Riordinare una libreria eliminando quello che non ci sta più
Disfarsi di un libro è uno struggimento che niente al mondo può mitigare perchè non è un oggetto qualsiasi, bensì “ un oggetto singolarmente vivente”, che va trattato con rispetto
Ci si accorge sempre troppo tardi di avere troppi libri in casa, specialmente quando, anziché catalogarli come fanno le persone previdenti, ci si è malauguratamente limitati a ordinarli nel tempo secondo criteri più o meno raffazzonati. All’inizio l’idea di collocarli per argomento o per autore sembra funzionare. Man mano che si accumulano è persino divertente spostarli in continuazione, vuoi perché magari riteniamo che quell’autore sta meglio vicino al talaltro che vicino a quello dove l’avevamo precedentemente collocato, vuoi perché quell’argomento è ormai diventato talmente ampio che è meglio suddividerlo in diversi sottoargomenti, vuoi perché a un certo punto riteniamo di privilegiare la collana a cui certi libri appartengono. Criteri vaghi e raffazzonati, dicevo. Del resto ogni volta che prendiamo un libro per spostarlo da un’altra parte ci rendiamo conto che potremmo collocarlo benissimo anche da un’altra parte ancora. Persino affidarsi al colore della copertina può costituire a volte un buon criterio di collocazione. Così, mentre lentamente ci muoviamo tra le stanze di casa per sistemare il nostro libro nel posto prescelto, ci capita di risfogliarlo, di ripensare alla prima volta che l’abbiamo letto, di rileggere qua e là le glosse a penna con le quali ne abbiamo imbrattato le pagine, comparando magari la fatica e la passione di ieri col trastullio di oggi. In effetti certe operazioni si fanno quasi sempre dopo cena, giusto per non stare semiaddormentati davanti alla televisione come gli altri componenti della famiglia e darsi in questo modo un contegno: una sorta di ritirata in altre stanze, un farsi invisibili, che produce un senso di fondamentale inutilità e una sottile sensazione di piacere.
A dire il vero per anni ho pensato che questo tran-tran con i libri non dovesse finire mai, finché non è arrivato un giorno, non so neanche quando, in cui ho dovuto prendere atto che non era più possibile. Quella sorta di rito lento, celebrato in solitudine, col quale cercavo di mettere un improbabile ordine tra i miei libri è stato come spazzato via dal caos. Troppi libri si erano accumulati ovunque, e nelle librerie sparse per casa non c’era più posto per metterli. A nulla sono serviti i tentativi di stringerli in modo che ogni scaffale potesse accoglierne almeno uno o due in più. Il libro che, agli occhi di Romano Guardini, esprime una delle “grandi forme che hanno permesso all’umanità di dominare il caos” in casa mia era diventato inesorabilmente caos esso stesso. Il guardiniano Elogio del libro (un libretto geniale) lasciava il posto a La leggibilità del mondo di Hans Blumemberg e all’“inimicizia” che questi vede tra i libri e la realtà. Così, quando prendere un libro dagli scaffali era diventata una fatica impossibile visto che la libreria aveva assunto la compattezza del cemento, ho dovuto prendere atto che c’era un solo modo di risolvere il problema: incominciare a disfarmene. Facile a dirsi ma non altrettanto facile a mettersi in pratica.
Si può ordinare una biblioteca domestica con criteri raffazzonati, ma quando si tratta di sfoltirla questo non è possibile. La nostra psiche diventa improvvisamente esigente, pretendendo addirittura l’infallibilità. Se decidi di disfarti di un libro, devi essere assolutamente certo che stai facendo la cosa giusta. D’altra parte, è sempre Guardini a dirlo, i libri non sono oggetti qualsiasi, bensì “oggetti singolarmente viventi”, “oggetti pieni di mondo”, che vanno trattati con rispetto. Soltanto loro sanno rendere il senso più profondo e più vero di quella parola, di quel logos, che già per Aristotele costituiva lo specifico dell’umano, della sua capacità, come si legge nella Politica, di dire “il bene e il male, il giusto e l’ingiusto e gli altri valori”. Non si può dunque condannare un libro all’esilio senza un giusto processo. Solo che non appena incominci a guardare i tuoi libri con l’occhio del giudice che deve emettere la sentenza capisci in quale pasticcio ti sei cacciato. Non saresti mai dovuto arrivare a questo punto. Tanto il rito dello spostamento dei libri ti rilassava e tanto questo dell’eliminazione ti infastidisce. Se il primo lo officiavi con lentezza e compiacimento dopo cena, questo lo sbrighi con ansia e nervosismo quando ti capita. L’irrevocabilità della decisione che ti tocca prendere contrasta con il dispiacere che senti nello stomaco per ogni libro che decidi di mandare via di casa. Tanti minuscoli struggimenti per nulla mitigati dalla consapevolezza che non appena lo avrai riposto nella fatidica cassetta per la biblioteca comunale sarà subito acqua passata e non ti capiterà mai più di sentirne la mancanza.
Scrittori del novecento