"Nessun sabotaggio". Il centrodestra si dice unito, ma il presidenzialismo è affossato
Il voto sull'elezione diretta del Capo dello stato ricompatta la coalizione, ma le assenze pesano. "Mancanze fisiologiche. La polemica vogliono montarla i giornali, non Meloni", dice il leghista Iezzi. E la deputata di FdI Montaruli: "Non ci sentiamo traditi. Abbiamo mostrato le debolezze della sinistra"
Un giorno litigano a Verona, quello dopo in Sicilia. Intanto organizzano congressi e convention separate, tra Roma e Milano. Ma il voto di ieri, quello che ha archiviato almeno per questa legislatura il presidenzialismo – giurano – non ha nulla a che vedere con gli attriti del centrodestra. Colpa delle manovre a sinistra e dei “golpisti bianchi”, come ha detto Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera meloniano. “Ma quale sabotaggio?”, si chiede allora il leghista Igor lezzi, parlamentare e componente della Commissione affari istituzionali, che butta acqua sul fuoco. D'altronde, per la coalizione il momento è quello che è.
Nessuna polemica, dunque, nonostante la proposta di Fratelli d'Italia - “la madre di tutte le riforme”, per dirla con le parole di Giorgia Meloni - non abbia passato l'esame dell'aula. E' stato approvato invece l'emendamento soppressivo alla svolta presidenzialista presentato dal M5s: 236 voti favorevoli, 19 astenuti (i parlamentari di Italia viva) e 204 contrari, quelli di un centrodestra che ha votato all'unisono.
A destare qualche perplessità sono state tuttavia le assenze nella coalizione, senza le quali la votazione avrebbe forse potuto avere altro esito: mancavano all'appello, senza considerare le missioni o altri impegni, 16 parlamentari forzisti e 26 leghisti. Ma il partito di Salvini proprio non vuole sentire parlare di tradimenti: “Questa volta la polemica vogliono farla i giornali, non Giorgia Meloni. Non c'è stato alcun sabotaggio”, dice Iezzi al Foglio, che a braccio fa i conti - in realtà non proprio sovrapponibili al resoconto della Camera - e rispedisce al mittente ogni addebito: “15-16 erano in missione, una decina malati. Alla fine le assenze sono state quelle fisiologiche”. Anche perché, “abbiamo sempre votato a favore del presidenzialismo. Il centrodestra è stato unito”.
Più o meno la stessa versione che arriva da Fratelli d'Italia. E di questi tempi, non è proprio scontato. “Non ci sentiamo traditi. Assolutamente no, lo dico con estrema sincerità”, è il commento della meloniana Augusta Montaruli, pure lei in Commissione affari costituzionali. Spiega al Foglio che il centrodestra non solo questa volta non si è diviso, “ma anzi, abbiamo mostrato le debolezze della sinistra rispetto a una riforma che restiruirebbe sovranità ai cittadini”. E che, manco a dirlo, sarà uno dei cavalli di battaglia della prossima campagna elettorale di Fratelli Italia.
Nel frattempo, restano gli screzi elettorali. Nulla di troppo sostanziale, sembrerebbe. “Ripeto le parole di Giorgia Meloni: sui grandi temi alla fine il centrodestra è unito, compatto”, assicura Montaruli che rivendica il “merito di aver rilanciato un dibattito su una riforma necessaria”. L'auspicio allora per il centrodestra è che la stessa compattezza dimostrata ieri – o comunuque dichiarata oggi – resti tale anche di fronte ai tentativi, più o meno convinti a seconda dei giorni, di cambiare la legge elettorale per il 2023, da parte del Pd e dei grillini.
“Confido nell’unità della coalizione contro il ritorno al proporzionale”, ha ribadito un'altra volta Meloni. E anche in questo caso Montaruli sottoscrive. Altrettanto fa la Lega: “Mi auguro la stessa compattezza”, dice Iezzi, che conferma le aspettattive ma non rinuncia alla stoccata contro chi mette in dubbio la leatà del Carroccio: “In Commissione, gli emendamenti contro la proposta di legge costituzionale Fornaro per impedire che si andasse verso il proporzionale li abbiamo fatti noi. L'opposizione l'abbiamo fatta noi”. E non Fratelli d'Italia, se ne può dedurre.
Almeno per un giorno resta la ritrovata (o presunta?) unità d'intenti tra Meloni, Berlusconi e Salvini. Chissà che non arrivi anche il momento del fatidico vertice tra i leader, quello che tutti invocano da settimane ma che alla fine nessuno programma. Mentre le amministrative incombono.
Intervista a Gabriele Lavia