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l'audacia della chiarezza

Virginia Dwan è stata la più influente gallerista americana, rivoluzionò il concetto di arte

Francesco Stocchi

La filantropa statunitense è morta domenica 4 settembre, all’età di 90 anni. Nata a Minneapolis nel 1931, si trasferì prima a Los Angeles e poi a New York. Le opere che ha sostenuto hanno spesso sfidato lo stato delle cose, piuttosto che esserne un racconto

Virginia Dwan era generosissima, bellissima, ricchissima. L’accumulo fortunato di questi eccessi diede forma a una figura unica, considerata a ragione la più influente gallerista americana del Novecento. Nata a Minneapolis nel 1931, ereditiera della multinazionale 3M, sin da giovanissima Virginia vuole aprire una galleria. 

   

 Si trasferisce a Los Angeles non pensando al mercato dell’arte che era pressoché inesistente e libera, comunque, dal bisogno di dover guadagnare: la galleria intesa come modo per essere a contatto con gli artisti ed essere circondata di ciò che le piace vedere. Nulla più. Nella sua breve esperienza in una galleria di Beverly Hills, impara pressoché nulla se non a “come sedersi e apparire intelligente accanto all’arte”. Siamo all’inizio degli anni 60, un contesto in cui l’archetipo del gallerista è un uomo sulla sessantina, vestito in doppio petto con galleria a New York. Dwan, unica tra le donne, apre il suo spazio a Los Angeles dove tutto è cinema, surf e cultura hippy.

  

Il centro dell’arte è orientato a New York che ha acquisito a scapito di Parigi lo status di centro nevralgico dell’arte. Gli artisti vivono a New York ed espongono a New York. Dwan coglie il loro desiderio di esplorare altro, andare a ovest e confrontare la propria opera con un contesto più popolare, meno autoconsapevole. Quindi per la prima volta la West Coast conosce l’opera di Franz Kline, Guston, Reinhardt, Rauschenberg, Mitchell, Oldenburg, Reinhart. Accanto agli artisti di New York, la Dwan Gallery fa un’altra mossa fuori misura, e elegantemente fuori dal tempo: invitare gli odiatissimi francesi.

  

In Francia si impone in quegli anni il Nouveau Réalisme, e Virginia Dwan espone a Los Angeles Yves Kline, Raysse, Niki de Saint Phalle, Arman e Tinguely. Nel 1962 organizza la “My Country ‘Tis of Thee”, la mostra che consacra l’arrivo della Pop Art quale principale stile artistico degli anni 60, stile che influenzerà tutto il mondo fino a diventare un’attitudine tuttora in vigore. Malgrado gli stili apparentemente diversi che proponeva nella sua galleria, Virginia Dwan ha sempre veicolato l’assertività delle sue idee in modo composto, chiaro e incondizionato. In un periodo di turbolenze sociali negli Stati Uniti, Dwan vendeva nella sua galleria il silenzio.

  

Nel 1965 si trasferisce a New York dove si concentra nell’esposizione di artisti cosiddetti “minimali” quali Sol Lewitt, Car Andre, Donald Judd, Robert Morris, Dan Flavin. “C’era un senso di valori in subbuglio e di disillusione. Gli standard e le azioni del governo stesso erano in discussione. Ma in questo vortice sconcertante, alcuni punti fermi e silenziosi apparivano nell’arte”. La Dwan Gallery celebra in modo unico un linguaggio rigoroso e rassicurante, in opposizione al clamore del gesto, alla drammaticità dell’urlo e delle azioni non necessarie che caratterizzavano l’instabilità di quel tempo. Aggiungere rumore al caos non avrebbe fatto altro che legittimarlo e la risposta del minimalismo e della Dwan Gallery fu l’audacia della chiarezza (con buona pace di chi intende l’arte uno strumento di cronaca, di cassa risonanza dei fatti correnti).

  

Dwan vede l’arte come una forza attiva che può spostare la prospettiva e ha il potere di accendere un cambiamento, anche se solo a livello individuale. Le opere d’arte che ha sostenuto hanno spesso sfidato lo stato delle cose, piuttosto che esserne un racconto. Forme e metodi innovativi molti dei quali non sono ancora accettati da alcuni come arte. Dwan ritiene che le opere “richiedevano di essere costruite, perché erano aggiunte significative all’umanità”. Nel momento in cui il mercato dell’arte si rivolge alla crescente borghesia, oggettualizzandosi, Dwan guarda fuori le mura della galleria e inizia a incoraggiare e aiutare a produrre opere impegnative e difficili, aprendo così la strada a nuovi movimenti quali la “Land Art” o “Earth works”. E’ l’assoluto abbandono dei mezzi artistici tradizionali in favore di un intervento diretto dell’artista nella natura e sulla natura. In una tale scelta era insito un rifiuto del museo o galleria quali luoghi per l’opera d’arte, così come un rifiuto del mercato, essendo opere invendibili.

  

Dwan ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere alcune delle opere di land art più iconiche, come Spiral Jetty di Robert Smithson, The Lightning Fields di Walter De Maria, Double Negative di Michael Heizer, Star Axis di Charles Ross. In una recente intervista, avvenuta nel giorno di due sparatorie mortali in Texas e Ohio, Dwan si espresse così: “Oggi mi sembra particolarmente chiaro che la diversità è qualcosa che le persone temono e da cui sono sfidate. Entrambe le tragedie si sono basate sul fatto di non volere l’ingresso di estranei. Non si vuole una prospettiva diversa. Non si vuole una lingua diversa, perché è scomoda. Le persone si comportano allo stesso modo con l’arte. Vogliono un bel paesaggio in cui sentirsi a proprio agio. Non vogliono vedere prospettive diverse o difficili”. E’ morta domenica 4 settembre, all’età di 90 anni.

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