Foto Ap, via LaPresse

La rabbia e l'irruenza sincera di un poeta, in attesa che passi la nottata

Marco Nicoletti

L'interpretazione lucida e “morale” della guerra in Ucraina di André Markowicz che continua a informarsi e a informarci su Facebook su come stanno andando i combattimenti

Nel mondo ridotto dei social network, dico ridotto perché è ormai un universo microcefalo dominato da benpensanti fieri della loro ignoranza (ne sa di più #ChatGPT, il nuovo google dell’intelligenza artificiale) e da malpensanti tout-court, figure come quelle di André Markowicz sono un bene preziosissimo, anzi unico.

 

Leggo le “cronache ucraine” di Markowicz su Facebook sempre con urgenza, non solo per saperne di più sulla guerra in Ucraina, ma per ascoltare la sua interpretazione lucida e “morale” dei fatti. Uno spirito che discende dalla grande letteratura russa, di cui tra l’altro, da Puškin a Dostoevskij, Markowicz è uno dei più grandi traduttori in francese.

 

Markowicz è anche poeta, e la sua prosa possiede la stessa irruenza sincera ed empatica di una Anna Achmatova o di un Osip Mandel’štam. Si direbbe inoltre che, almeno in queste cronache facebookiane, abbia interiorizzato quello stile che attribuisce a Dostoevskij; quest’ultimo detestava l’eleganza e i preziosismi, spiega, in particolare quelli delle traduzioni francesi. Scriveva con veemenza, come un fiume in piena, senza preoccuparsi della sintassi né delle ripetizioni, “come se parlasse direttamente a ciascuno dei suoi lettori”. Uno stile che era rivendicato, e che ai suoi precedenti traduttori, puristi della lingua francese, doveva sembrare inconcepibile. Finché non è intervenuto Markowicz, con la ri-traduzione e la pubblicazione, nel 1990, di buona parte della sua opera per la casa editrice Acte Sud.

 

Questo autore non è ancora conosciuto in Italia, ma le sue cronache meriterebbero di essere tradotte nella nostra lingua. Non solo per l’alto valore morale che trasuda dalle sue righe, ma per la chiarezza con la quale ci racconta la guerra della Russia in Ucraina, e con cui smonta tutti i miti, e gli argomenti fallaci ed ipocriti di una larga parte dei famosi (o malfamati) “pacifisti” nostrani, di destra come di sinistra, motivati dall’anti americanismo e convinti che è la Russia a essere stata “aggredita dall’Occidente globale”.

 

Non è che il commentatore abbia fonti particolarmente privilegiate. Quelle da cui trae la maggior parte delle sue informazioni si trovano su YouTube. Sono per lo più in lingua russa ed ucraina, e accessibili a tutti (sempre che uno parli queste lingue), ma lui ne fa un abile lavoro di sintesi, e anche di memoria. Markowicz, infatti, il cui nonno ebreo era fuggito dalla Polonia negli anni 30, e la cui madre è di origine russa, è nato a Praga, ma cresciuto in Francia: ha dunque forse, geneticamente parlando, la facoltà di comprendere la complessità storico-culturale e i sentimenti dei popoli in gioco in questa guerra.

 

Ha cominciato a interessarsi alle questioni del nazionalismo russo e ucraino fin dal 2013. Rispetto a quello ucraino, dice, non vede l’ora che giunga il momento in cui, in opposizione ai nazionalisti locali, si possa fare un pubblico dibattito sulla questione. Ma ciò avverrà solo il giorno in cui la pace e la giustizia saranno ristabilite. Lui preferisce per ora concentrarsi sul nazionalismo russo, che non solo ha aggredito i nazionalisti ucraini, ma il popolo ucraino nella sua totalità.

 

Fin dal 2015 Markowicz ha preso posizione contro le leggi commemorative adottate dall’Ucraina (e non da Volodymyr Zelensky che ancora non c’era), e ha sostenuto che Stepan Bandera era un puro e semplice fascista. Ma oggigiorno, dice, quello che conta di più è che stiamo assistendo in diretta a un crimine contro l’umanità, ed è ciò di cui è urgente discutere: il momento dei distinguo non è ancora giunto. Come non è arrivato neanche il momento di fare dell’anti americanismo a buon mercato: essere pro ucraino, non significa essere automaticamente pro americano, il miglior agente degli Stati Uniti è, appunto, Putin stesso.

 

Oggi, afferma Markowicz, la base dell’opposizione in Russia è in fase crescente, e il regime perde progressivamente parte dei suoi sostegni. In un simile regime, dove qualsiasi rimessa in causa del potere e della sua scellerata guerra viene considerata un crimine passibile di dieci anni di prigione, non si sa come sia possibile un’opposizione, ma visibilmente certi riescono a praticarla. La resistenza a Putin è una geografia di cui ancora non conosciamo i contorni.

 

Certo, c’è Aleksej Naval’nyj un personaggio che era ancora ambiguo negli anni 2013/2014, che era legato alla destra nazionalista, e che ha acquisito oggi una saggezza e un carisma eccezionale: è interessante vedere come il regime di Putin lo stia trasformando in una sorta di Nelson Mandela. E’ un uomo la cui origine non è chiara, ma che vogliamo assolutamente vivo, e che il regime sta invece uccidendo. C’è poi Michail Borisovich Chodorkovskij, che è una figura immensa, ma che dall’esilio non ha né la possibilità né l’ambizione di entrare direttamente nel gioco politico: si può dire che rappresenta una sorta di coscienza dell’opposizione. Poi c’è IIl’ja Valer’evich Jašin, straordinario individuo, che insiste su di un altro aspetto della resistenza, cioè la sua forza vitale, in una parola, la “gioia”, o lo “stare dalla parte della vita della gente”. Ma quello che conta di più (e che peserà sicuramente nel futuro) sono le migliaia di persone che sono anonime e che rischiano la loro vita, o la stanno sprecando nelle carceri del regime, gente di cui non abbiamo molte tracce.

 

In attesa che “la nottata passi”, André Markowicz continua a informarsi e a informarci, e l’ingrediente che più ci tocca nelle sue cronache, è lo sforzo che lui fa, da uomo di lettere, per trasmetterci i dati e le interpretazioni, “parlandoci” con quelli che il poeta Francis Ponge chiamava dei “tentativi orali per trascrivere la voce”, e avere una conversazione individuale con ognuno di noi lettori. Una maniera intelligente e paradossalmente moderna (anche se ispirata da quel grande scrittore dell’800 citato più su) per rivolgersi ai lettori di Facebook. In attesa di una pubblicazione futura che raccolga tutti questi testi.

 

Sì, non è uno stile molto francese, ammette lui, non ne conosce altri esempi nell’esagono. Ma, perché no, “russifichiamo la letteratura francese (senza putinizzarla)! O anche, deputinizziamo la Russia, e russifichiamo la Francia”, conclude Markowicz.

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