L'ingresso della Plage des Catalans a Marsiglia, Francia (Getty Images)

La Plage des Catalans a Marsiglia è un equilibrio nostalgico della mescolanza mediterranea

Massimo Morello

La spiaggia è un pezzo d’Europa che sa di coesistenza religiosa e sociale. Divenuta pubblica solo nel 2004, è un excursus nelle politiche sociali a Marsiglia. Le chiacchiere con i locali osservando l’orizzonte del mare

Immagina un’onda che si carica dietro di te e ti spinge con forza in avanti”, mi diceva il maestro di Tai Chi per spiegare il movimento che ora ripeto ogni giorno, sulla Plage des Catalans a Marsiglia. “Vuoi spingere il mare?”, chiede l’uomo che mi osserva divertito mentre solleva pesi da dodici chili. “Voglio solo avvicinarmi”, rispondo vago. “Vuoi cercare Allah, sia gloria a Lui”, dice, dando un’interpretazione monoteista e assoluta a un pensiero che potrebbe giudicare idolatra. Prima che io possa elaborare una risposta, mi volta le spalle, srotola un piccolo tappeto da preghiera e s’inginocchia per la preghiera del tramonto.

La Plage des Catalans, uno spazio di duemila metri quadrati lunga un centinaio di metri, un quarto d’ora a piedi dal centro della città, è un palcoscenico in cui centinaia, migliaia di personaggi mettono in scena una grande, solare rappresentazione della “condition humaine”.

 “La vita è una successione di storie legate da un filo”, dice Christoff Baron. Dipinge scene sacre e di malavita su vecchi pezzi di legno in un piccolo atelier nel soppalco di un cantiere dove restaurano “barquette”, la tradizionale barca da pesca marsigliese. Le chiama “icone narrative”. Cresciuto in una famiglia protestante integralista, convertito al cattolicesimo, è infine approdato a una forma di nichilismo. “Guardare il mare è contemplare la morte”, mi dice mentre lo osserviamo, con spirito completamente diverso, da una panchina sul largo marciapiede sopra la spiaggia, un palco da dove si gode lo spettacolo. Sulla panchina accanto passava le sue giornate una vecchia clochard cui al mattino presto c’era sempre qualcuno che portava un croissant e un caffè. Una mattina non è apparsa e così è divenuta l’ennesimo, piccolo mistero esistenziale.

 “On en voit de verts et de pas mûres”, se ne vedono di verdi e di acerbe, dice Nadège, una signora che unisce origini marocchine, italiane ed ebree e che ha sempre vissuto nel quartiere della spiaggia. Anche lei, con la sua amica Janine di ascendenze calabresi, e i rispettivi cagnolini, ogni mattina si siede su una panchina a osservare la spiaggia. L’espressione equivale al nostro “di cotte e di crude”, solo che, in questo caso, anziché la contrapposizione è la ripetizione del concetto – che pure ha precise ragioni etimologiche – a sottolineare l’incongruità, la stranezza del popolo della spiaggia.

 Donne in topless, bikini e burkini si ritrovano l’una accanto all’altra senza alcun imbarazzo reciproco. Anche se qualche volta il burkini dà molto fastidio. Ma non per motivi identitari. “Non voglio farci il bagno vicina, mi dà una sensazione di sporcizia”, dice Nadège. Nordafricani, maghrebini, ex legionari, culturisti, immigrati di ogni generazione e pied noirs, discendenti di profughi dalle ex colonie, giovani e anziani, invece, non hanno problemi di vicinanza. Un metissage che trova la sua colonna sonora in un trio di mandolino cornetta e fisarmonica cui fanno da contraltare i rap marsigliesi.

 Un po’ di distanza, invece, separa gli esemplari di “cake”, il tipo con la catena d’oro al collo, e di “cagole”, la sua vistosa compagna, dalle coppie di bobo, bourgeois-bohème. Parte a sé, sul lato nord della spiaggia vecchie e vecchi hippy, reduci dal maggio ’68 o da rivoluzioni culturali di ogni genere. Ne è simbolo una donna piuttosto anziana, abbronzatissima, in bikini leopardato, a volte in topless, bandana, che ha sempre attorno a sé un gruppo di persone che ascoltano i suoi racconti degli anni Settanta.

 Sul lato opposto della spiaggia, quello sud, si raccolgono gli anziani del quartiere, che ricordano i “vecchi tempi”, quando ancora non arrivavano qui i giovani dei “quartieri nord”, quelli malfamati, e si poteva lasciare la borsa in spiaggia senza timore. “Non come adesso, che c’è ‘enormement’ di furti» avvisa un brizzolato bagnino che ancora gioca a fare il seduttore.

 “La spiaggia rappresentava il principio e la fine. La terra era l’origine dell’umanità, il mare il grande ignoto, la spiaggia segnava il confine e l’ultimo punto di sicurezza per i nostri lontani antenati”, ha scritto Robert C. Ritchie, professore di storia all’Università della California nel saggio “The Lure of the Beach”, l’attrazione della spiaggia. Ma quella des Catalans, la prima spiaggia che incontri provenendo dal vecchio porto di Marsiglia, a differenza delle spiagge californiane, più che evocare un astratto passato remotissimo è un luogo di scambi e di passioni, è uno spazio della geostoria, l’intricata trama che compone le società̀ umane secondo l’idea dello storico Fernand Braudel. E, proprio come nell’opera più importante di Braudel, la trama della Plage des Catalans si dipana in un Mediterraneo “diviso tra bellezza e violenza, tra due colori: l’azzurro del cielo e del mare e il nero della morte e dell’odio”, come lo descrive Jean Claude Izzo, il giornalista marsigliese considerato uno dei creatori del noir mediterraneo.

 Su questo sfondo storico e letterario la Plage des Catalans è la rappresentazione scenografica di quanto scritto da Blaise Cendrars, uno degli intellettuali-avventurieri passati per il centro di reclutamento della Legione Straniera: “Marsiglia appartiene a colui che viene dal largo”. Catalans non è più un aggettivo riferito ai pescatori cui fu concesso il diritto di pescare in acque marsigliesi dopo le devastazioni della peste del 1720 e si stabilirono in quella che era stata l’infermeria del lazzaretto vicino alla spiaggia. Diviene un concetto, una metafora. Les Catalans de la Plage sono personaggi venuti da tutti gli orizzonti: geografici, spirituali, esistenziali. Filosofici addirittura. A la Plage convivono come se fosse un laboratorio di coesistenza.

 E’ più probabile assistere a un conflitto per un punto, uno sgarbo, una scorrettezza sui campi da beach volley che sono parte integrante della spiaggia, che tra gruppi sociali, etnici, religiosi. E’ un atteggiamento esistenziale, un modo di rapportarsi all’altro che sembra trasmettersi per osmosi. “Lui non parla, non gli piace parlare con la gente. Ma quando è qui sulla plage, parla con tutti”, dice una signora d’origine abruzzese quasi volesse giustificare il marito che sembra voler fare amicizia a tutti i costi.

 “E’ la mixité”, dice Antony Lacanaud, fondatore del primo museo subacqueo di Francia: dieci statue deposte a 6 metri di profondità a 100 dalla spiaggia. Per Antony il mare e l’arte parlano lo stesso linguaggio: quello delle contaminazioni. Non a caso Lacanaud ha voluto dedicare il museo ad Albert “Bebert” Falco, marsigliese, d’origine corso-italiana, il secondo del Comandante Cousteau, comandante della sua nave da ricerca Calypso, scrittore, ecologista, operatore cinematografico, avventuriero eclettico, figura mitica tra il popolo dei sub, tanto da essere stato soprannominato “il Dio dell’acqua”. “Quando non era in missione a bordo della Calypso, Bebert veniva alla Plage per ritrovarsi con i suoi amici d’infanzia. Era un luogo della memoria”, dice sua moglie Maryvonne, che oggi si è ritirata in Corsica, forse per sfuggire alla memoria di un grande amore.

 

 Il museo è così divenuto il centro di una nouvelle vague culturale interpretata da artisti che incarnano lo spirito tutto francese dell’intellettuale “physique”, anch’essi provenienti da tutti gli orizzonti con il loro bagaglio di cultura e culture. Gente come Daniel Zanca, di famiglia italiana emigrata in Tunisia e poi rifugiata in Francia. L’ho incontrato girovagando in immersione tra le sculture sommerse, una delle quali, un grande esoscheletro di riccio, è una sua creazione. Se potesse, Daniel disseminerebbe il Mediterraneo di opere destinate a divenire rifugio di creature marine.

 Uno dei sogni di Lacanaud, invece, è poter far viaggiare sul fondo uno dei “Voyageurs” di Bruno Catalano, marsigliese d’origine marocchina, artista in origine marinaio. Le sue statue in bronzo rappresentano personaggi cui mancano dei pezzi di corpo, mai il volto, che tuttavia non danno una sensazione di sofferenza quanto di volontà nel procedere a ogni costo. I vuoti nei loro corpi inquadrano scorci di paesaggi, materializzando un verso di Louis Brauquier (1900-1976), il poeta di Marsiglia, ufficiale della marina mercantile: “La vita è un’avventura che parte per l’eternità”.

 “E’ la mixité”, conferma Jean Pierre Galeazzi, presidente del comitato di quartiere parlando sia della spiaggia sia del quartiere con lo stesso nome. Ma la sua è una visione più politica, complessa. “La mixité si afferma proprio nel mantenimento delle differenze e nella reciproca accettazione. A differenza da quel ‘communautarisme’ che tende a imporre regole comuni per superare le differenze. Un concetto, un’ideologia che a Marsiglia non ha mai trovato terreno fertile”, spiega Galeazzi. Seduti al Welcome Café”, indica la porta sormontata dalla scritta in ferro in stile vagamente Deco che segna l’ingresso alla Plage des Catalans. “E’ uno spazio aperto verso la libertà. Varcare quella soglia è come entrare nell’‘orizzonte del mare’”, dice con quell’enfasi tutta francese.

 Le divagazioni poetiche di Galeazzi sono interrotte di continuo dagli anziani del quartiere, quelli che normalmente passano la giornata sul lato sud della spiaggia. Si avvicinano per salutarlo e lamentarsi: non trovano la spiaggia di un tempo, familiare, sicura. Sono anche un po’ spaventati dalle ronde di notte della polizia. “Non trovate che questa dimostrazione di forza sia psicologicamente negativa?”, avevo chiesto a una giovane poliziotta. “Dimostrazione di forza? E’ lei che usa termini forti”, mi aveva risposto. Poi si era addolcita. “E’ necessario mantenere il controllo. Durante il giorno la spiaggia ha il solo problema della microcriminalità, la violenza in genere si disinnesca senza bisogno di interventi. Ma la notte è diverso”.

 Anche per Galeazzi è necessaria una forma di controllo. Serve soprattutto a mantenere integro il tessuto sociale del quartiere. “Per parlare della Plage bisogna parlare del quartiere. Che è un quartiere popolare. Con molti palazzi popolari. Bisogna rispettare il quartiere. E’ questa la mixité sociale”. Il rischio è che il quartiere, il settimo arrondissement, perda la sua identità di tranquillo villaggio sul mare, con un’anima popolare e tradizionale.

 La storia del quartiere e quella della spiaggia sono un excursus nelle politiche sociali a Marsiglia. Basti pensare che la spiaggia è diventata pubblica soltanto nel 2004, dopo 150 di privatizzazione. Ma soprattutto che sino agli anni Venti la spiaggia era una rappresentazione formale delle divisioni tra sessi e classi: la zona per i maschi e quella per le femmine erano a loro volta suddivise in zone per ricchi e per poveri, con ingressi separati e denominazione diversa, “les grands bains des Catalans” e “les petits bains des Catalans”.

 “Alla fine, non ci sono differenze. Ci sono membri da tutti gli orizzonti”, dice Jean Castelli, personalità locale, utilizzando quella parola “orizzonti” che è un termine ricorrente nel lessico marsigliese. In questo caso si riferisce a due istituzioni storiche e completamente diverse: il Cercle del Nageurs de Marseille e il Club de Volley-Ball des Catalans, separati da un migliaio di euro di differenza nella quota associativa annuale (senza contare quella d’ingresso). “Il Club des Nageurs offre tantissimi servizi ma non c’è bisogno di essere dei ricconi per aderire. Qui c’è gente che magari preferisce rinunciare a qualche spesa per permettersi l’iscrizione. Ma soprattutto non ci sono differenze perché i due club non sono simboli di un contrasto. Molte persone sono soci di entrambi”, dice Castelli che di entrambi è uno dei membri più autorevoli. Le uniche differenze risalgono a parecchi anni fa nel club del volley. “I soci magrebini all’inizio non accettavano facilmente il fatto che le donne potessero giocare a volley. Oggi non è più così: se vogliono imparare a giocare bene devono affidarsi a Irina”. Contabile e preparatrice atletica, Irina la kirghiza è ormai uno dei personaggi principali della spiaggia, una soldato Jane in bikini.

 La nuova sfida che la mixité della spiaggia dovrà affrontare è l’impatto dal Sea One, un condominio di lusso in stile californiano. Progettato dall’archistar Rudy Ricciotti, l’autore del Mucem, il Musée des civilisations et de la Méditerranée che ha ridefinito l’aspetto del vecchio porto di Marsiglia, il Sea One è il nuovo confine nord della spiaggia in cui si fronteggeranno tribù molto diverse.

 Intanto, in questo scorcio di estate, sotto quella che dovrebbe diventare una piazzetta pubblica di fronte al Sea One, ancora non si è fatta viva la vecchia hippy in bikini leopardato, che passava le sue giornate in compagnia proprio là. Il commento di Antony m’intristisce più di ogni altra considerazione sociologica sul futuro. “Anche le vecchie hippy, a un certo punto, si stancano”.

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