Oltre il quarto d'ora di Warhol, la celebrità dei cialtroni fa solo danni

Mariarosa Mancuso

"Oggi i disc jockey non mettono i dischi. Oggi ti insegnano come risolvere il problema del traffico a New York e come migliorare le Nazioni Unite”. Era il 1953. Torna in libreria “Un volto nella folla” di Schulberg

Posso leggere ad alta voce qualsiasi pubblicità che mi mettano davanti senza ridere”. Negli anni 50 gli spot – anche più elaborati di un semplice slogan – andavano in diretta, a volte con l’aiuto di un rumorista: l’abbiamo visto nel bellissimo film di Robert Altman intitolato “Radio America”. La signorina Marcia detta Marshy legge gli slogan tra un disco e l’altro, con la giusta inflessione di voce che mai prevede lo sfottò (solo Hitchcock poteva spernacchiare lo sponsor del suo programma tv). Entra un uomo con la chitarra, vestito da cowbow, e chiede il microfono, per il tempo di cantare una canzone.

 

Andy Warhol teorizzava il quarto d’ora di celebrità. Budd Schulberg con “Un volto nella folla” nel 1953 è in anticipo su tutti (lo era anche una decina di anni prima, con il magnifico romanzo intitolato “Perché corre Sam?”: il ragazzo ebreo povero e ambizioso che da fattorino diventa produttore hollywoodiano). Il quarto d’ora non fa danni, se resta un quarto d’ora.

 

Il cowboy si fa chiamare Lonesome (solitario), nella custodia della chitarra tiene gli abiti per cambiarsi e un pezzo di sapone. Prende il microfono e non lo molla più. Canta e chiacchiera, incantando gli spettatori che scrivono lettere. Alla povera Marcia tocca rispondere, ma è così incantata dal fenomeno che non patisce troppo il declassamento. Quando a Lonesome, sa benissimo cosa sta succedendo: “E’ il mio magnetismo animale. Il magnetismo che mi ha dato Dio”. Qualche parola contro il sindaco della cittadina basta per non farlo rieleggere.

 

Dobbiamo la riscoperta del racconto di Schulberg a Gian Paolo Serino, l’inventore qualche anno fa della rivista Satisfiction e delle recensioni “soddisfatti o rimborsati”. Se fosse applicata da tutti anche solo per qualche mese, prima che le pagine culturali e le riviste spariscano nel nulla, allora sì che ci sarebbero articoli divertenti da leggere, e soprattutto consigli di cui fidarsi. Il tempismo è perfetto, ora che carriere come quelle di Lonesome sono la regola e non l’eccezione di cui scandalizzarsi. Pensate a chi volete, non saremo certo qui a suggerirvi i nomi.

 

Gian Paolo Serino firma una breve prefazione a “Un volto nella folla” (e altri due racconti) ora pubblicati dall’editore Mattioli 1885. Budd Schulberg disegna una carriera inarrestabile, arriva la rivista Time con il fotografo, poi i contratti in televisione. Per ripetere ancora una volta quello che l’americano medio non si stanca di sentirsi dire. Un misto di aneddoti sulla vita provinciale, che Lonesome estende subito ai parenti rimasti nella cittadina di Riddle dove è nato (gli fanno anche il fumetto). Consigli non richiesti rivolti a chi ricopre cariche pubbliche (da “governo ladro” a “sfaccendati”, l’intera gamma). E poi la grande tentazione della politica, nazionale e internazionale. Lonesome ci arriva dopo un’indigestione di gamberoni guasti al ristorante cinese.   

 

Sembra adesso? Sbagliato, la signorina Marcia detta Marshy che molla il microfono per curare i contatti con la stampa, già a metà del secolo scorso sosteneva: “E’ una delle piaghe che la nostra epoca ha ereditato dalla precedente. Oggi i disc jockey non mettono i dischi. Oggi ti insegnano come risolvere il problema del traffico a New York e come migliorare le Nazioni Unite”.

 

Si stupirebbe, se vivesse oggi, di cosa siamo stati capaci di fare in materia di “dilettanti allo sbaraglio”. E di cialtroneria. E mettiamoci anche le classifiche dei libri. Senza avere la consolazione di un Buddy Schulberg che fa dire a Lonesome: “Il popolo non sa niente, come me. Noi sentiamo quel che è giusto”.

Di più su questi argomenti: