(foto Ansa)

Capire il potere di "Spare", il libro del principe Harry

Giuliano Ferrara

Il potere della letteratura, intesa come stile di scrittura, ritmo, successione di storie incastrate una nell’altra, può trasformare una zucca rossa in una carrozza d’oro. Non è Hilary Mantel, ma è un buon libro. Anche se artefatto

Henry e Harry. Sto completando la trilogia di Hilary Mantel sulla corte Tudor nel Cinquecento, con Thomas Cromwell, il cardinale Wolsey, Enrico VIII e la povera Anna Bolena eccetera, un libro stupendo, scritto nello stile dello scribbling mist, lo scarabocchio nebbioso, un pastoso e significativo romanzo storico sulla politica e la tragedia; quand’ecco che, capitato in una cartolibreria fornita di provincia, vedo e subito compro, perché desidero essere talvolta come tutti gli altri, il racconto Spare di Harry, giovane cadetto millennial dei Windsor involatosi in un postaccio di lusso, Montecito, California, attualmente molto fango, per vivere la sua vita e i suoi amori (mah!) lontano dal papà e dal fratello, rispettivamente re d’Inghilterra, Carlo III, ed erede al trono, per non parlare di Camilla Parker-Bowles, la nuova moglie e regina consorte, la Jane Seymour di Charles che rendeva affollato il matrimonio con Diana Spencer, anche lei come Anna morta giovane (ma non per la mano affilata e vellutata del boia di Calais, benché a Parigi).

 

Bè, sapete che vi dico? Spare è un buon libro, tanto più che è la storia di un ragazzo simpatico che a parte il dolore per la morte orrenda della madre, un divorzio cattivo, una famiglia altamente e nobilmente disfunzionale, non ha molto da dire. Venderà molto, non resterà, come invece è destino per l’epopea geniale della Mantel, e segnala che la letteratura è sopra tutto editing. Infatti ho visto da qualche parte che lo scrittore delegato del principe Harry, oggi soltanto duca di Sussex, è lo stesso del formidabile Open, l’autobiografia di Andre Agassi, tennista figlio di un padre padrone iraniano, di origine assira, naturalizzato americano con il nome comune di Mike. Open è il libro di Roth che Roth non ha mai scritto, ma è un calco della sua immensa bravura. Consolante che il potere della letteratura, intesa come stile di scrittura, come ritmo, come successione di storie incastrate una nell’altra, possa trasformare una zucca rossa in una carrozza d’oro.

Se uno vuole sapere della campagna scozzese intorno a Balmoral, della scuola di Eton accanto al castello di Windsor, dei criteri educativi che portano ai party borisjohnsoniani di Downing Street, sesso alcol e dileggio delle norme, insomma se uno vuole conoscere l’Inghilterra di oggi in tutti i suoi lati anche morbosi, anche Spare è un suo libro. Un racconto è un artefatto, ecco. Questo è decisivo.

Naturalmente sussiste un problema, di cui Harry e Meghan non sono ovviamente responsabili, e se per questo nemmeno Carlo, Diana, Camilla, William e la magnifica nonna. Il Cinquecento è tempestato di gemme, di teste tagliate, di ritratti enigmatici di Hans Holbein il Giovane, di sulfuree manovre politiche, di guerre attuali e potenziali, di equilibri precari prewestfaliani, mentre il nostro tempo è tutto sommato, nonostante il ritorno della tragedia in piena storia europea, un miscuglio di acqua e sapone. Sicché per sopravvivere decentemente ci tocca fare e leggere l’editing di un editing, artefatto su artefatto, e di una poetica scespiriana proprio non se ne parla, il massimo lo abbiamo attinto con Evelyn Waugh, che certo non è poco ma.

Siamo un tempo sentimentale e comico, non incline all’interesse composto rappresentato dalle grandi ricchezze e dalle grandi miserie. Canary Wharf e lo Shard hanno un loro charme ma incomparabile con il convento fatale di Austin Friars e le chiatte armate che attraversano i luoghi del potere e del coniugio, luoghi combinati in un enigma scarabocchiato con il grande stile di Mantel, con quei pasti di pernici al ripieno di miele al posto degli apericena, roba forte della gran corte di Enrico, così diverso dal giovane Enrico detto da subito Harry. Non rinuncerei alle miniserie, compreso Spare, di questi giorni blandi per tornare alle miserie incantate e tempestose dei tempi dei Tudor e delle sanguinarie Marie e finalmente della grande Elisabetta I, ma va bene così, i libri sono molto diversi ma per via dell’editing si possono combinare.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.