a ogni costo il midollo della ricetta originale cinquecentesca. E però questo midollo non si saprebbe dove trovarlo, oggi è già tanto se si fa il brodo di verdure (ma tutti usiamo felici il dado). Come in cucina, poi, c’è spazio per tutti: sia per una bella catena di ristoranti che aggiorna il prodotto ai gusti contemporanei - un risotto “Bridgerton” magari vegano e gluten free prodotto da Netflix, la masterchef di questa fusion storica. 

   

E sia per chi invece pretende il brivido del ristorante “paleo” che gli dà giù col midollo, e serve vino magari nelle anfore (immenso successo come tutta l’industria dei “cancellati”). Chi poi, scrittore, volesse proprio scongiurare che i propri discendenti vendano i diritti a dei biechi esponenti del pol. corr. (magari ce cascano!) potrà metterlo nel testamento: come ha repentinamente annunciato la scrittrice per l’infanzia Bianca Pitzorno. Ma sono tematiche che, si sa, riguardano sempre poco l’Italia, felice isola in cui sia il pol. corr. sia il brutale mercato fanno una certa fatica a penetrare.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).