Facce dispari

Lello Esposito: “Pulcinella è la sfida del luogo comune”

Francesco Palmieri

Intervista all'artista napoletano che riproduce la maschera più abusata di Napoli. I suoi Pulcinella si trovano a Dubai, Shanghai, Madrid. "Plasmarlo nella creta o dipingerlo è la mia sfida continua con la vita"

Chi si scalda al tepore dei luoghi comuni rischia sempre di venirne bruciato, all’opposto di chi, volendo farne rogo, esibirà come successo un tappeto di ceneri. Lello Esposito, ça va sans dire napoletano, classe ’57, da quando era ragazzo ha invece eletto a sfida artistica il luogo comune. Cominciando da quello più abusato: Pulcinella. Non per riprodurlo tiepidamente o distruggerlo laicamente, ma per soffiargli molteplici vite e morti immaginabili o inimmaginate. Ha scolpito la testa bronzea della maschera nel centro storico ed è il monumento più fotografato di Napoli, cui i turisti lisciano il naso adunco con un rito profanamente comparabile al tocco dell’alluce di san Pietro. Ha scolpito il Pulcinella viaggiatore che emerge da una stazione della metropolitana; il Pulcinella uovo in un parco vomerese, che richiama il mito di Virgilio mago; ancora, il Pulcinella dolente legato a una scala (“Ascesa negata”); poi ha plasmato tra i teschi, sulle pizze, su un corno apotropaico Pulcinella dormiente, morente o insolente. Lista che, a proseguire, finirebbe domani e in luoghi lontani. Le opere di Esposito sono a Dubai, Shanghai, Madrid.

 

Quando ha incontrato per la prima volta la sua maschera totem?

In teatro, dove i parenti di mio padre lavoravano come tecnici.

 

Al piccolo Eduardo Scarpetta, che un giorno avrebbe “ucciso” Pulcinella con le innovazioni artistiche, la maschera metteva paura. Anche a lei?

Sì, la maschera nera accentuata dalle espressioni dell’attore può far paura. È quello spavento sano dei bambini che assistevano nel teatro dei burattini allo scontro di Pulcinella con la Morte. Lui pure aveva paura, però la picchiava.

 

Cominciò a modellare i primi Pulcinella da autodidatta. Quindi aprì un laboratorio.

Nel 1978 alla Doganella, non lontano dal cimitero. Non c’erano i grattacieli del Centro Direzionale, perciò da lì potevo vedere il mare. Andavo a cuocere le opere nel forno di un artigiano che fabbricava “carusielli”, ossia i salvadanai, e “covaiole”, le vaschette di creta dove i cardilli in gabbia deponevano le uova o s’abbeveravano. Nelle case c’era ancora il culto del cardellino col suo canto.

 

Chi furono i primi clienti?

I rigattieri. Compravano a due lire e poi ritrovavo i miei Pulcinella a prezzi molto alti nei negozi di antiquariato del centro. Dal ’78 al ’95 il libraio Gaetano Colonnese fu la mia vetrina.

 

Quindi ha lavorato su san Gennaro e ultimamente la Sirena. Opere private e pubbliche, dalle luminarie natalizie al discusso corno nella Reggia di Caserta. Per tema, i grandi archetipi di Napoli.

Ho messo le mani sul peggio. Sull’oleografia. Qualcosa di fastidioso specie per quegli intellettuali che non riescono a leggere oltre il loro dito. Massimo Troisi mi diceva di andarmene a Roma perché “Napoli ti mangia”. Preferii di no, sentivo che un giorno sarei stato capito. Ora mi considerano “artista di culto”. Il mio percorso è stato lavorare su segni e simboli tradizionali per portarli nella contemporaneità.

 

Troisi fece fondere in bronzo un suo busto in gesso di Pulcinella e lo teneva a casa. Lui stesso fu al cinema il Pulcinella melanconico di Ettore Scola.

Massimo avrebbe voluto impersonare Pulcinella anche a teatro, ma non fece in tempo. Come Antonio Petito morì sulla scena nei panni della maschera, lui si può dire morì sul set per ultimare “Il postino” malgrado le condizioni fisiche. Conservo una sua foto con dedica: “Non ho mai visto la mia anima. Entrando nello studio di Lello ne ho almeno sentito l’odore”. Anch’io sono convinto che l’anima abbia un profumo.

 

Il suo atelier è in un posto particolare: le scuderie di Palazzo Sansevero, dove il principe Raimondo di Sangro teneva il laboratorio alchemico. Ne avverte la presenza?

Dal primo momento. A certe cose si crede e basta. È come il prodigio del sangue di san Gennaro. Non ti fai tante domande, devi solo gioire del mistero. Il principe realizzò la straordinaria Cappella dove c’è il Cristo velato. Giuseppe Sammartino proveniva dall’arte presepiale, quando scolpì l’opera in marmo sul bozzetto di Antonio Corradini le impresse la sua emozione popolare. Fu un momento di atmosfera creativa che dobbiamo replicare per impregnarne la città e accrescere la sua attrattiva. Le città sono fatte dagli uomini e se ognuno fa la sua parte diventano grandi.

 

Non si rischia, concentrandosi sui segni della propria tradizione, di restare autoreferenziali?

Al contrario: più esprimi la tua identità più diventi universale.

 

Alla fin fine, Pulcinella chi è?

Un contenitore di umanità con le mille contraddizioni e paure e gioie che rendono il popolo napoletano unico nel bene e nel male. Plasmarlo nella creta o dipingerlo è la mia sfida continua con la vita. Chi realizza qualcosa di buono, sia artista o imprenditore, è una persona generosa con chi verrà dopo. Come fu il principe di Sangro tramandando la Cappella. O Gesualdo da Venosa, che abitava in questo stesso palazzo e mise la parola nella musica col madrigale.

 

Si sente felice?

Stamattina sono stato nel carcere di Poggioreale dove ho donato un laboratorio. Non è una scuola ma uno spazio per spendere un po’ di tempo in libertà creativa. Come spendere il tempo in carcere è ancora più importante.

 

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