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storie

Livio Sansone racconta senza cliché Lombroso in sud America  

Giulio Silvano

La cancellazione del criminologo che non si adatta allo spirito di oggi. Un libro che segue gli epigoni e le influenze nel continente sudamericano

Nella lista degli italiani più celebri al mondo, tra Montessori e Mussolini, figura sicuramente Cesare Lombroso, eclettico veronese – piemontese sefardita, nato nel 1835 sotto il segno dello Scorpione, con un impatto multidisciplinare a volte dimenticato, che va dalla Bestia umana di Zola alla neurocriminologia contemporanea; cosa sono i profiler dell’FBI se non dei lombrosiani 2.0? Esisterebbero lo stesso serie come C.S.I e Criminal Minds? La nomea di Lombroso è avvolta oggi da un terrore sociale per via della correlazione a un certo tipo di razzismo, a discorsi su ereditarietà, degenerazione e atavismo che per nulla si adattano allo Zeitgeist, a un’epoca, l’oggi, di presunta autodeterminazione del sé, dove le colpe della genetica non devono cadere sui figli. Titoli come La donna delinquente, la prostituta e la donna normale o L’uomo bianco e l’uomo di colore troverebbero oggi masse rabbiose ad accoglierne le ristampe (che infatti scarseggiano). Un senatore grillino di recente chiedeva la chiusura del bellissimo Museo Lombroso di Torino, perché secondo lui “esalta la superiorità del popolo settentrionale”, per dire.

 

Un vero peccato sotterrare Lombroso, e non perché le sue teorie siano esatte o meno, ma perché sembra sciocco scordarsi dell’influenza che ha avuto durante ottocento e novecento, e di come è riuscito, quasi da guru, a creare una vera e propria scuola che ha finito per plasmare codici, legislazioni, facoltà universitarie, musei e atteggiamenti in diversi continenti, oltre che suggestionare la cultura visuale frutto del colonialismo e dei nazionalismi a cavallo dei secoli. Livio Sansone, nel suo libro La Galassia Lombroso, appena uscito per Laterza, ne racconta con passione l’impatto, suo e dei suoi seguaci, in Sud America, in Argentina e Brasile in particolare, terre di grandi migrazioni italiane, ma anche in Colombia, Perù, Messico e Cuba. Il pregio del libro di Sansone – che come ricorda nella prefazione è un antropologo, non uno storico – è mettere sotto una nuova luce alcuni paradigmi teorici e mostrare alcune posizioni del criminologo per farlo uscire dai cliché, che abbiano a che fare con la razza – come l’esaltazione del meticciato brasiliano – o con la questione ebraica, inserendo bene il pensiero positivista nello scenario culturale e politico dell’epoca.

 

Il libro poi, e da qui il titolo, mette in risalto alcune figure – patrie ed equatoriali – di questa costellazione antroposociocriminologa sviluppatasi intorno al Sole-Lombroso. Uomini e donne dalle biografie – e dalle idee – affascinanti, come le due figlie, Gina, dottoressa e scrittrice, e la socialista Paola, che creò il Corriere dei piccoli. Entrambe sposarono due uomini dell’entourage del padre: la prima lo storico e scrittore Guglielmo Ferrero, che influenzò Joyce e Conrad, più volte candidato al Nobel per la letteratura e invitato in USA da Theodore Roosevelt; la seconda il medico legale Mario Carrara, noto anche in seguito per il suo impegno antifascista. Della gang, o comunque del giro di casa Lombroso, facevano poi parte il giurista e senatore Enrico Ferri, il medico Salvatore Ottolenghi, tra i primi teorici dell’investigazione scientifica, il magistrato conservatore Raffaele Garofalo, Scipio Sighele, autore del best seller La folla delinquente, lo psichiatra Enrico Morselli e l’accademico Giuseppe Sergi, “la force de frappe della Scuola Positiva di antropologia criminale italiana”. Tutte figure intellettuali che mescolarono discipline ed esperienze, tra cui spesso quella della politica attiva prima e durante il ventennio. Per non parlare poi degli epigoni sudamericani, spesso più realisti del re.

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