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Il nuovo libro edito da Adelphi

I reportage di Simenon dalla polizia e la genesi del commissario Maigret

Mariarosa Mancuso

I professionisti contestarono allo scrittore l'inattendibilità del suo personaggio: fu così che il direttore della Polizia giudiziaria lo invitò a visitare le varie sezioni. Ora i suoi reportage sono raccolti in un libro

Per le truffe romantiche – corteggiamenti che sfociano nella richiesta di denaro, più o meno velata, per antichi debiti, mamme malate, altre impellenti necessità – non c’era bisogno né di internet né di Tinder. Bastavano gli annunci matrimoniali sui quotidiani, “scopo matrimonio, astenersi perditempo”. Uscivano anche sulla New York Review of Books e sul Village Voice, per alleviare la solitudine di chi “aveva letto tutti i libri”. Scrive Georges Simenon, a proposito del serial killer Henri Landru (ghigliottinato nel 1922). Si fingeva ricco vedovo per ingannare “signore mature e depresse che, negli annunci, manifestano arrossendo il desiderio di trovare un’anima gemella”. E’ il capitolo “I borghesucci del crimine”, nella raccolta di reportage uscita da Adelphi con il titolo “Dietro le quinte della polizia”

 

I primi due romanzi con il commissario Maigret erano usciti da Fayard, festeggiati il 20 febbraio 1931 con un gran ricevimento a Montparnasse. Sull’invito per “le bal anthropométrique” era riprodotta la scheda segnaletica del bandito Bonnot, anarchico e capo della banda che rapinava banche e ricchi borghesi. Un lancio spettacolare, organizzato da Simenon che aveva appena compiuto 28 anni con il suo amico giornalista Pierre Lazareff, che di anni ne aveva 24. Il giorno dopo tutta la Parigi che contava (e un bel po’ della rimanente) conosceva il nome di Maigret.  

 

I giovani con grinta e talento erano davvero giovani, allora. E spudorati. Dopo vari romanzi con il commissario Maigret, Georges Simenon non aveva ancora messo piede al numero 36 di Quai des Orfèvres: sede della polizia giudiziaria parigina dove il suo personaggio ha la scrivania. E subito i professionisti gli avevano contestato questo o quel dettaglio: il commissario non è credibile, pare una macchietta, fa pedinamenti e appostamenti che toccherebbero ai colleghi più bassi di grado, conduce le indagini in provincia e pure all’estero, ignorando le regole, la burocrazia, i fondi sempre scarsi. Fu così che Xavier Guichard, il direttore della Polizia giudiziaria che aveva sgominato nel 1912 la banda Bonnot, invitò Georges Simenon a visitare le varie sezioni. “Per correggere il tiro”: sperava così di figurare nei romanzi a venire in maniera realistica. Lo scrittore però aveva le sue fissazioni: “La verità non sembra mai vera”, ha sempre bisogno di qualche ritocco. Fece comunque tesoro dei giri d’istruzione, ricavandone questi reportage che iniziano con il trasferimento dei detenuti all’Île de Ré, dalle parti di La Rochelle (luogo che spesso ritorna anche nei romanzi di Simenon senza Maigret) e poi nella Guyana francese. 

 

Simenon lo sfacciato inizia così uno di questi reportage. “Leggiamo ‘Polizia giudiziaria’ in tutti i romanzi polizieschi, oltre che nella cronaca nera. Bé, mi sono reso conto che il pubblico non ha la minima idea di cosa sia questa famosa Polizia giudiziaria, o se ne è fatto un’idea sbagliata”. Prosegue con l’entusiasmo di chi ha appena imparato qualcosa, e non vede l’ora di raccontarlo in giro. Ecco allora le migliaia e migliaia di schedari riguardanti i pubblici esercizi, riempiti da impiegati che ogni giorno girano gli alberghi e le pensioni di Parigi. E arrivano montagne di lettere anonime: mitomani o di chi vorrebbe così liberarsi dell’inquilino antipatico o magari del consorte. “Non tutti gli ispettori hanno i baffi, alcuni son belli come divi del cinema e ben vestiti”: Simenon proprio non riesce a ritoccare il realismo della scena con qualcosa del suo Maigret. Poi si avvia verso la soffitta dove lavora la Polizia scientifica, e verso la Buoncostume, annotando il prezioso lavoro di informazione dei tassisti.

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