facce dispari

M'Barka Ben Taleb, il Mediterraneo in tre lingue

Francesco Palmieri

Arabo, italiano e francese, erano gli idiomi del Mare nostrum secondo il brano-manifesto di Eugenio Bennato. E la cantante tunisina, napoletana d'adozione, li usa tutti. L'intervista

Si parlano tra loro le musiche e le lingue del Mediterraneo. S’incontrano, si scontrano e “tra la storia e la leggenda” si scambiano armonie, vocaboli, emozioni “su quell’onda dove si vola”: “De Naples, qui invente sa mélodie/aux tambours de l’Algérie”. ‘Che il Mediterraneo sia’, auspicava il brano-manifesto di Eugenio Bennato in italiano, arabo e francese. Sono le lingue in cui s’esprime la voce di M’Barka Ben Taleb, tunisina di 55 anni di cui la maggior parte trascorsi a Napoli dove arrivò, seguendo la famiglia, nel 1986.

Chi è passato una volta per l’avamporto di La Goulette e ha respirato aria di casa, può capire perché all’inverso M’Barka, nel dominio di Partenope, presto si sia sentita tanto napoletana quanto tunisina. È del 2005 il suo primo album cui altri quattro sono seguiti, e del 2010 la partecipazione al film ‘Passione’ di John Turturro, regista per il quale ricanterà tre anni dopo in ‘Gigolò per caso’ con Woody Allen e Sharon Stone, interpretando il classico ‘Luna rossa’. Esordì da ragazza in un coro scolastico a Tunisi, poi approdata in Italia fra tanti lavoretti si esibì nei locali dove una sera la scoprirono, come suol dirsi “per caso”, Eugenio Bennato e Tony Esposito. M’Barka ricanta in arabo i brani della tradizione e nessun riarrangiamento pare una forzatura, perché se non è già stato detto bisognerà dirlo che l’accordo di sesta napoletana è un esperanto palese e nascosto del pentagramma mediterraneo. Tutto ritorna e parte da quella magica scala musicale che il Settecento raffinò.

Da dove comincia per riproporre in arabo, ad esempio, un brano come ‘Guaglione’, il successo che lanciò Aurelio Fierro?

Prima vado alla ricerca di tutte le versioni in cui una canzone è stata interpretata, perché non voglio che si dica: ‘M’Barka ha copiato questo o quello’. A volte può succedere che una sensibilità molto affine alla nostra si sia già espressa come faremmo noi. Poi mi dedico alla traduzione del testo, che non è solo letterale: nel trasferimento a un’altra lingua è necessario trovare la parola giusta sia per la metrica sia per il ritmo del riarrangiamento. In certi casi, però, come ‘’O sole mio’, ho riscritto quasi tutte le parole ex novo cercando di riprodurre la stessa sensazione di “apertura del cuore” che promana dall’originale.

 

Qual è lo ‘spirito’ delle lingue napoletana, araba e francese?

Il napoletano ha una sua insita solarità, le parole sembrano partire dall’anima senza troppe mediazioni. L’arabo è passionale. Il francese è romantico qualunque sia la canzone, da ‘La vie en rose’ a un brano di Charles Aznavour.

 

Quando ha incontrato la musica?

Cantavo nel coro scolastico, poi ai matrimoni, che nel mio Paese si festeggiano anche per un’intera settimana con la musica suonata fino all’alba. Non ho mai studiato la teoria, tuttora vado a orecchio e mi accompagna sempre la darbuka, lo strumento a percussione tipico del mondo arabo che si ricavava dalla pelle di pecora ed è stato utilizzato anche nella musica classica tunisina.

 

Dovesse definire la darbuka in un sostantivo?

Ogni strumento esprime uno stato d’animo, una disposizione peculiare. La darbuka è la gioia così come la chitarra è passione, il mandolino è una serenata, il violino e il violoncello sono il viaggio, il flauto è tristezza o nostalgia: non a caso lo suonavano i pastori, seduti all’ombra di un albero mentre il gregge pascolava.

   

Com’era l’Italia vista da Tunisi?

Chi è della mia generazione la conobbe prestissimo attraverso la televisione e ne subiva il fascino. All’epoca avevamo a disposizione due soli canali, quello nazionale tunisino e RaiUno. Siamo cresciuti con Raffaella Carrà e Pippo Baudo, con la Parisi e la Cuccarini.

 

Com’è Tunisi vista dall’Italia?

Qui nei discorsi correnti se ne parla come di un posto lontano, ma da Napoli sono 50 minuti di volo. La Tunisia è un piccolo Paese dove però c’è tutto: mare, montagne, neve, lago salato e il deserto di Tozeur, il più bello del Nord Africa.

 

Il 16 dicembre san Gennaro ha rinnovato il prodigio della liquefazione, il cosiddetto miracolo invernale. Cosa ne dice una musulmana a Napoli?

San Gennaro è il patrono e protettore di tutti. Non sono praticante ma credente sì, molto. I miei nipoti si chiamano Yusuf e Maryam, Giuseppe e Maria. Chi ha letto il Corano non se ne sorprenderà.

 

Oltre alla musica, subisce il fascino delle vecchie tradizioni napoletane?

Per una figlia del Mediterraneo, credere al monaciello e alla bella ’mbriana, la fata domestica, è cosa naturale. In Tunisia li chiamiamo Malindar e sono loro i veri padroni della casa. Mi accadde quando presi in affitto l’appartamento in questo vecchio palazzo al Rettifilo. Nessuno lo voleva perché andava rimesso tutto a posto ed era disabitato da cinque anni. Tanto insistetti che finalmente me lo fecero visitare sicuri che non l’avrei preso. Ma appena entrata mi sentii abbracciare. Subito dissi: “Questa è casa mia”.

 

Qual è la prossima cosa che farà?

Mi preparo all’uscita del mio libro autobiografico nel 2022. Già il titolo spiega me stessa: ‘Padrona di niente, schiava di nessuno’.

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