Dora Maar non è stata solo la musa di Picasso, ma una grande artista
La fotografa, poetessa e pittrice francese è stata una delle tante amanti del pittore spagnolo e la sua grandezza artistica è passata in secondo piano. La sua riscoperta, come trend del secolo. Un “album del nostro inconscio”. Un’asta a Parigi
Il poeta Guillaume Apollinaire morì a trentotto anni pour la France dopo esser stato ferito alla testa durante la Prima guerra mondiale e aver contratto la Spagnola. Qualche mese prima, sempre nel 1918, si era sposato con Jaqueline Kolb, testimoni di nozze erano stati il grande gallerista Ambroise Vollard e Pablo Picasso. Prima di morire Apollinaire aveva espresso il desiderio di esser rappresentato prima o poi da una statua ideata dal pittore spagnolo, caro amico con cui aveva condiviso gli anni della bohémienne pre-surrealista (tra l’altro va ricordato che il termine surrealista si deve proprio ad Apollinaire, che coniò – si dice – anche le parole “cubismo” e “orfismo”).
La richiesta del poeta verrà realizzata solamente quarant’anni dopo, nel giugno del 1959, quando verrà inaugurato un busto dal titolo La Poésie, à Guillaume Apollinaire, in un piccolo giardino nell’angolo della piazza di Saint-Germain-des-Prés, sotto al campanile gotico della chiesa che ospita il corpo di Cartesio, al centro di Parigi. All’’inaugurazione era presente anche Jean Cocteau che lesse o declamò alcuni versi del poeta. Il fatto è che, quel monumento, nonostante fosse dedicato ad Apollinaire, non rappresentava le fattezze del poeta, ma il volto di una donna. Uno scherzo del vecchio amico di scorribande? Una postuma mancanza di rispetto? Chissà. Nel frattempo Picasso era diventato una vera e propria star. E sappiamo che il suo progetto iniziale per omaggiare il poeta a dieci anni dalla scomparsa era di tutt’altra natura: una figura astratta costruita con barre di ferro che riprendevano i tratti neri di un disegno oltre al suo interesse per le carte astrali. Ma la scultura non venne approvata dalla Société des Amis d’Apollinaire e non se ne fece niente fino al ’59, appunto, quando venne svelato quel busto in Square Laurent-Prache, che non rappresenta davvero il poeta, nonostante il suo nome sia inciso sul piedistallo. Ma di chi è quel volto di donna, che ancora oggi possiamo vedere sotto i rami di un albero di giuda, tra cespugli di rododendro in quel giardino a pochi passi dal Deux Magots? Si tratta di Dora Maar, che a lungo visse con Picasso, e fu spesso soggetto dei suoi quadri, spesso in lacrime.
Dora Maar era nata nel segno dello Scorpione col nome di Henrietta Theodora Markovitch nel 1907, a Tours, anche se alcuni dicono a Parigi, figlia di un architetto ebreo iugoslavo e di una madre cattolica della Turenna. Gran parte della gioventù la passò a Buenos Aires, perché il padre si occupava della costruzione di edifici pubblici in Argentina. A vent’anni lasciò il Sud America e tornò in Francia per studiare pittura a Parigi – all’École des beaux-arts, all’Académie Julian e all’Union centrale des arts décoratifs – e iniziò a frequentare quella costellazione di bar tra Montparnasse e Saint-Germain che sono diventati sinonimo del Novecento artistico parigino, come La Rotonde o il Dôme. Fu proprio in uno di questi café, il Deux Magots, che venne avvicinata da Picasso per la prima volta, negli anni Trenta, mentre lei giocava pericolosamente con un coltello. Lui si fece dare in regalo i guanti macchiati di sangue. I biografi nel descrivere Dora Maar parlano di un forte lato dark, di un grandissimo fascino, di anticonformismo, di una forte presa di posizione contro le convenzioni borghesi, la dipingono come capace di gesti teatrali e drammatici in pubblico, sottolineando la bellezza delle sue mani e della sua voce. Aveva già avuto diverse relazioni da quando era arrivata nella capitale, tra cui una con lo sceneggiatore cinematografico Louis Chavance e una con Georges Bataille – che aveva già pubblicato il romanzo Histoire de l’œil, sulle perversioni sessuali di una coppia di adolescenti – conosciuto in un giro di estrema sinistra antistalinista frequentato anche da Simone Weil. All’inizio degli anni trenta Dora Maar aveva abbandonato la pittura per dedicarsi alla fotografia, condividendo per un periodo una camera oscura con Brassaï per poi aprire uno studio insieme al fotografo Pierre Kéfer. Nel 1936, quando incontra Picasso, Maar ha già una sua fama negli ambienti gauche-artistici della capitale e le sue fotografie ricalcano quell’immaginario surrealista dei film di Luis Buñuel e le opere di Alfred Jarry – una delle sue foto più forti, bizzarramente malinconica e bestiale, tra le più “repellenti” (dice il catalogo del MET), è quella di un cucciolo o di un feto di armadillo dal titolo “Père Ubu”, omaggio, appunto, all’assurdo personaggio di Jarry. La foto viene esposta nel ’36 a Londra alla International Surrealist Exhibition. In questi anni si diverte anche con i collage, stratagemma artistico tipico del surrealismo, e con i fotomontaggi, che per molti sono l’apice della sua carriera di fotografa. Gambe nude giganti sulla Senna, figure semi-umane grottesche sotto archi gotici distorti, una mano plastica che esce da una conchiglia, donne con stelle al posto della testa. Nel frattempo, per mangiare, lavora come fotografa di moda, o per la pubblicità.
Picasso ha cinquantacinque anni, lei ventinove quando iniziano una relazione che durerà una decina d’anni, finché lui non conoscerà Françoise Gilot (quella della foto in spiaggia, dove Picasso trasporta un ombrellone, come in una parata). Dora Maar viene spinta dall’artista a tornare alla sua passione originaria, la pittura. Basta collage e fotomontaggi, basta fotografia. Ma lei continua a scattare, e il soggetto principale è proprio l’amante. Mentre si inizia a sentire odore di guerra mondiale, alcuni lasciano Parigi, alcuni vanno in Spagna, altri restano tra i café. Sono molte le foto di questi anni che diventano un documento chiave della storia dell’arte, per poter osservare da vicino la nascita e il processo di alcune opere importantissime del pittore spagnolo. Come “Guernica”, che Picasso dipinge mosso dal terribile bombardamento del 1936 della cittadina basca, ad opera dei tedeschi. Celeberrima la frase di Picasso; quando un soldato nazista vedendo una foto del dipinto nel suo studio gli chiede: “L’ha fatto lei?”, lui risponde: “No, siete stati voi”. Dora Maar osserva e scatta nelle stanze di rue des Grands-Augustins, nella primavera e nell’estate del 1937, e Picasso stesso usa le sue fotografie per lavorare al quadro gigante. Dora Maar fotografa pennellata dopo pennellata, raccontandoci il processo di creazione di un magnum opus. Quadro che verrà usato – esempio massimo di opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità ludica-educativa-commerciale – come immagine di copertina per manuali liceali di storia dell’arte tanto quanto di storia del Novecento; nel negozio del museo Reina Sofia, a Madrid, si trovano puzzle, taccuini, gomme custodie portaocchiali, borsellini, tazze, con pezzi di cavalli che urlano. E’ considerato anche un manifesto visivo contro la guerra, memizzato più e più volte per proteste e vignette, considerato da alcuni come strumento per aver fatto conoscere la Guerra civile spagnola alle masse. Secondo lo storico dell’arte John Richardson, Maar contribuì al dipinto, dipingendo alcune pennellate verticali sul cavallo centrale.
In occasione della fagocitante Design Week milanese alcune fotografie di Dora Maar sono state visibili in corso Venezia nella sede della casa d’aste francese Artcurial per una preview dell’asta, che si terrà poi a Parigi il 27 e il 28 giugno. Dora Maar, inédits, fonds photographique ha presentato più di trecento foto, per lo più inedite, degli anni Trenta, oltre a una quindicina di scatti degli anni Ottanta, giochi di sovrapposizioni con foglie, buchi, fili di ferro. A Milano ne erano visibili una ventina. Alcuni scatti del lotto sono di opere di Picasso in lavorazione, soprattutto statue, tra cui un busto di gesso di quello che diventerà La Poésie, à Guillaume Apollinaire – quasi un autoritratto, quindi, considerato che il volto è il suo. Il grosso del ritrovamento mostra gli anni parigini, e i viaggi a Londra o a Barcellona dove si concentra su figure di outsider incontrati in strada, mutilati di guerra e senza tetto, baraccopoli.
Molti i ritratti al pittore, che guarda l’obiettivo con consapevole languidezza mentre fuma nell’atelier di Dora in rue de Savoie, o appoggiato alla vasca da bagno, tutto serio col papillon, o foto del cane di Pablo, spaparanzato sul parquet, o, ancora, una modella nuda seduta sul letto, con Pablo dietro che dipinge, o vacanze ad Antibes, in spiaggia. Poi autoritratti, appoggiata a un albero o con in testa una corona di fiori o sdraiata in costume sul ponte di una nave, e personaggi della loro vita, l’autista di Picasso, Marcel Boudin, o la figlia di Breton, o Jacqueline Lamba nuda, e Cécile e Paul Eluard, Inès Sassier, la scrittrice Gisèle de Monfreid, la surrealista Meret Oppenheim, Lisa e Paul Deharme, l’attore Alain Cuny a petto nudo, il regista Pierre Prévert, il poeta Benjamin Péret che sale in macchina, Jean Marais vestito come l’imperatore Nerone, Marcel Duhamel che scherza a tavola con un cestino in testa, e Pierre Reverdy, che ebbe una relazione con Coco Chanel. Come spiare dal buco della serratura le giornate e i momenti di questi giri intellò degli anni Trenta. Ci sono anche paesaggi alpini ed esperimenti con i negativi che creano figure umane che sembrano acquerelli. Vediamo anche Parigi, che qui più che mai fa venire in mente quando Italo Calvino la paragonò a un’enciclopedia a cielo aperto, “possiamo leggerla come inconscio collettivo, come album del nostro inconscio, come catalogo di mostri”, diceva. Nelle foto di Dora Maar ci sono i negozi, ragazzini che guardano le vetrine delle cioccolaterie o dei tatuatori, adoranti, persone davanti agli ingressi della metropolitana, manifesti strappati, uomini sandwich in rue des Rennes, tutti scatti che potrebbe fare sia un turista americano appena arrivato con un taxi da Charles De Gaulle, o una persona che ha sempre vissuto lì. La foto di un bouquiniste potrebbe esser stata scattata oggi. Bisognerebbe capire se sono stati gli artisti a fare Parigi, o se è Parigi a fare gli artisti. La base d’asta parte spesso dai 1.000 euro per arrivare a 3.000, alcune partono da 600.
Il nome di Dora Maar appare automaticamente – nei motori di ricerca, nelle mente dei più – come figura legata a Picasso e non tanto come artista. Un quadro come Ritratto di Dora Maar, dove lei è rappresentata seduta, il volto giallo, di profilo, è più celebre delle sue foto, e ancor di più dei suoi dipinti. E’ vista quindi soprattutto come musa, come groupie, come amante.
Ci sono state più mostre su di lei, in importanti musei, negli ultimi dieci anni che in tutta la sua vita – Fortuny nel 2014, Centre Pompidou nel 2019, Tate Modern 2020, Pinacoteca Agnelli 2022, ad esempio. Questa passione per Dora Maar segue un trend generale di questo secolo, il tentativo generico di “riscoprire” e soprattutto di “recuperare” artiste in quanto donne, considerate vittime di un sistema patriarcale che ha sempre voluto mettere in ombra il “genio” femminile. O rimettere sotto una nuova luce figure che sono sempre state considerate semplici nomi nella biografia di un celebre pittore. Pensiamo all’esplosione recente di fandom, di merchandising e di mostre su Frida Kahlo, Artemisia Gentileschi, Tamara de Lempicka… Un’amica di Dora Maar, Jacqueline Lamba, moglie di André Breton – il “capo” del surrealismo – diceva di avere il terrore di non esser mai considerata “una grande artista”. Oggi tutti sanno chi è Breton, in pochissimi chi sia Jacqueline Lamba.
Già nel 1971 la storica dell’arte Linda Nochlin scrive un articolo intitolato Perché non ci sono state grandi artiste? dove dice: “La prima reazione delle femministe è quella di abboccare inghiottendo l’esca con tutto l’amo, e cercare di rispondere alla domanda così com’è formulata. Il che significa: dissotterrare nomi caduti nell’oblio di artiste sottovalutate o poco considerate; nobilitare carriere modeste seppur interessanti e prolifiche”. Così facendo non si analizza il vero problema che, dice Nochlin, è sistemico, e passa dall’educazione al concetto stesso di arte. La questione interessante è che secondo la storica, le poche grandi artiste del passato erano tutte o figlie d’arte (come Artemisia, appunto) o legate in vita ad artisti considerati più grandi di loro, che è il caso della nostra Dora Maar. Modella di Picasso, e poi artista. Grande artista o non grande artista, in queste fotografie quello che interessa è anche il rapporto con Picasso, e l’ambiente di quegli anni Trenta tanto feticizzati oggi, a quasi cent’anni di distanza, vista quindi più come documentarista, come una Vivian Maier che aveva avuto la fortuna di capitare tra i circoli surrealisti. Dopo questa relazione estremamente concitata e la tumultuosa rottura con Picasso – un classico, a detta dei biografi, del modus operandi sentimentale dell’artista, Scorpione anche lui – Dora Maar tornerà alla fotografia “artistica”, negli ultimi anni, tra Parigi e la Provenza, riprendendo a giocare con i fotogrammi, applicando fiori sui ritratti che aveva fatto decenni prima ai suoi amici surrealisti, ormai tutti morti, prima di andarsene anche lei nel 1997 a quasi novant’anni.
Antifascismo per definizione