la classifica

Scegliere un libro dalla copertina. Ecco le più belle

Non adeguatevi alla massa: anno nuovo titoli vecchi. Ma solo quelli con le migliori copertine del 2021

Giulia Ciarapica

A parte che sarebbe banale iniziare l’anno nuovo con la lettura di libri nuovi – cioè, siate originali, anno nuovo libri vecchi, non adeguatevi alla massa – ma soprattutto, al netto della quantità di testi pubblicati ogni mese, volete dirmi che avete già scovato e letto tutto quel che faceva al caso vostro? Impossibile.

E allora come possiamo aiutarvi? Ci baseremo su un criterio vecchio almeno quanto il metodo – sempre efficace – del passaparola, ossia la famosa scelta “in base alla copertina”. Sì, è vero, dobbiamo ammettere che per consigliarvi questi vecchi/nuovi libri (tutti editi nel 2021) ci siamo basati anche sulla qualità, pescando da una vasta gamma di temi, atmosfere e generi, ma resta il fatto che la bellezza delle copertine non può essere messa in discussione.

Dopotutto, nell’epoca in cui a farla da padrone sono le foto su Instagram, dobbiamo adeguarci anche noi, e allora ecco una breve carrellata dei libri con le copertine più belle usciti nel corso del 2021.

 

“Grimorio”, a cura di Antonella Castello e Federica Marsili (ABEditore)

Iniziamo con una delle copertine più lussuose e accattivanti del 2021, quella dell’edizione speciale del “Grimorio” pubblicato da ABEditore – a cura di Antonella Castello e Federica Marsili –, da sempre conosciuto come uno degli editori più attenti alla grafica dei testi.

Come tutti saprete, il Grimorio è un libro di magia utilizzato da streghe e stregoni che, nell’epoca in cui nasce (tra la fine del Medioevo e l’inizio del XVIII secolo), conteneva soprattutto corrispondenze astrologiche, liste di angeli e demoni, istruzioni pratiche per creare incantesimi, per evocare entità soprannaturali e per preparare pozioni e medicine. In questo caso, traendo proprio ispirazione da questo documento, ABEditore ha deciso di pubblicare una raccolta di racconti che affronta il tema della stregoneria guardando al ruolo della donna.

Streghe, o meglio, individui di sesso femminile etichettate come tali, sono al centro di questi testi che provano a narrare l’orrore subito dalle donne ai tempi dell’Inquisizione, ma si fanno anche portavoce del potere della superstizione, del lato oscuro della paura, e del desiderio di cercare un capro espiatorio che si sacrifichi a nome di tutti salvando gli uomini dai mali del mondo. Da “Una storia di satanismo” di Fraser passando per “La notte della congrega” di Ainsworth, fino ad arrivare a “Testadipiuma” di Hawthorne, “Grimorio” contiene tredici racconti, oltre a diversi estratti da “Demonologia e stregoneria” di Sir Walter Scott, e in appendice un estratto dal “Macbeth” di Shakespeare.

Un libro prezioso non solo dal punto di vista letterario, ma anche più strettamente antropologico e sociologico: chi è stata la donna, ieri? E chi è la donna, oggi? Quanto resta della strega di allora, e come si è evoluta la strega di oggi? Ma soprattutto: perché abbiamo paura delle donne? Istruzioni per l’uso su nuove consapevolezze e vecchie identità.

 

“Profili di donne” di Luigi Capuana (Polidoro Editore)

Restiamo più o meno sul medesimo campo d’indagine del Grimorio, ossia: continuiamo a parlare di donne ma questa volta in chiave più “realistica”, o meglio, provando a cercare risposte con metodi sicuramente più “giustificabili” di quelli medievali, meno rozzi e meno pericolosi.

Luigi Capuana lo conosciamo come uno dei padri del Verismo, ma bisogna specificare che il noto scrittore siciliano fu anche tante altre cose, fra cui critico letterario, giornalista, indagatore raffinato della natura e dei “fatti dell’uomo”, ed è anche altrettanto vero che si dedicò con entusiasmo allo studio dell’occultismo, dello spiritismo e del magnetismo, universi ben lontani da quello più squisitamente razionale, pure frequentato con ardore. Con “Profili di donne” (suo esordio narrativo, ossia una raccolta di sei novelle scritte tra il 1872 e il 1876, con una prima pubblicazione bel 1877), Capuana mette insieme le due dimensioni, per così dire, quella razionale e quella più occulta, quasi mistica, tentando di analizzare e interpretare la psicologia femminile.

Le sei donne di cui Capuana ci descrive tratti fisici e caratteriali sono sei modelli, sei esempi di personalità diverse tra loro ma in qualche modo simili, poiché uno dei fili conduttori è senza dubbio l’alterazione dello stato emotivo in situazioni particolari: la psicologia della donna diventa un territorio misterioso, ove i deliri, i cambiamenti repentini d’umore e i pianti esausti si alternano ad una calma solo apparente, un’inquietudine di fondo che serpeggia silenziosa fino all’esplosione finale.

Sebbene permeati da una certa ingenuità d’analisi – non per niente si parla di opera prima, ricordando oltretutto che ci troviamo negli ultimi decenni dell’Ottocento – i racconti di Luigi Capuana restano testi dal grande valore artistico, il cui audace intento narrativo risponde ad un’esigenza puramente umana di capire di più, di sondare il campo oscuro e tormentato della psiche.

 

“Biglietto blu” di Sophie Mackintosh (Einaudi Editore)

Copertina avvolgente e al contempo asettica per uno dei romanzi distopici più interessanti della seconda parte del 2021. Restiamo ancora sul terreno del femminile, anche se questa volta i livelli d’indagine sono ben due: quello più legato all’universo del corpo e della maternità, e quello invece inerente al tema della scelta, focus del romanzo di Mackintosh.

In una realtà aumentata e alterata come quella descritta in “Biglietto blu”, la protagonista, Calla, si trova a diventare suo malgrado una biglietto blu, cioè una donna a cui non è permesso di diventare madre. A stabilirlo è una lotteria: quando arriva il ciclo mestruale, le ragazze devono pescare un biglietto che determinerà la loro sorte: bianco, donna con famiglia e figli, blu, tutto il resto. Ma Calla, una biglietto blu, sente fin da subito che quella non è la sua strada. Lei vuole un figlio, e lo otterrà – di fatto, “utilizzando” un uomo qualunque, di cui non è neanche innamorata –, per diventare poi una sovversiva, e dunque una fuggiasca.

Accompagnando Calla nel suo rocambolesco viaggio lontano dal paese e dal sistema che l’hanno condannata a un destino predefinito, il lettore si troverà a riflettere non tanto e non solo su cosa significhi essere madri, ma soprattutto su cosa voglia dire non essere in grado di scegliere per sé: Calla vuole davvero essere una madre? O il suo desiderio più grande è sperimentare ciò che le viene proibito? Più di tutti, quanto è grande il desiderio di scoprire cosa potrebbe diventare se solo fosse messa nella condizione di scegliere? Scegliere vuol dire “essere”, definirsi, determinarsi. Scelta è identità.

 

“Questo giorno che incombe” di Antonella Lattanzi (HarperCollins)

Il fil rouge di queste letture ispirate dalle copertine ci porta dall’universo distopico di Mackintosh a quello molto più realistico di Antonella Lattanzi che in “Questo giorno che incombe” costruisce una storia di fine psicologia nera, tanto efficace da lasciare il lettore letteralmente col fiato sospeso fino all’ultima pagina.

Non solo di donne si parla in questo romanzo, che al centro di tutto ha la famiglia, o meglio, il nucleo famigliare, perché ciò che importa è individuare il cuore pulsante, il grumo di carne, ossa, umori, risate e dolore entro cui tutto avviene. Un padre, Massimo, una madre, Francesca, e due figlie piccole che da Milano si trasferiscono a Roma: lo scenario è quello un po’ rivoluzionario della famiglia che deve fare i conti con una realtà nuova ma anche eccitante, con una promozione sul lavoro di lui, con la rinuncia di lei a quella carriera tanto amata, ma anche con la presa di coscienza che in quel condominio pieno di gente ci sarà una vita entusiasmante e nuova di zecca ad attenderli. Potrebbe esserci, anzi, se non fosse che Francesca, mentre spende tutto il giorno con le figlie, a poco a poco inizia a sentirsi sempre più sola, sempre più angosciata, preda di qualche allucinazione e col sentore che non tutti gli inquilini del suo condominio l’abbiano accolta con benevolenza.

Tutte supposizioni, certo, fin quando a sparire è una bambina di quello stesso palazzo, e che, magari, potrebbe essere proprio sua figlia.

Lattanzi architetta un thriller perfetto, senza sbavature e con un ritmo sostenuto ma al contempo impassibile, che s’insinua nella testa del lettore con lentezza e in modo inesorabile, tanto da sembrare un veleno a lento rilascio.

 

“A casa prima di sera” di Riley Sager (Time Crime Fanucci Editore)

Se volete viaggiare sulla stessa onda thriller di Lattanzi ma siete dei piccoli nostalgici a cui le atmosfere gotiche di una volta piacciono parecchio, non potete farvi sfuggire “A casa prima di sera” di Riley Sager.

Come tutti i gotici che si rispettino, l’azione – passata e presente, visto che ci muoviamo su due piani temporali diversi – si svolge quasi interamente nella cosiddetta “casa degli orrori”, ovvero la residenza di Baneberry Hall, dove i coniugi Ewan e Jess si trasferirono quando la loro figlia Maggie Holt era ancora piccola, cinque anni appena. Sono bastati venti giorni dal loro arrivo per mettere in fuga tutta la famiglia, in una notte di metà luglio di venticinque anni prima che Maggie tornasse in quella casa. Perché ora che suo padre è morto – è lui l’autore del celebre romanzo “La casa degli orrori”, in cui ha raccontato la disavventura della loro famiglia a Baneberry Hall, tra incontri spettrali e spiriti maligni, divenendo così ricco, famoso e odiato da tutta la cittadina in cui sorge la tenuta vittoriana – Maggie eredita la vecchia casa, intenzionata a venderla, e così si reca sul posto per capire in che condizioni versa. Si ritroverà a percorrere un lungo e intenso viaggio a ritroso nel proprio passato, per scoprire innanzitutto da che parte stia la verità: cos’è accaduto quella notte? E perché lei non ricorda quasi nulla? Suo padre si è inventato tutto o c’è qualcosa di vero rispetto alle presenze demoniache che infestano Baneberry Hall?

Un romanzo dall’organizzazione impeccabile e che, fin dalla copertina, ricorda le atmosfere inquietanti di “Psycho” e de “L’incubo di Hill House”, dove i luoghi malati della mente si fondono con quelli fisici e terreni: case, appartamenti e tenute che trattengono gli orrori e i fantasmi del tempo, intrappolati per sempre nei mobili di legno che le abitano.

 

“Loro” di Roberto Cotroneo (Neri Pozza)

Certo che parlare di romanzi gotici senza aver menzionato uno dei gotici contemporanei più inquietanti del 2021 è davvero assurdo. Lo capite fin dalla copertina (un geniale ritaglio dell’opera “Birdcage” di Gemmy Woud-Binnendijk) che “Loro” di Roberto Cotroneo non è solo un omaggio strabiliante a “Giro di vite” di Henry James, ma contiene anche una serie di riferimenti letterari che spaziano dal mondo classico di Omero e delle divinità – come Ecate, dea degli incroci e della magia, potente signora dell’Oscurità –, fino ad arrivare a Stevenson e Melville.

Cotroneo è attento al minimo dettaglio, non gli sfugge nulla. Tutta la vicenda si svolge nella stupefacente villa degli Ordelaffi, progettata da un celebre architetto alle porte di Roma: è la casa di vetro, “lunga, bassa, a un piano, che in realtà erano due, perché il soppalco di fatto era un piano superiore, di finestre e oblò che permettevano di inquadrare punti precisi della campagna”; insomma una dimora in cui “la luce entrava e non usciva, i vetri erano quasi specchi”.

Basterebbe già questo elemento a provocare un senso di vertigine, di allarmante meraviglia. Oltretutto, in questa tenuta abitano, assieme ai coniugi Ordelaffi, le loro gemelle, Lucrezia e Lavinia, identiche, bellissime e talentuose: l’una amante dell’equitazione, l’altra del pianoforte.

A raccontarci i fatti macabri accaduti nella famiglia è Margherita B., assunta all’epoca come istitutrice (ma non ci troviamo nell’Ottocento, si tratta solo di una famiglia aristocratica degli anni Duemila), la quale, a pochi giorni dal suo arrivo, inizia a notare presenze terrificanti, ombre oscure e un atteggiamento piuttosto strano da parte delle bambine, che riconoscono i fantasmi, li guardano in faccia e li salutano da lontano: sono “loro” – così vengono chiamati da Lavinia e Lucrezia –, gli antichi ospiti della dimora tornati ora per riportare in luce l’orrore.

Il romanzo di Cotroneo contiene tutto ciò cui un gotico impeccabile può aspirare: linearità dello stile, calma piatta e solo apparente, asciuttezza della narrazione, misticismo, realismo, follia. Questo non è solo un racconto buio, ma è soprattutto un viaggio indimenticabile nel pozzo della psiche, là dove accade l’impensabile e dove solo il simile può riconoscere il simile.

 

“L’alta fantasia” di Pupi Avati (Solferino Editore)

“Il suo genio poetico gli ha permesso di raccontare quello che avrebbe desiderato vivere. Se la crudezza della sua vicenda umana non glielo ha riservato, l’ha saputo immaginare e descrivere, in modo tale da far sì che la sua emozione divenisse l’emozione del mondo”. Con queste parole Boccaccio descrive e racconta il genio di Dante Alighieri, e proprio mentre si trova di fronte alla figlia, suor Beatrice monacata in Ravenna, a cui ha portato in dono dieci fiorini d’oro come risarcimento per le pene inflitte ingiustamente dalla città di Firenze a suo padre e alla famiglia tutta, ecco che vien fuori l’unica definizione possibile per il Sommo, la sola espressione che possa tentar di spiegare l’opera immensa che l’ha consacrato alla Storia della Letteratura: “e malgrado la sua misteriosa grandezza, quando lo penso, lo so immaginare solo ragazzo”.

Pupi Avati ha compiuto un gesto di grande stile e di grande generosità nell’omaggiare Dante Alighieri con il nuovo romanzo, “L’alta fantasia”, poiché ha restituito ciò che più di ogni altra cosa all’Alighieri mancava: l’essere Dante, uomo fallibile e fallace, sofferente e gioioso, arrabbiato con la vita e alla vita egualmente grato. La dimensione umana che preme all’interno di queste pagine, e che non solo accompagna ma che è propriamente il fine ultimo dello scritto, è quanto di più caro conserviamo oggi rispetto all’autore della Divina Commedia, che dal primo sguardo scambiato con la sempre amata Beatrice attese ben nove anni prima che lei gli rivolgesse un saluto.

Pupi Avati ha colto la magia di quell’attimo, il tempo infinito che si nasconde dietro quel gesto, l’inquietudine del vivere in esilio, nell’ombra, il dolore di essere accusato financo di sodomia. Con una copertina luminosa e ombrosa allo stesso tempo, “L’alta fantasia” restituisce un pezzo di storia privata all’uomo Alighieri, e dona nuova luce – emotiva, mistica, spirituale – al Dante poeta.

 

“Spatriati” di Mario Desiati (Einaudi Editore)

Copertina piuttosto minimalista ma assolutamente d’effetto per “Spatriati” di Mario Desiati: c’è il mare che si confonde col cielo, una figura in primo piano che sta per andarsene (o è appena arrivata?), l’orizzonte che prelude alla vita non ancora vissuta sebbene quella linea netta, che delimita senza circoscrivere, imponga un confine, una soglia, un termine.

Definito romanzo generazionale, quello di Desiati è senza dubbio un testo che racconta la generazione degli ormai ex ragazzi degli anni Ottanta, i non più giovani che non sono ancora adulti e che di sicuro sono inquieti, male identificati, irrisolti in larga parte. Non inquadrati, insomma. Spatriato è lo straniero in terra natia, il difforme alla disperata ricerca di un sé differente da quello che ci hanno insegnato decenni di patriarcato; Spatriato è chi è stabile solo nella sua instabilità, nel suo essere precario a vita.

Ma nella storia, in questa storia che è di Francesco e Claudia, e soprattutto nella storia delle loro famiglie, di Martina Franca e di Berlino, delle scelte sbagliate e di quelle giuste, delle non scelte, ecco, in questa storia qui c’è un elemento che guida tutto il percorso e di cui si è parlato forse troppo poco – mentre Desiati lo svela già alle prime pagine: il non-detto.

I non detti sono le fondamenta su cui si costruiscono le relazioni, e gravano sulle famiglie di Claudia e Francesco, mentre loro – Spatriati ognuno a modo proprio, con tempi ed esigenze diverse – sono il frutto di quei “patti dolorosi” che hanno insegnato ai loro genitori a vivere. Stranieri in terra natale, dunque, come dicevamo, una terra che è fatta anche di parole mai pronunciate e che preludono a fatti reali, tangibili, pesanti come macigni eppure impossibili da raccontare. E se Francesco è apparentemente meno spatriato di Claudia – la raminga, la girovaga, solitaria, estrema e rivoluzionaria – nella sua pacata concretezza è lui il più audace, il più “compatto”, per quanto possibile, nella sua frammentarietà sessuale e umana.

Gli Spatriati di questo romanzo sono i luoghi che entrambi hanno lasciato, le vite mancate di cui vanno alla disperata ricerca, e sono soprattutto le città in cui troveranno rifugio, fin quando non si accorgeranno che niente li difenderà dallo loro origini e da sé stessi, qualunque cosa significhi.

 

“Tutto il cielo che serve” di Franco Faggiani (Fazi Editore)

Concludiamo la nostra carrellata con una copertina che richiama alla perfezione non solo il contenuto del libro ma anche la rappresentazione grafica di un luogo, anzi di più luoghi, quelli del centro Italia: stiamo parlando dell’ultimo romanzo di Franco Faggiani, “Tutto il cielo che serve”, accompagnato da una copertina che è un piccolo capolavoro di riproduzione paesaggistica.

Faggiani è tornato in libreria con un romanzo che ripercorre la tragedia del terremoto di Amatrice, riportandoci indietro ormai a cinque anni fa, quando nell’arco di pochissimi attimi, durante la notte del 24 agosto, un’intera città sparì sotto le macerie. Ma va detto che il romanzo non è solo questo, è soprattutto, come capita spesso con i libri di Faggiani, una storia di speranza e di rinascita, il cui filo conduttore è proprio la volontà di ricominciare da sé stessi per sé stessi, e anche per gli altri.

Questo è ciò che fa la protagonista, Francesca Capodiferro, giovane geologa e caposquadra dei vigili del fuoco di Roma quando si trova in missione sui monti della Laga, al confine tra Marche, Lazio e Abruzzo. Con i suoi cani da ricerca, quella notte del 24 agosto decide di accamparsi sulla montagna sopra Amatrice ed è da lì che avvertirà le scosse di terremoto. Inizia così il viaggio suo e dei suoi uomini, vigili del fuoco che la aiuteranno nella disperata impresa di portare in salvo quante più persone possibili; ma sarà anche un viaggio intimo, personale, costellato di incidenti e visite inattese, una specie di resa dei conti che la obbligherà a guardare non troppo indietro, nel suo passato recente, e a sbirciare tra i ricordi di una vita, quelli di famiglia, per poi osservare il futuro con una gioia non preventivata.

Un romanzo che lascia parlare i sentimenti e li mette in connessione con la natura e il resto del mondo: nei suoi romanzi, Faggiani nasconde sempre la volontà di riassestare i destini e le vite dei personaggi, come un orologiaio farebbe con i minuti di un tempo indefinito. Ci riesce ogni volta.