Cinghiali a Roma (Ansa)

Uomini o topi

La rivolta degli animali, per niente pacifica, è il nostro terrore letterario

Maurizio Stefanini

Gli squali nel Tamigi, i cinghiali a Roma, i capibara a Buenos Aires: il ritorno della natura. Dalla cronaca alla letteratura, fino al cinema
 

Cinghiali che entrano in Tribunale e una Borsa Valori piena di scimmie che nel recinto delle grida saltano sui trapezi, scale e corde. Coccodrilli a passeggio per la capitale giamaicana Kingston e maiali che si impadroniscono in una fattoria. Topi che fanno saltare internet, e altri topi che attaccano una fabbrica. Un asino che scappa da un ristorante cinese dove volevano cucinarlo, e un cavallo che va in giro per le fattorie del Vermont a istigare gli animali a ribellarsi all’“oppressore”. I capibara giganti che invadono Buenos Aires e gli orsi che invadono la Sicilia. Gli scorpioni che invadono Assuan e pungono cinquecento persone, e gli uccelli che iniziano a attaccare l’uomo. Gli squali che nuotano nel Tamigi, e un altro squalo che si è messo a attaccare i bagnanti vicino a una spiaggia della Nuova Inghilterra.

 

Realtà o fantasia? Sia l’una, sia l’altra. La prima di ogni coppia di notizie proposte, in effetti, è presa dalla cronaca. Davvero una famiglia di cinque ungulati a fine ottobre è stata fotografata all’alba davanti a uno degli ingressi del Tribunale di Roma, facendo titolare: “Cinghiali in cerca di giustizia”. Un presenzialismo a 360 gradi quello dei cinghiali capitolini, che hanno passeggiato anche davanti al ministero degli Esteri e alla sede della Rai, hanno scippato borse della spesa in supermercati, sono entrati in una scuola, si sono affacciati in  un bar, hanno scorrazzato su piste ciclabili e vie di grande traffico, hanno assalito vip come Massimo Lopez e Claudia Gerini. 

 

Non solo cinghiali. A passeggiare per le vie della capitale e a pasteggiare con i rifiuti non raccolti dall’Ama sono stati visti un istrice, un toro, alcuni cavalli, mentre a Trastevere sono stati i topi a rosicchiare la fibra ottica, e nei pressi della Fontana di Trevi un gabbiano si è fatto immortalare mentre pasteggiava con una cornacchia proprio prima che arrivassero i leader del G20. Non solo a Roma: i cinghiali sono stati ripresi a nuotare in mezzo ai bagnanti in Liguria, dopo hanno depredato il raccolto di castagne. Ci sono quelli che si sono messi a sguazzare nel Naviglio di Milano, a passeggiare nel centro di Torino, a imperversare a Trieste. In quarant’anni i cinghiali selvatici in Italia sarebbero passati da 50.000 a 2 milioni, è una stima. 

 

E non solo in Italia. Anche Shakira è una vip che stata attaccata da cinghiali a Barcellona, ma le notizie delle ultime settimane sono quelle che riguardano i coccodrilli: sempre più presenti in aree urbane non solo in Giamaica, ma anche negli Stati Uniti o in Colombia. Il New York Times ha celebrato la crescente biodiversità nei parchi della Grande Mela: aquile, falchi pellegrini, castori, tartarughe, un coyote al Central Park, salamandre a Staten Island, anguille nell’Hudson, ostriche e cavallucci marini vicino ai moli. “Siamo la città più verde della terra”, dicono. Però crescono anche topi e ratti, al punto che a settembre, tra i cittadini, ci sono stati quattordici casi di leptospirosi, contro i 57 di tutti i 15 anni precedenti. 

 

A sua volta, la Zoological Society of London celebra la crescente presenza di squali nel Tamigi, che nel 1957 era considerato ormai in fiume morto. Assieme al disinquinamento, però, alla ripresa contribuisce anche il riscaldamento globale, per cui non è del tutto sicuro che sia una notizia positiva. Sono state pure piogge torrenziali, in passato inusuali in Egitto, a cacciare dalle loro tane gli scorpioni che hanno preso d’assalto Assuan. Non c’entra invece la CO2 con l’asino scappato da un ristorante di Pechino: una storia da Esopo o Fedro o La Fontaine, ma che alla moda dei tempi di oggi invece che in una favola è finita su un video virale. C’è dietro una metafora politica?  Forse sì, e ancora di più per i capibara. I roditori giganti, fino a ottanta chili, che hanno invaso la capitale argentina, e in particolare il quartiere elegante di Nordelta. A quanto spiegano gli zoologi, in realtà erano sempre stati in zona, ma attenti ai fatti loro. Solo che tra maggio e giugno scorsi alcuni costruttori hanno avuto l’idea di andare a edificare nelle ultime aree paludose che erano rimaste, per erigere una clinica. I bestioni sloggiati sono stati allora costretti a migrare per le strade, hanno scoperto che nei cassonetti si trovava ogni ben di Dio, e anche loro hanno iniziato a regolarsi come i cinghiali di Roma. Non è mancato qualche ambientalista che si è messo a esaltare la loro “resistenza” e “lotta di specie”:  li hanno ribattezzati “i capibara peronisti”.  

 

Ma qua, appunto, siamo già scivolati verso la seconda serie di notizie proposte. Dunque, usciamo dalla cronaca per entrare nella storia della letteratura e del cinema. È quel filone della “rivolta degli animali” cui pure avevano alluso tanti meme e video che erano circolati nei primi tempi del lockdown più rigido, nel mostrare animali che in tutto il pianeta sembravano riprendere il controllo degli spazi urbanizzati approfittando della pausa cui era stato costretto l’uomo dal Covid. Un lupo avvistato in pieno giorno sulle piste da sci deserte della Savoia, cervi per la città giapponese di Nara, seimila macachi sulle strade della tailandese Lopburi, lepri nei parchi milanesi, delfini a nuotare nelle acque del porto di Cagliari, gabbiani a attaccare i rari passanti in Spagna, un maikong (canide selvatico) in un quartiere residenziale di Bogotá, pure in Colombia a Neiva un opossum con i piccoli sulla schiena… 

 

La scena in Borsa, per esempio, è presa dal “Pianeta delle scimmie”: non uno dei nove film girati tra 1968 e 2017, ma il romanzo originale scritto nel 1963 dal francese Pierre Boulle, autore anche dell’altro bestseller “Il ponte sul fiume Kwai”. I maiali che guidano una rivolta contro il signor Jones per poi imporre sugli altri animali una spietata dittatura sostenuta da una feroce polizia di cani sono i protagonisti della “Fattoria degli animali”, romanzo di George Orwell uscito nel 1945. 

 

Gli operai di una fabbrica di munizione divorati dai topi li troviamo invece nel romanzo di Arthur Machen del 1917: “Il terrore”. Assieme ad altra gente soffocata da sciami di falene che gli si sono infilate in gola; spinta giù per dirupi da greggi di pecore; calpestata o incornata da mandrie di bovini; con la testa sfondata da zoccoli ferrati di cavalli; annegati in barche capovolte da marsuini; attaccati da api e cani; caduta su aerei abbattuti dall’attacco di stormi; morta di sete in case assediate dal bestiame: è piuttosto nutrito il Grand Guignol escogitato dallo scrittore gallese, famoso pure per un racconto sui fantasmi di arcieri inglesi morti durante la Guerra dei Cent’Anni che nel 1914 sarebbero intervenuti a salvare quattromila soldati britannici soverchiati da 21.000 tedeschi in Belgio. Fu preso sul serio, dando inizio a una leggenda quasi più tenace di quelle che raccontano i No vax. 

 

Macabra la vicenda raccontata da Machen, amara quella di Orwell, allucinante quella di Boulle: rappresentano forse le tre più famose rappresentazioni del mito, per messaggi ma in realtà diversi. Il pianeta delle scimmie, infatti, mette in scena un drammatico capovolgimento del nostro primato nell’universo, mostrando un mondo dove invece l’uomo è messo in gabbia e cacciato, e le sue spoglie esposte come trofei. Forse l’idea viene dalla IV parte dei “Viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, dove la feroce satira verso l’umanità dell’epoca dopo i nani di Luilliput, i giganti di Brobdingnag, gli scienziati pazzi di Laputa, l’evocatore di fantasmi di Glubbdubdrib, gli immortali rimbecilliti di Luggnagg si completa col raffronto tra i cavalli intelligenti houyhnhnm e gli uomini-animali yahoos. Ma in Swift è ancora una cosa da ridere, sia pure a denti stretti. La storia di Boulle si fa invece incubo, quando l’astronauta protagonista prima scopre che in realtà anche sul pianeta dove è arrivato in passato era l’uomo l’essere dominante, fino a quando un improvviso decadimento della specie non ha invertito i ruoli; e poi torna sulla Terra dopo secoli per scoprire che anche là è successo lo stesso. 

 

Il famoso primo film del 1968, con Charlton Heston, oltre a trasformare i protagonisti da francesi a americani, fa scoprire infine che l’astronave è ripiombata sulla Terra, e che il rimescolamento di specie è avvenuto per via di una guerra nucleare. Tipico terrore da anni Sessanta. I quattro sequel successivi della prima serie mostrano come il rivolgimento è avvenuto, a un certo punto si mettono a fare il tifo per le scimmie ribelli, ma alla fine immaginano una possibile riconciliazione, con bambini e scimmiette seduti fianco a fianco sui banchi della stessa scuola. Metafora dell’integrazione razziale? Il remake del 2001 torna un po’ al libro, mentre gli altri tre film del 2011, 2014 e 2017 accentuano la metafora anticolonialista dei primi remake. Immaginano però pure che sia stata una epidemia creata per sbaglio in laboratorio a portare allo sterminio degli uomini e alla rivoluzione intellettuale delle scimmie, nell’anno 2026. Da fare più di uno scongiuro, in tempo di Covid dell’anno 2021; ma dimostra quanto effettivamente il plot sia riciclabile in molte chiavi.

 

Più semplicemente, la “Fattoria degli Animali” è l’Unione sovietica, e i maiali sono i comunisti. Motivo per cui anche se poi durante la Guerra fredda la Cia addirittura finanziò una sua trasposizione in cartoni animati, all’inizio per un po’ il libro non poté uscire, intanto che la Gran Bretagna Churchill era ancora alleata in guerra dell’Unione Sovietica di Stalin. Lo stesso Stalin è chiaramente Napoleone, mentre il rivale Palladineve è Trotzky, il Vecchio Maggiore è un misto tra Lenin e Marx, il poeta propagandista Minimus è Massimo Gorki, e così via. Anche qui pare che ci sia un ispiratore: “Un delegato ambulante”, racconto di Rudyard Kipling del 1898, su un cavallo sovversivo che va a predicare la rivoluzione. Nello spirito del grande cantore del “fardello dell’uomo bianco”, osserva il biografo di Orwell, Bernard Crick: “Il cavallo viene respinto come un provocatore scansafatiche. La fattoria degli animali è quello stesso mondo, ma a rovescia”.

 

Motivo principale del suo successo di scandalo, il riferimento sovietico della “Fattoria degli animali” fa forse un po’ perdere di vista il fatto che in realtà l’apologo sulla rivoluzione tradita va oltre la storia della Rivoluzione Russa. In fondo, la morale è la stessa della “Famosa invasione degli orsi in Sicilia” di Dino Buzzati, uscito anch’esso nel 1945. Gli orsi di re Leonzio che spinti dalla fame conquistano la Sicilia, sconfiggendo anche un esercito di cinghiali, all’inizio stabiliscono infatti un regno illuminato. Ma col tempo si corrompono e iniziano ad assumere tutti i difetti umani, in particolare per l’opera nefasta del ciambellano Salnitro. Infine vincitore sulla congiura ma ferito a morte Leonzio prima di spirare ordina agli orsi lasciare la città e le ricchezze che li hanno corrotti per tornare alle montagne, dove ritroveranno la pace d’animo. Pensava ai partigiani? 

 

Quasi niente metafora e molto Grand Guignol alla Machen lo troviamo in “Gli uccelli”: racconto di Daphne du Maurier in cui non è che ci sia troppa introspezione. Non si sa il perché e non importa: semplicemente a un certo punto i pennuti iniziano ad attaccare gli esseri umani e c’è poco da farsi domande, bisogna solo scappare. Quando nel 1963  Alfred Hitchcock lo portò sullo schermo la critica fu scoraggiata da quel finale aperto, con i quattro protagonisti che provano a partire in auto tra migliaia di uccelli che li osservano, immobili e minacciosi. Ma il pubblico gli diede invece un successo strepitoso, come peraltro anche a quello “Squalo” dal romanzo di Peter Benchley che nel 1975 lanciò Steven Spielberg, anche se lì il finale c’era e fragoroso, per il divoratore di bagnanti fatto volare a pezzi con l’esplosivo. Vero che poi fu resuscitato a ripetizione, anche se dopo il  successo del secondo sequel terzo e quarto furono flop.  

 

Viene in genere messo nel genere anche “I gatti di Ulthar”, racconto scritto da Howard Phillips Lovecraft. Ma qua più che di rivolta vera e propria si parla di una vendetta contro una coppia di felinicidi. Negli anni Settanta il filone si fa ecologico, con l’ipotesi che gli animali possano essere diventati pericolosi a causa di mutazioni indotte dall’uomo. Nel film del 1972 “La notte della lunga paura”, sono i conigli a essere incattiviti a causa degli effetti dei pesticidi. Rane nell’altro film pure del 1972 “Frogs”. Formiche del film del 1974 “Fase IV: distruzione Terra”. Scarafaggi infuocati nel film del 1975 “Bug - Insetto di fuoco”, tratto dal romanzo  “La piaga Efesto”, scritto da Thomas Page due anni prima. Vermi nel film del 1976 “I carnivori venuti dalla savana del 1976. Cani del film “Dogs” del 1977. Piraña dell’omonimo film di Joe Dante del 1978. Api pure nel 1978 nel film “Bees: lo sciame che uccide”. Topi assassini nel film del 1982 “Occhi nella notte”. Lumache nel film del 1988 “Slugs - Vortice d’orrore”. Zecche nel film del 1993 “Skeeter”… Logico apice è, alla fine, la saga di “Jurassic Park”, con i suoi dinosauri clonati. 

 

“Per quanto si vada indietro nei secoli”, spiegava Machen alla fine del “Terrore”, “sempre la tradizione popolare ci dice che gli animali sono non soltanto i sudditi ma anche gli amici dell’uomo”. L’uomo li domina grazie a quell’elemento spirituale che gli animali non hanno, e a cui però l’uomo sempre più stava rinunciando, fino all’incubo di abbruttimento e di odio scatenato dalla Grande Guerra. “Ma anche le bestie hanno in sé qualcosa che corrisponde alla qualità spirituale dell’uomo e che noi ci conteniamo di chiamare istinto. Esse sentirono che il trono era vacante e allora neppure l’amicizia fu più possibile tra loro e il sovrano che aveva abdicato. Se lui non era un re era un impostore, un mistificatore, un qualcosa da distruggere”. Terribile profezia finale: “Si ribellarono una volta: potrebbero farlo ancora”.

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