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La recensione

Tra le ceneri di questo pianeta: il nichilismo pop di Eugene Thacker

Andrea Venanzoni

Un'analisi sul rapporto tra orrore e filosofia talmente originale da diventare lo spunto della serie tv "True Detective": il filosofo prende le mosse da autori classici per rifondare il pessimismo attuale che né la religione né la scienza possono spiegare

Quando il filosofo Philipp Mainlander, nato Philipp Batz, autore de Filosofia della redenzione e di quello che Theodor Lessing descrisse come il più radicale sistema pessimistico occidentale, decise, a soli trentacinque anni, di appendersi a una trave del soffitto della sua abitazione usando come piedistallo le copie fresche di stampa del suo libro, per il mondo non s’intravedevano ancora i video hip hop, le stories di Instagram o le serie televisive HBO. Mainlander, pertanto, dovette accontentarsi di una fama minore nell’alveo oscuro dei pensatori nichilisti: coniò il concetto di morte di Dio che sarebbe poi stato ripreso, debitamente rivisto e ricontestualizzato, da Nietzsche, il quale per parte sua fu sempre assai critico di Mainlander.

 

Così virulento nel suo pessimismo, così affilato e lancinante nella sua negazione di qualunque valore dell’esistenza umana e della idea stessa di poter riconoscere ipotesi trascendenti che potessero consolare la vacua futilità dell’esistenza, come rammenta Fabio Ciracì nel suo bel volume monografico, ‘Verso l’assoluto nulla’, da far apparire Emil Cioran e Albert Caraco due sinceri, vitali ottimisti: lo stesso mondo, annotò infatti Mainlander con piglio gnostico, non sarebbe altro che l’epidermide decomposta e verminosa di un Dio morto, inevitabilmente e ineluttabilmente caduto. E’ verosimile pensare che nel mondo attuale Mainlander sarebbe assurto a qualche notevole fama social, potendo dispensare le sue pillole di negazione ontologica a una platea ormai assuefatta alla esposizione diretta, tramite video, foto, concetti ruminati per chat e canali telegram, alla idea che no, non viviamo propriamente nel migliore dei mondi possibili.

 

E invero, più che una ipotesi, direi essere pura certezza. Perché è quanto avvenuto ad un altro pensatore il cui nocciolo concettuale è quello di un nichilismo ctonio e furente: l’americano Eugene Thacker. Immaginate di accendere la televisione, di sintonizzarvi sulla HBO e precisamente sulla serie cult True Detective: chiunque abbia scorso i fotogrammi e si sia soprattutto immerso nei dialoghi redatti dallo sceneggiatore e ideatore Nic Pizzolatto si sarà reso conto della consonanza tra il nichilismo dei protagonisti e i libri di Thacker.

 

Non è a dire il vero mera consonanza né curiosa coincidenza, ma piuttosto debito concettuale pacificamente ammesso: Pizzolatto ha più volte dichiarato di aver tratto ispirazione per modellare la fisionomia mentale e la visione della vita dei propri personaggi dalla filosofia di Eugene Thacker e da quella dello scrittore horror e pensatore egualmente nichilista Thomas Ligotti. Immaginate ora di cliccare sulla pagina Instagram della star pop Lily Allen e di imbattervi in lei, in compagnia di due amici, vestita con una maglietta su cui troneggia la scritta ‘In the dust of this planet’.

 

Tra le ceneri di questo pianeta. Il titolo dell’opera forse più conosciuta, peculiare e rilevante del filosofo americano, in Italia pubblicata dalla NERO, una iper-accelerata e dolente messa a punto che ibrida nichilismo totale, cinema, letteratura horror, occultismo e black metal, filtrata attraverso uno sguardo alchemico. Immaginate adesso di sintonizzarvi su un video di Jay-Z e di Beyoncè e d’un tratto sul dorso di una giubba di pelle veder apparire quella esatta scritta: tra le ceneri di questo pianeta.

 

Un gioco di specchi sul ciglio dell’abisso. Stilisti, musicisti, attori, sceneggiatori, d’un tratto, si sono sincronicamente dati convegno per esaltare, in alcuni casi con molta consapevolezza, in altri forse con minore condivisione del messaggio concettuale espresso da Thacker, una visione che attinge al nero assoluto di un nulla impensabile. Serafico, messo davanti a cotanto profluvio pop, Thacker non si scompone e afferma ‘ho idea che siano più le persone che hanno indossato il mio libro piuttosto che quelle che lo hanno davvero letto’.

 

D’altronde, tutto il fulcro di questa filosofia anti-umana che sembra ripercorrere per stratificazione geologica le tre fasi della grande opera alchemica, la Nigredo, l’Albedo e la Rubedo, si basa sulla impossibilità ontologica di considerare un mondo senza di noi e di contemplarlo o concepirlo nella beata serenità di un vuoto zen: uno zen intessuto chiaramente di depressive black metal e di tubolari neon gracchianti e infissi sul ventre scosceso di vagoni della metropolitana, in scenari distopici in cui il male folgora la mente umana, palesandosi cioranianamente per ciò che è, uno scrigno più affascinante e più contagioso del bene.

 

La definizione migliore di Tra le ceneri di questo pianeta l’ha probabilmente fornita il collega di pessimismo, Thomas Ligotti, che ha descritto il testo come un ‘grimorio enciclopedico’. Ed in effetti, Ligotti, autore tra romanzi e racconti e collaborazioni musicali-esoteriche coi Current 93 di un glaciale saggio anti-natalista e iper-nichilista quale ‘La cospirazione contro la razza umana’, può davvero apparire come uno dei pochi ad afferrare sul serio la triade epistemologica tratteggiata da Thacker, il quale distingue tra mondo-terra-pianeta: il primo, esperienza sensibile dentro cui siamo calati in maniera totalizzante e che riduce la sensazione dell’esistente a una proiezione del nostro io, la seconda forma oggettiva e contesto ambientale del processo di osservazione, e infine il pianeta, ovvero ciò che si situa oltre le metafisiche colonne del pensabile.

 

Il pianeta, nel pensiero di Thacker, diventa l’assoluto nulla di Mainlander, quella distesa caotica e nera colma di vuoto e di silenzio, dentro cui non vi è traccia alcuna di proiezione soggettiva della dimensione umana. Ed esattamente qui, psicogeograficamente, si situa l’orrore scandagliato da Thacker: e per orrore il filosofo americano intende anche l’orrore della letteratura e della musica, Lovecraft, Hodgson, i Darkthrone, quei profili assopiti che hanno incarnato e dipinto un orrore misterico e tremendo sceso come lupo famelico nel mondo, pardon sul pianeta.

 

Da poco tempo, la NERO ha tradotto e pubblicato anche un altro testo fondamentale di Thacker, ‘Rassegnazione infinita’, una decostruzione in forma di frammenti e aforismi che risalendo dal gorgo nero del pessimismo storico di autori come Schopenhauer, Cioran, Nietzsche, Pessoa, Camus e attingendo ancora alla letteratura, al cinema, alla musica produce una forma icastica e dolorosa di omeopatia della sofferenza totale. La desolazione desertica, cupa come una foresta d’ebano, echeggiata dalle pagine di Thacker fa sovvenire alla mente la lezione d’un altro nichilista hardcore come Ray Brassier, autore di Nihil Unbound: il mondo, il reale, il pensiero non hanno bisogno dell’umanità, e questa ultima anzi, col suo disperato bisogno di individuare un senso o uno scopo, ne è solo gravoso fardello. E prima lo comprenderemo e accetteremo, prima esisteremo liberi dalla zavorra degli enigmi e degli interrogativi esistenziali, passando dalla disperazione dell’umano, troppo umano, alla quiete nullificante dell’oscuro, troppo oscuro.