Poche scrittrici nel Fondo di Maria Corti, ma sempre superiori ai loro uomini
L'autrice si oppone all’oblio in cui, col passare degli anni, vede sprofondare i materiali degli scrittori e così molti amici (Montale e Manganelli per esempio) le regalano le proprie carte ancora in vita; altri gliele lasciano per testamento
"La vita letteraria di quegli anni era un percorso magari non bene decifrabile, ma di illimitata felicità”. Gli anni cui allude qui Maria Corti, signora della critica, di semiotica, di studi danteschi, di organizzazione culturale, sono quelli del Dopoguerra. Tutto il paese, ma in particolare Roma e Firenze, era pervaso da un senso di rinascita, di liberazione e di libertà. E artisti e scrittori in particolare fervevano di idee, progetti, una nuova fede nell’arte e nella letteratura, forte come una vocazione religiosa. Si incontravano nei caffè e in ristorantini alla buona e discutevano, litigavano, si entusiasmavano l’uno sul lavoro dell’altro e di altri ancora, ignari, totalmente disinteressati a vendite, classifiche, presenzialismi. Tutto il suo libro Ombre dal fondo del lontano 1997 ora riproposto da Einaudi (160 pagine, 18 euro) vive di quel vecchio spirito, di quegli antichi entusiasmi. Il titolo stesso gioca su una lettera minuscola o maiuscola: fondo e Fondo. Sono ombre dal fondo di tempi passati quelle che evoca, dei suoi amici Bilenchi, Montale, Gatto, Manganelli, Carlo Levi, Saba, Calvino… E sono i fantasmi racchiusi in tante carte emerse dai loro cassetti e conservate nel Fondo manoscritti da lei fondato nel 1973.
Fogli sparsi, quadernetti, bloc-notes, epistolari, varianti: è questo il tesoro raccolto da Maria negli anni, nell’Università di Pavia, dove insegnava, contro la burocrazia e l’incomprensione di tanti più potenti di lei, con il coraggio di una guerriera idealista e la forza di un progetto. Il progetto di tenere in vita il ricordo, di fare esistere l’inesistente. Maria si oppone all’oblio in cui, col passare degli anni, vede sprofondare i materiali degli scrittori nel farsi delle loro opere. E va avanti alla garibaldina: molti amici (Montale e Manganelli per esempio) le regalano le proprie carte ancora in vita; altri gliele lasciano per testamento. Ma poi c’è l’avidità degli eredi, o peggio la loro indifferenza. E allora è un correre dietro a finanziamenti, premi, ingegnose trovate per raggranellare denaro, che servirà fra l’altro anche a sovvenzionare i piccoli stipendi di tanti ragazzi impiegati al Fondo. Un racconto epico ed emozionante che è insieme il ritratto di una donna misteriosa, che amava in modo evidente di più la compagnia degli uomini piuttosto che del proprio sesso, e probabilmente i loro scritti.
Ci sono nel Fondo alcune lettere di Ada Negri, Morante, Aleramo, Banti, Merini… “Pochi però i manoscritti con opere creative di scrittrici”, riflette Corti stessa “quanto a romanziere per ora solo Natalia Ginzburg risponde all’appello con la stesura manoscritta di Lessico famigliare”. E il motivo che ipotizza è assai sorprendente: perché le scrittrici in genere sono in coppia con altri scrittori e le loro opere vanno a finire dentro al lascito dei compagni o mariti! Corti sente però subito il bisogno di dire con impeto femminista: “Naturalmente la superiore quotazione di alcune donne, metti Elsa Morante, Gianna Manzini, Paola Masino, rispetto a quella dei loro uomini (Moravia compreso) resta più reale di un bollettino di borsa”.
La stessa Corti, che era stata a lungo la compagna di Cesare Segre (non ufficialmente, ma era noto a tutti) non è ricordata e letta come meriterebbe. Nel 1970 pubblicò per la Eri, con Segre, un testo che fece scuola, I metodi attuali della critica in Italia. E non si possono dimenticare i suoi studi su Fenoglio, su Dante, su Cavalcanti, accanto a una trascuratissima (da pubblico e critica) attività di narratrice. Forse non all’altezza della saggista, anche se almeno il romanzo storico L’ora di tutti (Feltrinelli 1962) andrebbe riproposto.
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