La lettura

La "Cospirazione" fragile. Torna il capolavoro di Paul Nizan

"Le rivoluzioni esistono sempre in fondo ad ignoti limbi. Esse si preparano non si sa in quali misteriose profondità, scoppiano non si sa a quale ora"

Luigi Azzariti-Fumaroli

Autore del celebre "Aden Arabia", invidiato da Sartre e definito comunista "impossibile". Viene ripubblicato il romanzo dello scrittore francese che racconta la velleità della rivoluzione

Nel 1967, durante una conferenza presso l’università di Warwick, George Perec, nel soffermarsi sulle influenze che aveva ricevuto per la stesura del suo primo romanzo, Le cose, pubblicato due anni prima, aveva indicato fra le altre quella esercitata da La cospirazione di Paul Nizan (traduzione di Emilia Gut, prefazione di Ivan Greco, Robin Edizioni, Torino 2021, pp. 285, euro 16) "un libro – dichiarava – che racconta la storia di un gruppo di giovani, coetanei dei miei protagonisti, che cercano di fare la rivoluzione, senza, ovviamente, riuscirci".

 

A suscitare l’interesse di Perec per Nizan era stato, però, non già il sentimento per la rivolta come improvviso scoppio insurrezionale che di per sé non implica alcuna strategia, non potendo essere destinata né a restare se stessa né ad avere il proprio compimento nella rivoluzione, ma lo "spirito critico" verso i suoi personaggi, analogo per alcuni versi alla distanza ironica di Flaubert, e per altri ad una retrospettiva verso il proprio sé passato, quello dei vent’anni, quando "la coscienza della propria esigenza è ancora incerta e si fa assegnamento su avventure in grado di provare di essere vivi", ma che si rivelano, alla prova dei fatti, invariabilmente fragili.

 

Cassants sono i progetti di Rosenthal, il figlio d’un agente di cambio di Passy, sensibile a tutti gli spaesamenti, a cominciare da quelli amorosi, e capace di romanzarli più che di viverli; di Laforgue, intellettualoide inetto e velleitariamente sovversivo; di Pluvinage, confiscato dall’immagine del padre sbirro, cui non sa come rendere omaggio, se non facendosi delatore dei suoi medesimi compagni, cospiratori sì, ma solo finché, "dopo aver invocato tutti i naufragi che convengono ai grandi secoli decorativi, sarebbero stati alla fine costretti a navigare osservando le istruzioni nautiche e tutti i segnali rossi dei ponti, sulle acque pianeggianti della vita borghese". E sempre che la morte, come accade a Rosenthal, non provveda a consegnarli ad una eterna giovinezza, sottratta al tempo e alle metamorfosi della vita.

 

Da normalista, ad un certo decorativismo lo stesso Nizan aveva aderito con la convinzione che si deve ad un’obligation d’incertitude – come Françoise Coblence ha definito il dandismo: arte decorativa volta a celare, dietro una perentoria timidezza ed una inquieta sprezzatura, un desiderio di negazione che porta ad annientarsi negli orpelli. "Era impeccabilmente vestito di blu scuro, portava la coccarda tricolore di Valois. Mi dissero ch’era Nizan" – appunta, in Segni, Merleau-Ponty; e Sartre, a sua volta, ricordandone i colletti rotondi e aperti, gli occhiali di tartaruga, il monocolo, ammetteva di averlo voluto imitare, quel suo compagno cinico, dolcemente aggressivo, implacabile, e non solo nelle monture, ma nella capacità precocemente sviluppata di comprendere che il marxismo potesse diventare una Ragione in grado di far riconoscere come, "vedendo il mondo, ci si veda", restando con esso confusi, da esso impregnati, in una marea di angoscia che è anzitutto il flusso della storia.

 

Proprio per questo Nizan non sarebbe potuto altro che essere il Comunista impossibile, come suona il titolo della biografia che gli ha dedicato Annie Cohen-Solal. Il suo fu infatti il percorso d’un eretico tesserato del Pcf, responsabile degli esteri a Ce soir (il quotidiano diretto da Louis Aragon), ambiguamente stalinista fino agli accordi di Monaco, i quali, come pure documentano le affilate pagine di Cronaca di settembre, costituiranno il punto di non ritorno del disagio di una generazione di militanti comunisti, "scossi prima dalle laceranti vicende della guerra di Spagna, poi dalle notizie sui processi staliniani".

 

L’abbandono del Partito sarà accompagnato da una ridda di acrimoniosi anatemi di molti dei suoi ex compagni, che gli affibbieranno la taccia di traditore e versipelle, una nomea che lo circonderà fino alla riabilitazione, avvenuta dopo oltre vent’anni da quando, mobilitato, venne ucciso nei pressi di Dunkerque, il 23 maggio 1940. "Se l'era svignata a trentacinque anni", avendo maturato la convinzione, già propria dei suoi personaggi, che le rivoluzioni – come scrisse Eugène Pelletan, nel 1848 – "esistono sempre in fondo ad ignoti limbi. Esse si preparano non si sa in quali misteriose profondità, scoppiano non si sa a quale ora".

                                                                                              

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