Foto di Sergio Siano (per gentile concessione dell'autore)

facce dispari

Napoli messa a fuoco fra orrori e tesori. Intervista al fotografo Sergio Siano

Francesco Palmieri

La prima foto per il Giornale di Napoli nel marzo del 1985, il fotogiornalismo e una città, la sua, vista "con gli occhi di Caravaggio"

Caravaggio, se avesse visto in faccia Sergio Siano, lo avrebbe dipinto. E Siano, guardando Caravaggio, qualcosa della vista gli ha rubato e l’ha calato nell’obiettivo della Nikon, per ridestare in volti e luoghi lo spirito di Napoli con l’appassionata ostinazione del cacciatore. Chissà da quale anfratto di tempo barocco arrivò questo futuro fotoreporter il venerdì santo del ’69, 4 aprile, in vico Canale a Taverna Penta ai Quartieri Spagnoli. Già dotato di un paio di fortune: la prima, nonno e padre maestri del mestiere; l’altra, la nascita con la “camicia” sicché il cordone ombelicale troppo stretto non lo soffocò. E se una terza fortuna, ormai rara, si può attribuirgli, è che Sergio non nacque in una linda clinica ma a casa, civico 19 del vicolo, pronto per affacciarsi sui Quartieri.

 

Dal balcone cosa vedeva?

Lo scoprii con difficoltà perché mamma, cresciuta tra il Vomero e il Petraio, non voleva che mi affacciassi né che scendessi a giocare con gli scugnizzi. Scoprii che sotto, in vicoletto della Tofa, c’era una maîtresse che alla luce del sole smistava fra le prostitute dei ‘bassi’ i marinai americani che attendevano ai tavolini. I ragazzini che li prelevavano al Porto o a Toledo ricevevano un dollaro dall’americano e mille lire dalla maîtresse. Cominciai a osservare il mondo e a cercare di capirlo con massima innocenza.

 

Quando pensò che avrebbe capito fotografando?

Mio fratello Riccardo, con cui dividevo la camera, aveva tappezzato una parete coi suoi scatti di cronaca: decine di omicidi di camorra. Fu naturale che a sedici anni chiedessi una macchina fotografica. Nel marzo ’85 feci la prima foto per il Giornale di Napoli. Mio padre mi regalò una Nikon Fm totalmente meccanica e disse: farai molti errori ma imparerai presto.

 

L’esperienza successiva?

Nell’estate ’85 Riccardo prese una settimana di vacanza e lo sostituii al giornale. Successe di tutto: ho il ricordo indelebile di un incidente, sette turisti schiacciati da un tir. L’orrore, soprattutto l’odore. Non mangiai per tre giorni e mi si otturarono le orecchie per lo shock.

 

L’ingresso al fotogiornalismo. Se ne pentì?

Mai. D’altronde, fotoreporter e cronisti fino a pochi anni fa facevano un lavoro più simile a quello dell’Ottocento che a oggi. Si andava sui posti. Non esisteva il digitale, pellicola e carta non si sprecavano, stavi attento a scattare. E lo sviluppo nella camera oscura era un’operazione delicata.

Foto di Sergio Siano (per gentile concessione dell'autore)  

 

Col tempo ha raccontato, in tante pubblicazioni fotografiche, luoghi antichi e moderni. La città oltre la cronaca.

All’inizio studiavo i libri di storia, i romanzi della Serao, poi andavo su quei posti e trovavo finestre murate, monumenti anneriti e assediati dalle auto. Una tristezza. Negli anni ’90 qualcosa cambiò, fu il momento magico della città, si ripulivano le sue bellezze, c’era partecipazione. Sarebbe questa tuttora la chiave: anche le vecchiette che mettevano i fiori alla finestra contribuivano. Un coinvolgimento che andrebbe recuperato.

 

Qualche anno fa pubblicò ‘Con gli occhi di Caravaggio’. Facce dispari, antiche. Come i pastori del presepio.

Greci, normanni, arabi, spagnoli… qui ci sono tutti. Sarò folle ma quando vado al Pallonetto di Santa Lucia vedo i normanni, almeno nell’atteggiamento. O certi napoletanissimi che sembrano arabi. È un karma aperto anche nei luoghi: alla Pietrasanta si giocava a palla nel Seicento e fino a poco tempo fa. O Vico Lungo Gelso, per secoli un luogo di prostituzione e lo rimase fino agli anni Ottanta. Ma quanta umanità: ho visto prostitute e femmenielli fare la spesa per le famiglie povere, pagare la Prima Comunione a chi non poteva permetterselo per la figlia. Finché ci furono le portaerei americane, i Quartieri fiorirono grazie all’economia sommersa: alimentava poveri, salumerie, bar, parrucchieri. L’altro pilastro era il contrabbando: ricordo studenti fuori sede che si mantenevano consegnando stecche di sigarette. Ha presente la trattoria Nennella? In quell’edificio c’era un bordello. E a vico Berio, dove un tempo c’erano le case chiuse, non chiusero fino a poco fa. Quando quest’economia finì, fu sostituita dallo spaccio di droga.

 

Un’umanità cui intitolò il libro ‘Vicoli’.

Ci misi anche personaggi del passato, anche i morti. Ricordo una nana che vendeva sigarette e restò incinta. Il figlio è cresciuto: un ragazzo di colore alto due metri. Il marinaio americano quel giorno doveva essere molto ubriaco.

 

A chi s’ispira?

I maestri me li sono scelti. Da mio padre a Maradona: andavo a fotografare i suoi allenamenti al Centro Paradiso ed era un rifugio dagli orrori. Non mi mandò mai via perché percepiva il rispetto. Ero l’ultimo ad andarmene con lui dal campo. Fu un insegnante di umanità che mi regalò i momenti di cui avevo bisogno. E non gli chiesi mai una foto insieme.

 

Se n’è andato anche il fratello Hugo…

Uomo taciturno, lo conobbi quando il Napoli lo diede all’Ascoli. Viveva a Miliscola in condizioni molto modeste. Era triste.

 

Qual è la sua ambizione?

Condividere bellezza con chi non s’accorge di viverci dentro. Un giorno ho visto un mio libro in un ‘basso’. È stato come vincere l’Oscar.

Di più su questi argomenti: